Fonte: facebook
di Alfredo Morganti – 3 agosto 2014
Luca Ricolfi mi era “serenamente” antipatico (e lo è ancora, difatti). Ma oggi ha scritto sulla Stampa un pezzo formidabile, che meglio di tanti selfie illustra lo stato indecoroso in cui versa il nostro Paese, e che il renzismo sta amplificando alla velocità della luce. Ricolfi, senza mezze parole, mette il dito sulla piaga: assistiamo a un ritorno del “primato della politica” (ma questa definizione non mi vede d’accordo, io direi “il ritorno di un certo metodo di governo, arrogante, che vede in Palazzo Chigi una sorta di plancia di comando”), di cui sono vittime i magistrati, i sindacati, dice Ricolfi, e chiunque sia portatore di competenze e di preparazione tecnica e culturale. Tutto a vantaggio di chi manifesta, invece, fedeltà e senso di appartenenza, che diventano tout court criteri di selezione della classe dirigente. Nulla di nuovo, sembrerebbe, se non che l’accusato qui diventa Renzi in persona. L’idea è che la politica (o meglio il cerchio magico dei fedelissimi, da una parte, più l’avversario con cui si negozia segretamente) sia autosufficiente. In una formula: la politica scambia, negozia e decide, punto. Gli altri stiano sereni. Ma ciò significa, continua Ricolfi, che non si ha la minima idea dei limiti cognitivi della politica stessa e si nutre pure un disprezzo fortissimo per l’esperienza e i saperi tecnico-specialistici. Di qui la rottamazione di medici, professori, magistrati solo perché anziani, senza considerazione per le competenze, e senza valutare quelle di chi li dovrebbe avvicendare. Il populismo, conclude, non è solo appello al popolo, ma l’incapacità di riconoscere e accettare la complessità contemporanea, disprezzando i saperi che la abitano. Questa sciocca semplificazione del quadro storico-sociale e delle opportunità che esso offre è la vera tara della demagogia, che oggi si è impossessata della cultura politica.
Ho sempre pensato che alla politica non spetti l’arroganza, ma compiti ardui, difficili: avere un quadro generale della situazione, individuare i problemi, indicare prospettive, parlare all’opinione pubblica onestamente, ascoltare soprattutto, fare in modo che le decisioni siano suffragate da un livello di rappresentatività adeguato, senza sproporzioni soverchie, garantire le minoranze senza rendere impotenti le maggioranze (e viceversa), fare la sintesi, mediare, trovare soluzioni condivise dove possibile, e poi esaltare i saperi, le tecniche, ma senza concedere a queste ultime un potere strabordante, non più di quello che già esercitano per il peso sempre più forte di tecnologia e specialismi. Un senso di orgogliosa umiltà direi in breve. L’attuale scenario invece va in tutt’altra direzione. Un manipolo ha occupato Palazzo Chigi, confidando purtroppo nella disattenzione e nella pigrizia di molti. Da lì sta combattendo la sua eroica battaglia per il potere. Chi non è con loro è contro di loro. La pugna, il sacrificio solo quelle contano. I ciarlatani e i professoroni disfattisti portano sfiga e se ne vadano, qui c’è spazio solo per generosi e silenziosi combattenti, con cui il Capo sarà senz’altro prodigo. Conta solo una cosa: vincere e ricordarlo continuamente (il 41%!). Perché chi non vince deve stare zitto. Mutismo e rassegnazione, oppure passi nelle nostre file ma non si faccia scappare nemmeno un lamento. Intanto facciamo le riforme istituzionali, poi si vedrà. Con il nemico, quando non si può distruggere, si fanno patti , secondo la logica dei serial televisivi cui ci si richiama, peraltro. E bisogna andare veloci, sorprendere, fare sempre un passo più avanti degli altri, correre, perché se un giorno qualcuno corresse più veloce di te, scoprirebbe gli arcani del potere, e quindi la tua debolezza intrinseca, mentre la forza attuale è nella sorpresa indotta da un attacco portato dai ‘nuovi’ pasdaran verticalmente e direttamente al cuore dello Stato.
Quando la politica passa all’arroganza, e pretende un astratto ‘comando’, perde un bene prezioso, la sua autonomia, che non nasce facendo il vuoto, scalciando attorno ma, al contrario, calandosi nel contesto storico per confrontarsi a viso aperto con i restanti poteri. Senza rottamare chance e ambizioni, ma offrendo opportunità a tutti. Solo così cessa di essere performativa (vincere tanto per vincere) e diventa ‘trasformativa’, per cambiare le cose a vantaggio di ultimi, disagiati, diseredati. Ma per fare questo servono grandi poteri più grandi saperi, non combriccole di fedelissimi che per te si farebbero pure uccidere, almeno sinché non intravedono all’orizzonte un nuovo Capo. Di un colore purchessia.