Fonte: Il Manifesto
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di Dimitri Deliolanes – 16 giugno 2015
Che cosa sta succedendo tra Atene e Bruxelles? Non è facile capirlo. Ieri Tsipras ha fatto una dichiarazione di inusuale durezza. Ha attribuito a «finalità politiche l’insistenza delle istituzioni a imporre nuovi tagli alle pensioni», particolarmente oltraggiose in quanto emergono «dopo cinque anni di saccheggi». «Il governo greco partecipa ai negoziati avendo con sé un piano con controproposte pienamente valutate. Aspetteremo pazientemente che le istituzioni adottino uno spirito realista. Ma se alcuni scambiano per debolezza il nostro sincero desiderio di trovare una soluzione e i passi che abbiamo fatto per coprire le differenze, deve avere in testa questo: non portiamo sulle nostre spalle solo una pesante storia di lotte. Portiamo sulle spalle la dignità di un popolo ma anche le speranze dei popoli europei. E’ un carico troppo pesante per essere ignorato».
Per Tsipras, l’atteggiamento del governo greco non dipende da presunte «fissazioni ideologiche», è «una questione di democrazia. Non abbiamo il diritto di seppellire la democrazia nel paese in cui è nata». Una dichiarazione che mette al centro il problema politico: l’ex trojka continua a insistere su questioni che sa di non poter ottenere. Sembrerebbe che il suo scopo sia quello di arrivare allo scontro. O almeno fare la faccia feroce fino all’ultimo istante, sperando di poter destabilizzare i «ribelli di Atene».
Il tentativo va avanti da mesi ma Tsipras, finché resiste, rimane sempre un grande «eroe» popolare. Mentre l’Europa fa figure sempre più penose anche su questioni non riguardanti la crisi, come i flussi migratori.
Ha ragione Tsipras a pensare a un attacco politico contro il suo governo? Vediamo i fatti. Secondo le dichiarazioni del vice premier greco Dragasakis, domenica pomeriggio a Bruxelles i negoziatori greci si sono visti respingere le proprie proposte, semplicemente perché non includevano nuovi tagli per 1,8 miliardi a un sistema pensionistico come quello greco in cui il 68,1% non supera i 483 euro. Non sappiamo (Dragasakis non ne ha fatto riferimento) se si continua anche a insistere sul pareggio di bilancio delle casse pensionistiche, quando la disoccupazione greca da anni ha il primato europeo rimanendo fissa sul 26%.
Si chiede anche di aumentare di 10 punti l’Iva sui generi alimentari e sulla corrente elettrica.
Non solo. Berlino continua a spargere la voce che la Grecia avrebbe bisogno di un «terzo prestito» di cui si sa già anche l’ammontare (40–50 miliardi). Ovviamente, Atene rifiuta un nuovo prestito perché non vuole essere un paese indebitato all’infinito. Piuttosto, chiede con insistenza che si ristrutturi quello che ha già e che la opprime: in termini assoluti non è una cifra iperbolica, circa 325 miliardi, ma rappresentano il 177% del Pil ellenico.
Nell’intreccio tra rivendicazioni paradossali e proposte oscene sul debito, si direbbe che le forze più intransigenti del fronte dei creditori abbiano ottenuto maggiore spazio, probabilmente mediando tra Fmi e gli europei. Tutto indica quindi che a livello «tecnocratico» si stia preparando una rottura degli equilibri, rischiando perfino uno scontro dagli esiti traumatici. Lo ha in qualche modo annunciato il vice cancelliere tedesco dell’Spd, annunciando paternamente di «aver perso la pazienza» con i greci.
Ma questo non allarma Atene né la popolazione greca che non ha nulla da perdere. Quello che sentono i greci è un profondo senso di offesa dal trattamento ricevuto finora dagli europei. Domani potrebbe essere convocata una manifestazione popolare ad Atene. A sostegno del governo.
Dovrebbe invece allarmare qualcun’altro in Europa che avrebbe molto da perdere dall’instabilità che si sta provocando. Qualcuno che avrebbe interesse a che Tsipras esca, con tutti i compromessi del caso, dalla trappola della recessione e della miseria, perché così potrebbe aprire la strada ad altri paesi indebitati.
Cosa succede invece? Succede che questo qualcuno crede di fare bella figura dicendo imprecisioni a ripetizione. Mi riferisco al premier italiano che domenica ha ripetuto al Corriere della Sera la frasetta sui «baby pensionati greci», malgrado lo stesso Tsipras, sulle pagine di quello stesso giornale, gli abbia detto qualche giorno prima che non ha alcun riscontro. A meno che a palazzo Chigi non si riferiscano al famigerato rapporto del Fmi sulle pensioni greche. È da marzo che ad Atene tutti ridono su quei dati balordi che danno le pensioni costare il 40% del Pil greco, tutti i greci in pensione da 57 anni e altre amenità. Sono dati che lo stesso Fmi ha riconosciuto come «non accurati» perché basati su quelli del precedente governo. Piuttosto che tassare i ricchi, Samaras era disposto a tutto.