Fonte: MicroMega
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STORIA DELLA PAURA – di PIERFRANCO PELLIZZETTI – ed. MIMESIS
di Angelo d’Orsi
Esistono davvero i liberali? Paradossalmente, sarei tentato di rispondere di no, in un mondo (il nostro, occidentale) nel quale tutti si dichiarano, anzi si proclamano liberali. In Italia, poi, è toccato sempre alla sinistra fare il lavoro che i sedicenti liberali, pronti a infilarsi nelle scorciatoie melmose dell’autoritarismo, in politica, e dell’appoggio di Stato, in economia (secondo l’aureo precetto della socializzazione delle perdite e della privatizzazione dei profitti).
Oggi, in Italia come dovunque, il liberalismo pare sprofondare, giorno dopo giorno, nella sua autonegazione: a meno che si debba credere che il liberalismo si identifichi nel liberismo sfrenato, nell’apologia del mercato come somma divinità, nella scelta del militarismo per risolvere i problemi di una economia bloccata.
Non lo crede Pierfranco Pellizzetti, uno degli ultimi moicani, un liberale “gobettiano”, ossia, a mio avviso, una figura ossimorica, come la rivoluzione liberale teorizzata dal “prodigioso giovinetto” di Torino: e questa convinzione da lui praticata in tanti brillanti interventi su MicroMega online, aveva anche più distesamente espresso in un libro stimolante e bizzarro, Libertà come critica e come conflitto (Mucchi Editore, 2012). Ora Pellizzetti, che, se posso azzardare, sta compiendo un percorso di radicalizzazione a sinistra, ci riprova con un altro volume: Storia della paura (Mimesis Editore).
Il tema è affascinante, e l’autore vi si addentra rapsodicamente, fornendo suggestioni spesso originali, sempre stimolanti, anche quando gli argomenti non risultano sempre esposti in modo persuasivo. E, soprattutto, anche quando il lettore – per esempio il sottoscritto – non li condivide. Ma condivido pienamente l’impostazione apocalittica dell’autore, il cui pensiero sembra essere informato a un pessimismo cosmico-storico nel quale mi riconosco. Eppure, Pellizzetti confessa la propria fede nella politica, nella politica vera, autentica, intesa come arte di guardare lontano, come mezzo indispensabile per assicurare il bene di chi vive nella polis: i cittadini. E come dargli torto? In fondo il suo è un atto di fede nella “nobile arte”, appunto la politica, come i classici ci hanno tramandato, e che oggi sembra del tutto scomparsa.
Ripercorrendo una quantità davvero notevole di autori, di vario genere (filosofi, in primis, ma anche economisti, sociologi, antropologi, giuristi, politologi, storici…), mostrando quale possa e debba – o meglio, dovrebbe – essere il bagaglio di un “commentatore”, l’autore spazia tra fasi storiche, ambienti, momenti, vicende, stati d’animo, cercando in qualche modo (non sempre riuscendoci) di tenere a bada, con la sua razionalità post-illuminista, l’emotività di un passionale, non neutro osservatore delle cose del mondo.
“Gli inconfessabili retropensieri collettivi dell’Occidente”, recita il sottotitolo: e Pellizzetti, facendo abbondante ricorso alla chiave del sarcasmo appassionato (insomma, un gramsciano suo malgrado!), porta alla luce tali pensieri nascosti, denuncia, mette alla berlina, grida sui tetti le verità che si vorrebbero celare, o che tutt’al più qualcuno, a mezza voce, mormora in qualche scantinato.
Non v’è un ordine riconoscibile nel tragitto di Pellizzetti, se non, probabilmente, nella sua propria mente. Del resto non se ne avrà a male: il suo temperamento anarco-libertario non potrebbe trasformare il pamphlet felicemente disordinato in un ponderoso tomo di analitica riflessione… Destreggiandosi fra Voltaire e Popper, tra Foucault e Bauman, spesso ricorrendo a formule di grande efficacia, quasi da copyrighter, l’autore mette alla berlina le “pretenziose baggianate economiciste”, ma denuncia le infinite storture del nostro lieto mondo della crisi infinita, della menzogna trionfante, della guerra permanente, dell’iniquità sociale che cresce anno dopo anno, dei luoghi comuni e delle sciocchezze dominanti nel discorso pubblico, e così via.
Iperliberismo, xenofobia, razzismo, maschilismo, omofobia, corrività dei media al potere, miseria morale generalizzata: ecco che cosa si cela dietro parole appartenenti spesso al lessico della political correctness occidentale. E intanto procede, scrive Pellizzetti, “lo svuotamento tendenzialmente indolore della democrazia”. Forse più che indolore, inconsapevole per le vittime, le quali, a dire il vero, in termini di perdita di diritti, e di povertà crescente, sino al limite della soglia della miseria e oltre, di dolori ne stanno sperimentando.
L’Occidente vive ormai delle sue inconfessate paure, e semina paura: quella fondamentale, la madre di tutte la paure, è la paura dell’altro. Un altro che può essere chiunque, può essere tutto, può essere ovunque. Ma la politica della paura produce disastri, proprio come “il sonno della politica genera mostri”, sentenzia l’autore, che mestamente decreta la “finis Austriae del Primo Mondo”.
Davanti a tale situazione, l’autore constata che la “sinistra organizzata” è ridotta a un“ectoplasma a encefalogramma piatto”, a cui Pellizzetti dedica parole sferzanti (e del tutto condivisibili), quale la via di uscita? Ecco allora, come via d’uscita, riaffiorare la “grande e sempreverde lezione dell’illuminismo”: tolleranza, spirito critico, integrazione con l’altro e così via, citando Todorov. Su questo non mi sento di seguire l’autore. Ma ne apprezzo l’intenzione, oltre che l’ispirazione.