Fonte: La Repubblica/facebook
L’ultima direzione del PD sembrava l’anticamera definitiva della scissione e l'”ultimatum” proveniva più da Renzi che dai dissidenti. In settimana Bersani, in un’intervista, ha dichiarato che gli interessi del paese devono prevalere su quelli della “ditta”; a quest’intervista hanno replicato molti bersaniani, prendendo le distanze da Bersani. Cuperlo, nell’intervista uscita venerdì 03 aprile su Repubblica, che trovate in calce, ha detto che la scissione non serve a nessuno, esortando il carrarmato Renzi a fermarsi. Le dichiarazioni di Cuperlo hanno stimolato la lettera di Claudio Bazzocchi e numerosi commenti, che mi paiono di grande interesse e che vi propongo.
Personalmente penso che, al di là degli errori e delle qualità dei singoli protagonisti, in 25 anni, passo dopo passo, la sinistra si è ridotta al nulla. Serve una rottura con il passato, un nuovo soggetto politico (non un partito) che si coaguli intorno a un programma essenziale (in materia economica, lavoro, redistribuzione del reddito, riforma dello Stato), senza settarismi, con un portavoce nuovo che non provenga dalla tradizione PDS DS PD. Capisco tuttavia e sono vicino a tutte le reazioni, quelle di affetto e stima verso Bersani e/o D’Alema, e quelle amareggiate per il tradimento dei leader storici. (gf)
Caro Gianni Cuperlo,
è utile usare il classico espediente retorico per cui si nega una cosa che in realtà si pensa?
A questo punto della partita e della situazione del paese, si deve ancora dire “io non credo che Renzi voglia una svolta autoritaria”?
Te lo chiedo proprio dal punto di vista dell’utilità politica. Non sarebbe meglio essere espliciti, chiamare quel che è rimasto della tua gente alla battaglia politica, spiegando che si tratta proprio di svolta autoritaria? Non avrebbe più senso, se l’obiettivo è quello della ricostruzione della sinistra nel nostro paese?
Io penso che questo partito della nazione abbia un’immane forza corruttiva delle menti e del pensiero, perché non si mettono mai le cose in chiaro, perché ognuno può trovare il modo di accomodarsi, magari dicendo che proprio Cuperlo ha affermato che non si tratta di svolta autoritaria. Allora, ci sono giovani che pur di trovare un accesso alle professioni si attaccano al PD e, pur dichiarandosi di sinistra, non si espongono nel momento decisivo, quando si deve prendere posizione. Ci sono compagni anziani che non vogliono rassegnarsi alla fine del loro grande partito, della loro comunità fatta di affetti, case del popolo, feste dell’unità e continuano a far finta di niente e, magari, anche loro mostreranno che lo stesso Cuperlo ha detto ci vuole il dialogo e che non è in atto una svolta autoritaria.
Tutto questo non è utile, corrompe il pensiero, uccide chi sta nel nostro campo, asfissiato da convenienze e sconcertante doroteismo.
Ovviamente, Gianni, non accuso te di doroteismo né tantomeno di essere corruttivo. Ti chiedo solo se tutto questo è utile per il nostro campo, per la nostra sinistra, per le nostre idee, per la nostra passione di uomini e donne della sinistra, di una grande tradizione politica che pensava sì la funzione nazionale del partito e il suo radicamento nella storia d’Italia, ma mai il partito della nazione.
Un abbraccio grande
e buona Pasqua.
di Claudio Bazzocchi – 3/4 aprile 2015
Domenico Cerabona Ferrari Il problema caro Claudio è che quando si denuncia una svolta autoritaria non si fa una chiamata alla battaglia politica, ma alla lotta armata. Trattandosi invece, a mio parere, di una pessima riforma costituzionale credo sia giusto dare battaglia politica nel PD e con Cuperlo.
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Danilo Gruppi Mi spiace dirlo, ma con quel profilo lì Cuperlo non va da nessuna parte.
E disarma i suoi.
Giulio Cherchi Contro la legge truffa il PCI fece una lotta armata? E soprattutto oggi c’è lotta politica? Come si fa lotta politica stando nello stesso partito? Non si comprende che questo è inaccettabile e fuori da ogni logica politica?
Attenzione poi. Quelle istituzioni renzizzate nel futuro rendono possibile la dittatura di uno solo.
