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di Luca Billi – 30 novembre 2018
Ormai se pensiamo a quella vasta regione che – con uno smaccato residuo di eurocentrismo britannico – chiamiamo ancora Medio oriente, immaginiamo il deserto: ci viene in mente la sabbia rovente del film Lawrence d’Arabia o al massimo una distesa di pozzi di petrolio cresciuti in un paesaggio altrimenti brullo. Eppure in prima media ci hanno spiegato – nel libro c’era anche un disegno per farcelo capire meglio – che lì si trovava la cosiddetta “mezzaluna fertile”, come viene definita dagli storici quella vasta regione che si estende dalla Mesopotamia alla valle del Nilo, passando per la valle del Giordano. Proprio la presenza di questi grandi fiumi e la loro particolare vocazione agricola hanno fatto sì che in queste terre si sviluppassero le prime grandi civiltà dell’uomo: noi siamo anche i lontanissimi pronipoti di quegli antichissimi popoli.
Mi è tornata in mente questa espressione, leggendo che le sponde dell’Eufrate sono invase da pesci morti. Secondo alcuni studiosi questa moria è stata provocata dallo sversamento di sostanza tossiche nel fiume, mentre altri sostengono che si tratti di una malattia partita da alcuni allevamenti di itticoltura della regione. Comunque sia, questo avvenimento ha di fatto bloccato una delle attività più importanti della regione.
Desertum fecerunt et pacem appellaverunt: così dicevano i nemici di Roma. Guardando alla condizione di quelle terre, quei popoli non possono neppure dire questo. Abbiamo fatto un deserto e lo abbiamo chiamato guerra.