Fonte: Politicaprima
Url fonte: http://www.politicaprima.com/2017/01/senza-simboli-o-senza-identita.html
di Giuseppe Bianca – 9 gennaio 2017
La prima Repubblica era fatta di tante cose, non tutte da condividere, non tutte da buttare.
Si è compiuta in un giorno come tanti in cui Bettino Craxi fu preso a colpi di monetine all’uscita dall’Hotel Raphael, la sua casa romana.
Era fatta anche di cose chiare, di un’algebra visibile e di un’etica forse discutibile, ma riconoscibile.
La seconda agonizzante Repubblica, a cui non riusciamo a trovare una legge elettorale che vada bene in sé e non per chi ne deve beneficiare, comincia a mal tollerare i segni di riconoscimento e li riduce a impulsi di pancia e di protesta, o a schemi logori e da furbetti.
Prendiamo il caso di Palermo. Elezioni amministrative della prossima primavera. A lungo, cominciamo da un nome a caso, Gianfranco Miccichè, l’uomo simbolo di Berlusconi in Sicilia, quello del 61 a 0 alle politiche del 2001, ha trascorso l’estate a dire che nella quinta città d’Italia non poteva non mettere il simbolo: «che figura ci facciamo» – sussurrava a chi lo andava a trovare a Sant’Ambrogio, piccola frazione di Cefalù, enclave della politica degli incontri tornata di moda.
Il primo lui però, ne avrebbe fatto a meno, volentieri, portando a confluire le proprie truppe nel contenitore laico messo in piedi dal giovane Fabrizio Ferrandelli, l’unico deputato dimessosi dall’ARS, in polemica con il governatore Crocetta, prima della scadenza. Che sta predisponendo la sua battaglia per giocarsi la rivincita contro Leoluca Orlando.
Quest’ultimo, sulla scena politica dal 1980, già sindaco di Palermo dal 1985 al 1990, da oltre vent’anni ha la capacità di resistere ad ogni forma di rottamazione. Si è alzato dal tappeto, nel 2001 contro Totò Cuffaro e nel 2007 contro il candidato sindaco Diego Cammarata, come se niente fosse ed ha dribblato i simboli, quello del Pd per primo, con bravura e velocità. A partire dalle primarie del 2012 vinte da Ferrandelli contro Rita Borsellino, alle quali non partecipò. Si candidò lo stesso e vinse. Oggi non è così stupido da farsi ricordare dall’ultimo che capita che i simboli non sono treni da cui si sale e si scende a piacimento.
In ultimo Ferrandelli, propone un’aggregazione anche di uomini della politica a cui chiede di non portare la propria bandiera. Forse l’unico tra questi che, in coerenza con gli ultimi quindici mesi del suo percorso, ha un motivo per farlo, avendo chiarito che, dal suo ex partito in poi, il Pd, vuol prendere le distanze.
Sarebbe stato interessante, e forse lo è ancora, chiedere al segretario nazionale dei DEM, Matteo Renzi che ne pensa della grottesca ipotesi in cui, sempre nella quinta città d’Italia, il partito di maggioranza relativa all’Ars e a Roma, non sa come correrà.
Mi piacerebbe essere una mosca fastidiosa e ronzare nella stanza quando i suoi plenipotenziari, trovano gli argomenti.
I simboli della prima Repubblica avevano soli che ridevano, falci e martelli, fiori, fiamme e scudi crociati. Niente di che, ma cose che si capivano ed esprimevano un potere simbolico. O almeno ci provavano.
Oggi scappiamo dall’identità. Siamo all’opposizione di un’idea e di un progetto.
Così, a meno di sei mesi dal voto, l’unico simbolo certo è quello del Movimento Cinque Stelle, che, per non sbagliare, forse stavolta esternalizzerà la raccolta delle firme per le liste, ma almeno mantiene il vanto dell’appartenenza e dei suoi colori.
Il resto esprime tristezza.