Inoltre la dittatura nei tempi democratici assume nuove forme. C’è chi la chiama democrazia rachitica, chi democrazia autoritaria, chi democratura. Il modello renziano non è poi così dissimile da quello ungherese o da quello russo…
Marco Lang Con una sequenza di congiuntivi e condizionali, non si dà una impressione di decisione e di volontà di arrivare, comunque, fino in fondo.
Il combinato disposto “riforma costituzionale + italicum” disegna un nuovo modello istituzionale che si configura come un presidenzialismo di fatto senza i contrappesi che ne possano temperare la potenza autoritaria che è ad esso connaturata? Si o no?
Questo modello conduce ad una forma neoplebiscitaria nei rapporti tra istituzioni e cittadini, con l’annullamento o la marginalizzazione del ruolo dei corpi intemedi finora garantiti e tutelati dalla Costituzione? Si o no?
Se è si, si può anche cercare un ultimo compromesso nel PD ma sapendo che sarà – probabilmente – tempo perso.
Se è si, viene meno la ragione fondamentale del condividere lo stesso luogo dell’impegno politico
Perché chi sostiene il.progetto renziano senza se e senza ma, prefigura un sistema che nelle forme e nei modi è sempre più lontano dal modello partecipativo di democrazia che una forza della sinistra non dovrebbe mai mettere in discussione.
Ed allora si pone un problema grande come una casa.
Più o meno quella che si dovrebbe cercare di (ri)costruire, prima che sia troppo tardi
Francesco Siciliano Scrivo in calce lo stralcio di un comunicato di un famoso brigatista rosso, noto per il suo estremismo ideologico e per la ferocia della sua lotta armata: “Nella sostanza, quella scrittura è un imparaticcio scolaresco, nel quale in ogni punto si notano confusioni dottrinali e mal filati raziocini; come dove si prende in iscambio l’atomismo di certe costruzioni della scienza politica del secolo decimottavo col liberalismo democratico del secolo decimonono, cioè l’antistorico e astratto e matematico democraticismo, con la concezione sommamente storica della libera gara e dell’avvicendarsi dei partiti al potere, onde, mercé l’opposizione, si attua quasi graduandolo, il progresso; o come dove, con facile riscaldamento retorico, si celebra la doverosa sottomissione degl’individui al tutto, quasi che sia in questione ciò, e non invece la capacità delle forme autoritarie a garantire il più efficace elevamento morale; o, ancora, dove si perfidia nel pericoloso indiscernimento tra istituti economici, quali sono i sindacati, ed istituti etici, quali sono le assemblee legislative, e si vagheggia l’unione o piuttosto la commistione dei due ordini, che riuscirebbe alla reciproca corruttela, o quanto meno, al reciproco impedirsi.” Firmato Subcomandante Benedetto Croce
Alfredo Morganti Penso da un po’ una cosa che non mi piace affatto. Ossia che per molti amici e compagni (anche di vertice) la cosiddetta ‘scissione’ sia percepita come una cosa troppo impegnativa, faticosa, della serie ‘ma chi ce lo fa fare proprio oggi che abbiamo già il partitone? Tanto più che il PD è poco impegnativo nei fatti: basta fare una tessera, entrare nella pattuglia dei nominati e lasciare il pallino a Renzi finché non si scorna del tutto con la realtà. Una volta un compagno che stimo molto ha detto in una riunione: ‘tanto prima o poi la realtà avrà la meglio sugli annunci, allora toccherà a noi’. C’è un misto di fatalismo e di pigrizia in questo ragionamento, che mi spaventa. È come se l’imborghesimento (come avremmo detto una volta) si fosse impossessato di noi. Peggio: della nostra cultura politica. E avessimo imparato la regola aurea dei media: scontri personali, scontri verbali, e poi due parole in privato per trovare un linguaggio comune o un modus vivendi per continuare così, che in fondo è pure meglio. Per chiarezza, ovviamente, escludo che questi ragionamenti lo facciano i compagni più in vista. Ma c’è un sottobosco un po’ peones che a questa vita comoda ci pensa, come no.
Enrico Antonioni Alfredo morganti, è esattamento lo stesso atteggiamento fatalista della classe politica “liberale” (e anche di Croce) che spianò la strada al fascismo. Lo stesso.
