di Alfredo Morganti – 23 maggio 2016
Dopo Berlinguer e la Iotti, tocca anche a Pietro Ingrao. Improvvisamente, scopriamo che nel PCI sarebbero stati tutti d’accordo in anticipo e per tempo con la riforma costituzionale della Boschi. Un uso così strumentale dei nostri grandi dirigenti di un tempo può venire soltanto da chi non li rispetta (e forse non li ha mai rispettati). C’è un uso anticomunista dei comunisti che non è nuovo, certo, ma di cui adesso c’è una sorta di recrudescenza. Si era sempre detto che i comunisti diventavano bravi da morti, e che prima erano solo servi dei russi e dell’ideologia. Ma per molti è così ancor oggi. Ed è forse persino inutile ribattere, come faccio peraltro anch’io, che quelle citazioni sono senza verità, perché la posizione di Berlinguer, Iotti e Ingrao era ben più articolata e complessa, visto che erano tutti proporzionalisti e comunque contro i premi di maggioranza che drogano il consenso e la rappresentanza. Inutile, perché tanto nelle citazioni c’è solo malafede.
La riprova? Se proprio tenessero alla loro memoria, dovrebbero ricordarci instancabilmente anche le restanti posizioni politiche espresso dal vecchio gruppo dirigente storico del PCI. Ingrao ad esempio parlava di ‘democrazia di massa’, ossia di un’articolazione vivissima di democrazia rappresentativa e diretta, di una sintesi politica di istituzioni e popolo per ricostituire una nuova unità nel Paese e per alzare i livelli di partecipazione dei cittadini alla ’vita’ della democrazia italiana. Ingrao voleva allargare le basi della rappresentatività, voleva rafforzare la partecipazione, voleva la ‘socializzazione della politica’, non la sua trasformazione in una ristretta cosa da ‘ceto politico’ di nominati e fedelissimi al Capo e all’establishment, com’è oggi.
La riforma ‘Boschi-Renzi più Italicum’ è tutto l’esatto contrario: ‘droga’ e ammazza la rappresentanza, divarica ancora di più le istituzioni rappresentative dal Paese, non fa né il bicameralismo perfetto, né il monocameralismo. Ma una sorta di ‘bicameralismo’ imperfetto (perché la Camera resta strabordante di deputati ma non più ‘rappresentativa’ delle forze sociali del Paese, mentre il Senato viene dimagrito e ridotto a dopolavoro dei poteri locali, pur competente ad affrontare e a decidere sui temi di rilevanza costituzionale). D’altra parte l’interesse del PCI verso le regioni e verso il principio costituzionale del decentramento è umiliato: la nuova Costituzione vuole e pratica l’accentramento per innumerevoli materie, energia su tutte. Tende a ridurre i centri di potere a uno solo, Palazzo Chigi. Insomma, il Paese che vuole il PD non è affatto il Paese che voleva il PCI. Ciò nonostante stanno tutti lì a baloccarsi con le citazioni sbrindellate e scombiccherate, estratte malevolmente dai loro contesti.
Dicevo che una volta i comunisti erano buoni solo da morti. È così anche oggi. E gli ex comunisti sono bravissimi a interpretare questa parte. Con un punto di gravità, però. Oggi le citazioni a sproposito non sono più soltanto un giudizio “positivo” post mortem e una rivalutazione (strumentale) tutta giocata a posteriori contro i comunisti ‘vivi’. Ma un modo per tornare a uccidere ancora (idealmente, moralmente, politicamente) chi non c’è più. Se proprio ci tenete tanto ai ‘giganti’ che sono stati le nostre madri e i nostri padri politici, andateveli a studiare, andate a rileggere i loro libri, i loro interventi o interviste, perché questo è il solo modo per rispettarli. Farne scempio nel modo di questi giorni, ai fini strumentali del ‘sì’, è deplorevole e sguaiato. Una cosa da veri e perfetti ignoranti, per i quali ‘vincere’ viene prima di ogni etica.