Sbornia elettorale, cura parlamentare

per Gabriella
Autore originale del testo: Michele Prospero
Fonte: facciamo sinistra
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di Michele Prospero, 26 ottobre 2016
Durante la seconda repubblica si è affermata una concezione ideologica, cioè falsa e superficiale, per cui la legge elettorale è la chiave di volta per garantire la conquista della governabilità. Verità elementari della dottrina politica e postulati della sapienza giuridica sono stati in gran fretta abbandonati, con conseguenze negative registrabili anche nel rendimento delle istituzioni. Per la scienza politica, per il diritto costituzionale, invece che di forma di governo, con le sue varianti istituzionali classificate staticamente secondo gli stampini tradizionali, si dovrebbe parlare più appropriatamente di sistema di governo.
E cioè, oltre i modelli definitori astratti, bisogna penetrare nell’intreccio mutevole nel tempo che lega tre distinti momenti della politica: la formula elettorale, l’impianto istituzionale e il quadro di partito. Solo la connessione effettuale di queste tre componenti eterogenee consente di cogliere i reali meccanismi funzionali del potere politico e quindi permette di modulare la possibilità di interventi correttivi sulle dinamiche istituzionali della decisione e della rappresentanza.
Caduta la considerazione critica dell’intreccio delle tre componenti costitutive del sistema di governo, l’ideologia italiana ha attribuito alla sola legge elettorale un plusvalore ingiustificato. E ne ha fatto il momento dominante per sorreggere ipotesi di alta ingegneria perdendo così la misura reale di un sistema complesso a variabili multiple. Da momento parziale operante in una rete di interconnessioni, il circuito elettorale è stato isolato, e sottratto al rapporto con le altre due dimensioni che ne determinano la resa effettiva. Sganciata dalle altre dimensioni, la tecnica elettorale è stata assunta come una invariante assoluta, e quindi essa, da condizione parziale, si è tramutata in leva con la quale inventare un nuovo sistema.
E’ però solo nell’incontro con il formato politico esistente che si misura l’impatto esercitato dalla meccanica elettorale che di sicuro influenza la competizione tra gli attori ma non ha una attitudine manipolativa-creativa illimitata. E invece in Italia il rapporto reale delle forze, che suggerisce di postulare il formato partitico come condizione in gran parte data, che sfugge a operazioni estrinseche di determinazione per induzione elettorale, è stato rovesciato. Rimosso il quadro degli orientamenti e delle culture esistenti, la legge elettorale è diventata il grimaldello fondamentale con il quale il vincitore occasionale intende costruire il quadro di partito agognato. In questo slancio manipolativo della normativa elettorale affiora una esagerazione degli effetti produttivi delle tecniche di trasformazione dei voti in seggi che come ogni illusione è destinata a urtare con la realtà.
Anche il Porcellum, con la sua meccanica bipolare rigidamente imposta per legge, è stato rigettato dal reale formato partitico. Dalle ceneri delle coalizioni è emerso un sistema tripolare, rompendo argini puramente meccanici e sfibrando la camicia di forza di un maggioritario di lista che ha regalato il 55 per cento dei seggi al primo partito che ha incassato appena il 25 per cento dei consensi. Entro certi limiti, l’utilizzazione dell’alchimia elettorale, come imposizione della governabilità, non solo non regge dinanzi alle tendenze ineludibili della società, che avanzano per loro conto a dispetto di recinti e protezioni, ma produce scompensi, alienazioni e cadute a ripetizione di sistema politico.
Il bipolarismo meccanico è crollato in maniera evidente e però, con il passaggio dal Porcellum all’Italicum, il ceto politico vittorioso opera nella assoluta continuità con i paradigmi ispiratori del ventennio: tocca solo al congegno elettorale incidere nel conteggio dei voti in maniera manipolatoria edificando così un quadro bipolare puntellato dalla potenza di cartapesta del maggioritario. Ma il sistema di partito ha un proprio profilo, non può risultare esclusivamente dal disegno della modalità della ripartizione dei seggi. Quando la tecnica costruisce un mondo separato, e pretende di aver acquistato la ricetta della governabilità, tendenze incontenibili nascono dalla società e rompono i gracili equilibri.
Un nuovo soggetto imprevisto emerge e spezza i vincoli coercitivi della legge elettorale e inaugura la crisi di sistema. Come se non ci fosse stata una crisi di sistema, il legislatore fabbrica le condizioni artificiali per congelare il terzo polo escluso. Il rischio che la cumulabilità dei voti riportati dai due poli soccombenti rompa i sogni di gloria del Pd spingono antichi custodi a invocare un ripensamento per evitare le insidie del ballottaggio di lista. Unico congegno nel suo genere rintracciabile nelle democrazie, il ballottaggio tra due capi di partito contiene elementi di improvvisazione e di autentico azzardo istituzionale.
Oltre che inefficace, quale mappa che impone con rigidità il percorso del formato partitico, il momento dell’intervento elettorale rivela la propria fragilità nel garantire la democrazia decidente. Con l’elezione diretta dei governi e con l’investitura del capo, non tramite una formale mutazione dei poteri costituzionali ma in maniere solo fattuali collegate cioè a scorciatoie inserite nelle pieghe della formula maggioritaria, si attribuisce alla legge elettorale una capacità autonoma di tracciare la forma di governo secondo un dettato ispirato al mito del sindaco d’Italia.