Claudio Bazzocchi Sono completamente d’accordo con Giulio e Marco e quindi non mi dilungo. Ma sono sorpreso che nessuno abbia ripreso il mio ragionamento sulla forza corruttiva delle menti (di giovani e vecchi in modo diverso) del partito della nazione.
Domenico Cerabona Ferrari Non l’ho ripresa perché condivido la tua analisi su quel punto. Bisogna combatterla.
Alfredo Morganti Claudio sono d’accordo con te. Nel mio commento accennavo a un aspetto speciale di quella che tu chiami ‘corruzione’. Ossia all’imborghesimento prodotto dall’idea di ‘partitone’, e intendevo proprio il PD, questo PD,il ‘partito della nazione’ un corpaccione centripedo che toglie spinta ideale e ‘corrompe’, appunto, lasciando migliaia di peones di vertice e di media dirigenza nella pigra (e interessata) conservazione dell’esistente. Io credo che Bersani, Fassina, Cuperlo, D’Alema e gli altri siano ormai ben consapevoli di questa situazione, tant’è vero che anche la ‘rivolta’ dell’area riformista contro Bersani la leggo sotto questa ottica ‘corruttiva’. NOn so se sia ‘doroteismo’ (anche il doroteismo, al tempo dei partiti, aveva un senso). Oggi che i partiti non ci sono o sono ‘della nazione’ io vedo in azione una sorta di intelletto cinico, o peggio la totale misconoscenza dell’idea di trasformazione. Dico da tempo che a quest’ultima è subentrata un’idea performativa, di mera efficienza, il famoso ‘vincere’, che ha schiacciato sottoterra ogni aspirazione effettiva a mutare i rapporti di potere per mutare anche quelli sociali. La corruzione, credo, si riferisca proprio all’egemonia politica e culturale dell’idea di performatività. C’è gente che dice: mo basta voglio vincere, basta chiacchiere. Ma vincere perché? In quale senso? In quale quadro, secondo quale direzione? La verità è che siamo schiacciati sul presente performativo. L’ideologia del ‘fare’ è esattamente quella del partito della nazione. Che ha irretito buona parte del nostro popolo. Dobbiamo ripartire anche da qui se vogliamo aprire una nuova fase.
Marco Lang Claudio, l’unica cosa che si può aggiungere al tuo ragionamento è che la forza corruttiva è anche, contemporaneamente, distruttiva.
Perché uccide la memoria stessa del partito e della sua funzione, anche pedagogica. Perché nella nostra formazione (funzionava così anche nel PSI, almeno fino alla metà degli 80) lo studio, il confronto, lo scambio nei luoghi del partito, costituivano gli anticorpi alla forza corruttiva.
E senza un partito di popolo, che si riappropri dei suoi luoghi e del suo lessico, della sua base sociale, la distruzione della sinistra è, purtroppo, una certezza.
Giulio Cherchi Io mi sono trovato d’accordo con il commento di Enrico Antonioni soprattutto per quanto riguarda i giovani. Ci sono notevoli similitudini con il periodo fascista da questo punto di vista. Vari livelli di patteggiamento verso il conformismo imperante, che trascinano i giovani e i vecchi su posizioni sempre peggiori. Il dramma è che rispetto a quel periodo la società dello spettacolo è più pervasiva ideologicamente, e nessuno sta tenendo viva la fiaccola in Italia per ricostruire una sinistra con un’altra genealogia. Chi prova in solitudine a farlo si becca solitamente la rabbia per un esempio che brucia le coscienze compromesse di molti.
In molti poi pensano che una scissione potrebbe essere senza popolo. Questo può essere vero. Ma chi la pensa così compie un errore ontologico. Dà per esistente di per se sia il popolo sia la sinistra. Che però sono costruzioni umane e dipendono dai rapporti e dalle istituzioni che l’uomo crea nella permanenza nel mondo.
E quindi la costruzione alla laclau di un popolo è una delle mete che dovrebbe avere una scissione. Per farlo bisogna costruire attorno a dei significanti una nuova idea di sinistra con un suo forte rapporto alla storia d’Italia con cui disgregare i concetti del trentennio. Ma dall’altra è fondamentale forgiare nelle lotte un nuovo gruppo di dirigenti. Se non lo si fa quel popolo che vorremmo costruire non avrà le stecche del busto, i suoi intellettuali organici, e rimarrà disperso ed egemonizzato.
