Versi che cambiano

per Gabriella

di Alfredo Morganti

Cambiare verso al cambiatore di verso. Ecco in uno slogan l’obiettivo di Matteo Orfini, ben riassunto da Vittorio Zincone in un’intervista a ‘Sette’. Lo ammetto. Fino a ieri pensavo che compito di un’opposizione fosse semplicemente fare l’opposizione, non convincere chi ha vinto a convincersi di aver perso. Oggi mi devo ricredere? Pensateci: io stravinco le primarie (per quanto aperte pure ai neghittosi), poi stravinco pure le europee, però uno che ha perso il confronto viene a spiegarmi che le mie proposte sono sbagliate, al punto che dovrei cambiare linea e adottare quella dello stesso perdente. Curioso, no? Ma stravagante assai. Difatti, se Orfini fosse nel giusto, perché avrebbe vinto Renzi? Si vuole, nel caso, sostenere che i cittadini sbaglino? No, perché i cittadini per definizione non possono ‘sbagliare’. Essi formulano delle opinioni, la democrazia si regge sul gioco delle opinioni, il consenso è opinione, dunque i cittadini non sbagliano, ma formulano opinioni. Forse Orfini vorrebbe dire che l’opinione elettorale è andata a un candidato che ha vinto immeritatamente, per errore, proponendo una politica sbagliata? E dunque quello andrebbe convinto di questo errore, di modo che possa redimersi? Orfini vorrebbe dire che Renzi deve fare autocritica? Anzi, l’abiura?

Oppure Orfini intende quest’altra cosa: qualcuno si deve occupare di attrarre il consenso, ma ad altri spetta il compito di governare. Il consenso lo catturiamo coni i frizzi e lazzi comunicativi, e solo successivamente interviene la ragione politica per governare con altre idee, altre convinzioni, altri programmi (‘altri’ nel senso di ‘giusti’). Se così fosse sarebbe la certificazione finale che c’è un involucro esterno a uso del popolo, dove si ‘raccontano’ le storie buone a vincere (grazie a un esercito di agenzie, consulenti, squadre di comunicazione, storytelling, più dosi massicce di tv e di rete), e c’è poi una polpa politica che pochi debbono conoscere e assaggiare, ma che è il vero consesso cui siede chi decide, chi governa, chi sceglie per noi. E in questo senso la politica si ridurrebbe, nella sostanza, a chi detiene le ragioni contro chi detiene invece il ‘mero’ consenso: al primo il governo illuminato, al secondo la competizione. Al secondo l’opinione, al primo la verità. Ma è proprio questa scissione a doversi ricomporre, dicendo, semplicemente che la verità politica, in democrazia, è il consenso dei cittadini e dell’opinione pubblica.

orfini

Ma non era più facile, persino più comprensibile, fare opposizione e punto? Senza menare le mani, senza essere pregiudiziali, e pure senza essere ‘codini’, ma soltanto dire: su questo sono d’accordo, su questo no e allora faccio la mia battaglia politica. Certo, così si rischiava un po’, si doveva sfidare Renzi alla luce del sole e sul piano dell’opinione pubblica, non solo accampare la propria ragione politica all’interno del palazzo e addurre la propria giustezza, come se le opinioni contassero nulla e le proprie personali convinzioni tutto. Certo, se la politica è fondamentalmente rapporto di forza, manovra, polpa celata da una scorza di comunicazione, allora è evidente che le opinioni contino poco. Ma se la politica è lotta, confronto pubblico, agone, sfida a tutto campo persino rischiosa, l’opinione dei cittadini è tutto e non bisogna mai recriminare intorno alla sua giustezza. Ma, semplicemente, accoglierne l’esito e continuare la sfida, cercando di spostare quella stessa opinione pubblica, quello stesso consenso, quello stesso partito dalla mia parte. Poi, se uno vuole cambiare casacca è un altro paio di maniche.

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