Senza rivisitare in maniera esplicita, e quindi con una veduta organica, la trinità istituzionale (meccanismo delle garanzie, prerogative del governo, principi fondamentali), la sola manutenzione del dispositivo elettorale assume il compito di istituzionalizzare per vie di fatto una diversa configurazione dei pubblici poteri. Il vincitore certo è un rimedio illogico, rispetto ai canoni del parlamentarismo, che contiene una forzatura dell’asse funzionale tale da curvare la coerenza dell’ordinamento.
Il regime del sindaco d’Italia amplia a dismisura lo spettro di incertezza e di incontenibilità del potere indebolendo i dispositivi di garanzia (si marcia verso la presidenza di minoranza, sprovvista dei ruoli di simboli dell’unità nazionale e dei compiti di ricucitura propri di un custode super partes di valori e tecniche costituzionali), scardinando il principio cardine della sovranità (il senato diventa una istituzione non-maggioritaria, cioè priva di investitura diretta e operante in materie legislative rilevanti con una palesa contrazione dell’ampiezza del principio di sovranità popolare).
Il problema del potere non è risolto con bilanciamento e adeguamenti dell’ordinamento e si sposta dapprima nel momento della conquista dello scettro entro gli ambiti di partito e poi nel trasferimento dei simboli del comando e dell’obbedienza nel campo istituzionale nel quale il capo domina in virtù della potestà di nominare i parlamentari. Finché il controllo del leader del meccanismo di investitura e selezione delle candidature è assicurato, il capo domina agevolmente su una camera ridimensionata proprio dalla debolezza del personale parlamentare, sprovvisto di legami consistenti con strutture autonome di partito e con la volontà popolare.
L’unico elemento di friabilità del comando risiede nella reviviscenza di inclinazioni trasformistiche mai sopite che possono far franare la compattezza dell’obbedienza delle assemblee, catturate dal nomadismo e dalle spinte centrifughe. Se il capo tiene saldo il bastone del comando e l’assemblea è fedele alla sua leadership, il potere non dispone di efficaci contenimenti interni. La debolezza del ruolo dell’opposizione entro assemblee piegate dalla dottrina della data certa della legge, restituisce a componenti esterne la funzione di controllo e di vigilanza.
La piazza della protesta sociale e le procure che non si sono omologate al dettato del governo sono i soli momenti di controllo e resistenza. Un disegno di questo tenore, per la sua rigidità e semplificazione estrema, non è certo adeguato alle esigenze funzionali di una democrazia complessa. E’ necessario, in una prospettiva ricostruttiva più efficace e innovativa, rivendicare un circolo funzionale dei tre momenti del sistema di governo.
La legge elettorale deve mostrarsi flessibile, e quindi adattabile alle dinamiche del sistema di partito, che negli ultimi anni è passato dal pluralismo moderato al bipolarismo di coalizione, dal bipartitismo asimmetrico al tripolarismo. Il congegno della proporzionale personalizzata alla tedesca, nella sua elasticità in grado di aderire alle metamorfosi della realtà di partito, continua ad essere il più adeguato trasformatore nel conciliare rappresentanza e governabilità. Anche il Mattarellum, emendato dai suoi difetti tecnici, potrebbe funzionare garantendo pluralismo e selettività.
Occorre un’aggiunta costituzionale. Anche l’altro accorgimento tecnico tedesco, la sfiducia costruttiva, è un dispositivo efficace nel contenimento del fenomeno delle maggioranze negative, capaci di rompere il governo ma non di indicarne uno alternativo. Ad esso deve però aggiungersi un intervento nel terreno delle convenzioni, cioè l’adozione di una cultura dei governi di minoranza, indispensabile fino a quando il profilo della competizione resta tripolare.
Se, in caso di mancata maggioranza assoluta di un partito, la strada della grande coalizione non è gradita, lo spettro spagnolo del continuo scioglimento delle camere può essere scongiurato solo con rimedi sperimentati da tempo nelle democrazie nordiche, cioè con la possibilità che il partito piazzato primo ottenga la possibilità di governare, affidando però ai rapporti di forza parlamentari il riempimento dell’indirizzo legislativo.
Queste misure, alcune convenzionali e altre costituzionali, sono le condizioni attuali da accogliere per la difesa e il rilancio del governo parlamentare. Con i suoi momenti di debolezza per l’eclisse del bipolarismo che regala con il voto maggioranze nella contendibilità della leadership, il parlamentarismo rimane un intreccio delle istituzioni nel circuito elettori-rappresentanza-governo di gran lunga preferibile alle vaghe suggestioni presidenzialistiche (sia di quelle formali ed esplicite sia di quelle fattuali e subdole che si insinuano nelle pieghe delle tecniche elettorali).
Articolo tratto dall’inserto speciale del Manifesto del 26 ottobre 2016 dedicato al referendum costituzionale.

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