Andrea Brintazzoli Ci vogliono le palle per fare una scissione e nessuno di questi pare averle.
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Ecco l’intervista a Gianni Cuperlo
Il carrarmato Matteo si fermi, a nessuno serve la scissione

Intervista a Gianni Cuperlo di Alessandra Longo su “la Repubblica” di venerdì 3 aprile 2015
Gianni Cuperlo, dopo l’ultima direzione del partito, come pensate di andare avanti voi della minoranza Pd? Renzi tira dritto come un carrarmato, ultima tappa l`Italicum.
«Ma anche ai carrarmati serve una bussola. Io una nuova legge elettorale la voglio e so che peggio della vecchia non si può fare. Capisco pure che non avere contrastato abbastanza il Porcellum rende meno credibile contestare oggi l’Italicum. Ma non può essere questo l`alibi per approvare le riforme della Costituzione e della rappresentanza senza le garanzie necessarie. Mettiamo il cuore nel merito e spogliamoci dai pregiudizi».
Certo che la sinistra ha una vocazione tafazzista. La destra non c`è più e voi implodete.
«Ma Santa Leopolda, tra Tafazzi e il carrarmato ci sarà una via di mezzo? Io non penso si debba partire ogni volta daccapo. L’Italicum in parte è cambiato e lo riconosco. Ora si può fare il passo decisivo per garantire la governabilità assieme a un Parlamento rappresentativo e una maggioranza di deputati eletti di nuovo nei collegi».
L’opposizione a Renzi rischia la caricatura. C`è Speranza trattativista, Civati scapigliato, Fassina impulsivo, Cuperlo intellettuale e l`ultimo Bersani, pesantissimo. Dice che Renzi per l’Italicum non ha i numeri e lui comunque il provvedimento così non lo vota.
«Lasciamo stare le caricature. Cosa ci impedisce di fare quel passo verso un vero Senato delle Regioni che eviti un mare di contenziosi futuri? In fondo il pastiche sulle Province dovrebbe dirci qualcosa. Oppure si ha paura che al Senato tutto si azzeri? Ma non è così perché a quel punto avremmo l`unità convinta del Pd e di tanti amministratori. In Parlamento potremmo allargare una maggioranza che dopo la fine del patto del Nazareno si è notevolmente ristretta. L`alternativa qual è? Votare la legge elettorale con una maggioranza risicata? Ma questo è in contrasto con ciò che abbiamo sempre sostenuto, che le riforme si fanno con tutti e comunque mai da soli».
Bersani è uomo di esperienza Se passa al contrattacco vuol dire che la partita del dialogo è persa.
«Se anche l`aplomb emiliano alza così i toni è bene interrogarsi. Quanto al dialogo forse la partita non è chiusa. Io non penso che il premier voglia una deriva autoritaria ma lui si convinca che le proposte in campo non vogliono boicottare il percorso o, peggio, difendere dei posti. Insisto, è il combinato tra questa riforma di Senato, Titolo V e legge elettorale ad avere delle incoerenze che mi preoccupano».
Lei l’Italicum così non lo vota?
«Sarò coerente con le mie convinzioni, ma non rinuncio a cercare uno sbocco condiviso. Poi so che per riuscirci servono i toni giusti, da ogni parte».
E se Renzi dovesse mettere la fiducia?
«Questo sì sarebbe un errore serio e voglio credere che non accadrà».
Diciamo che perdiate la partita. Non avete agibilità nel partito. Scissione? Par di capire che Renzi non si straccerebbe le vesti se ve ne andaste.
«Penso che il suo carrarmato resterebbe con poca benzina. Non conviene a nessuno».
Volete farvi cacciare?
«No, vorrei l`opposto. Che riscoprissimo il senso di una comunità e la fiducia tra noi».
Nel frattempo nel Pd continua una questione morale, 4 sottosegretari con avviso di garanzia, il caso Napoli…
«La questione morale viene da lontano ma oggi vedo un paradosso, che il partito della Nazione per attrarre tutto sia portato a rimuovere alcuni tratti della sua identità. E questo spiega in alcune realtà accordi alla luce del sole con i capofila della destra o primarie sempre più condizionate da dinamiche esterne a noi. Mettiamo un freno subito, prima che la parte sana del nostro mondo spenga la luce».