Trasformismo? O gattopardismo?

per Gian Franco Ferraris
Autore originale del testo: Alfredo Morganti,

di Alfredo Morganti – 29 gennaio 2016

Rammento spesso quel che raccontò una volta Giorgio Amendola delle sue prime esperienze parlamentari. Era un giovane deputato quando fu incaricato, per la prima volta, di intervenire in Aula in merito a un provvedimento importante. Lo fece senza preparare un appunto scritto, ma intervenendo a braccio. Togliatti era seduto pochi scranni di lato e scriveva in verde su un foglio senza neanche alzare la testa. Amendola racconta che il suo intervento non fu brillantissimo, e che l’idea di farlo a braccio non fu particolarmente geniale. La raccomandazione peraltro era stata quello di scrivere il testo per evitare di svolgere un discorso frammentato e inessenziale. Lì per lì non accadde nulla. Il giovane Amendola, comunque, per un po’ non fu più incaricato di intervenire a nome del gruppo, e fu destinato a compiti di segreteria e verbalizzazione. Capì che doveva applicarsi un po’ di più.

Quel signore era Giorgio Amendola. E fu costretto a studiare di più e meglio. Oggi invece basta aver annusato l’aria giusta per assurgere alle cronache e godere di qualche alto e remunerato incarico. La carriera politica è sempre più connessa a questi annusamenti. E se ai tempi amendoliani lo studio e il merito erano ancora e in buon parte il confine oltre il quale non si poteva arretrare, oggi il merito è una specie di flatus vocis, di distintivo, di ideologia spicciola subito inapplicata. Entrano al governo personaggi improbabili, mere pedine della scacchiera politica, e nessuno di questi dà l’idea di essere la cima a cui tutti dovremmo protendere per salvarci dal naufragio. Si torna a parlare di trasformismo, un fenomeno direttamente proporzionale all’assenza di merito. Ma di quale trasformismo parliamo? Anche qui va fatta chiarezza. Il trasformismo di una volta aveva un senso: era frutto di una rotta che valicava davvero confini, partiti, schieramenti. Gli uomini buoni per tutte le stagioni avevano almeno delle stagioni da attraversare secondo convenienza o tornaconto carrieristico.

E oggi? Oggi mi sembra piuttosto il contrario. In assenza di veri confini e concrete delimitazioni, dinanzi a un blob che si espande e sembra catturare in toto i più disponibili alla cattura, è persino una forzatura parlare di trasformisti. In realtà non cambia nulla. Si entra semplicemente sotto un ombrello protettivo renziano, ci si stringe l’un altro e si attende il bonus. Si sta fermi, insomma, in pervicace attesa. Non ci si sposta di qua o di là. Non ci sono confini da scavalcare, né barriere politiche da saltare. Dapprima si è felicemente e volontariamente ghermiti dal blob espansivo renziano, quindi si attende il premio (un incarico, un rimpasto, qualunque cosa). È una specie di nirvana, che scioglie le determinazioni individuali, ideali, politiche e assomma tutto in un nulla che è un tutto, il tutto degli incarichi pubblici e delle prebende. Un falso movimento, direbbe Wenders. Un falso trasformismo, dico io. Così come un falso cambiamento è quello ‘narrato’ dal premier. In realtà questa è l’età della stasi, perché si espande davvero solo l’universo renziano, e il resto sono solo asteroidi che si fanno catturare in questa specie di paradiso in terra delle poltrone. Trasformisti? Magari. Vorrebbe dire che c’è ancora un confine e ci sarebbe un cambiamento. Ma è come il gattopardo: cambia tutto perché non cambi nulla. A parte gli status personali dei furbetti.

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