Su la “questione morale”

per Gian Franco Ferraris
Autore originale del testo: Mal Volio
Fonte: facebook

Mal Volio – 5 dicembre 2014

Con gli scandali di Roma torna l’urgenza della “questione morale” posta da Berlinguer più di trent’anni fa nella famosa intervista rilasciata a Eugenio Scalfari. Permettetemi però una piccolissima premessa: ho sempre avuto un certo scetticismo per quell’intervista, soprattutto perché su di essa è stata appiattita la figura del segretario comunista. In che modo però possiamo fare nostre quelle parole? In che modo, oggi, nell’attuale contesto, è possibile recuperare quella riflessione alla luce della più larga eredità politica di Berlinguer?

Per molto tempo, la “questione morale” è stata confusa con la questione “moralistica”, quella che poi è degenerata nella rappresentazione guardie/ladri che ha dominato la scena politica da Tangentopoli sino ad oggi. Occorre per questo chiarire che la questione morale non è la caccia ai ladri, il suo simbolo non sono le manette. Essa ha nondimeno riguardato i partiti politici e la corruzione di alcuni loro dirigenti e iscritti. Ma in Berlinguer l’antidoto alla questione morale non è mai stata la distruzione dei partiti, né la cessione al potere giudiziario delle prerogative del parlamento. Lo spiega benissimo Emanuele Macaluso nel suo “Comunisti e riformisti. Togliatti e la via italiana al socialismo”, Berlinguer non ha mai rinunciato alla politica: anche dopo gli scandali degli anni Settanta, anche dopo la fine della strategia del compromesso storico, il segretario comunista ha continuato a considerare la via del parlamento e la dialettica tra i partiti come l’unica vera strategia di risoluzione della questione morale.

La questione morale è dunque una questione politica, non giudiziaria, né moralistica come tra buoni e cattivi. Questo naturalmente non significa che essa sia estranea al conflitto, tutt’altro. Troppo spesso, in questi anni abbiamo però dovuto assistere a rappresentazioni del conflitto totalmente falsate, basate appunto su categorie moralistiche o personalistiche o ancora basate sulle competenze individuali, sulla tecnica. Berlinguer, che a dispetto delle mistificazioni era un comunista e apparteneva a un’organizzazione partitica, poneva il conflitto sul piano sociale del lavoro. Qualsiasi riattualizzazione del pensiero berlingueriano non può dunque che ripartire dalla funzione storica dei partiti e dal conflitto tra capitale e lavoro.

Oggi però il Partito democratico di Renzi si pone totalmente in antitesi con questi principi politici. Renzi propone l’abolizione del Senato, là dove invece c’è bisogno di rilanciare la forza degli organi parlamentari e il loro ruolo di rappresentanza. Renzi propone una soluzione leaderistica ai problemi del paese, là dove invece abbiamo bisogno di recuperare la dimensione organica e complessa dei partiti attraverso dirigenti e livelli partitici intermedi capaci di riarticolare nella realtà italiana un pensiero politico. Renzi abolisce il finanziamento pubblico dei partiti, là dove invece abbiamo bisogno di rendere i partiti e quel poco che ne resta autonomi e in grado di ricostruire le proprie strutture indipendentemente dal finanziamento privato che condiziona la politica sino a neutralizzarla. Renzi propone la costruzione di un movimento “della nazione” interclassista, là dove invece abbiamo bisogno di recuperare il conflitto fra gruppi sociali: le soluzioni politiche, gli accordi non possono infatti che nascere da posizioni distinte e non dal pastone renziano, in cui non si riconosce più la destra dalla sinistra. Mi pare che sia questa la nostra attuale questione morale anche per quelle questioni come la corruzione e l’invasione della mafia nelle amministrazioni e nella politica.

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