Vita intellettuale e affettiva di Benedetto Croce

per Gian Franco Ferraris
Autore originale del testo: Francesco M. Bonicelli Verrina

michele della morte - benedetto croce e la moglie - signora adele a passeggio per le strade di napoli

G. Desiderio, Vita intellettuale e affettiva di Benedetto Croce, Liberilibri Macerata 2014.

recensione di Francesco M. Bonicelli Verrina

Ho letto gran parte del volume viaggiando su un regionale, rumoroso e pericolante, ove passo, come molti del resto, una fetta considerevole della mia vita, ma è decisamente gradevole quando si ha, quasi inaspettatamente, la possibilità di poter fare questo viaggio con un personaggio come il filosofo di Pescasseroli, quasi in carne ed ossa, riletto, in maniera originale e godibile, da un giornalista, nella cui scrittura si sente davvero il tocco dell’insegnante, il quale non esita a dedicare il libro a se stesso e che non stupisce trovare in una casa editrice spregiudicata che, prima nel nostro paese, ha tradotto e dato alle stampe le opere di Ron Paul e Ayn Rand, e se ne sentiva il bisogno!

Credo che una lettura più brillante e con sfumature libertarie del grande filosofo e storico presidente, parlamentare, fondatore del PLI, non possa che giovare alla salute (ultimamente molto precaria) del dibattito e approfondimento delle diverse anime del liberalismo, fittiziamente divise nel corso della storia solo ad uso di anti-liberali o inautentici liberali.

La biografia di Giancristiano Desiderio, freschissima, si legge d’un fiato per la scorrevolezza e la levità ricca di senso, d’altro canto (per assurdo che possa sembrare) tipica delle persone e dei temi più profondi. Segue la più celebre e grande opera di Fausto Nicolini, Benedetto Croce, del 1962 e la più recente e romantica di Antonio Cordeschi, Croce e la bella Angelina. Storia di un amore, del 1994, e riesce nell’intento antico, diciamo, di superare i predecessori, senza tuttavia rinnegarli. Difetto dell’opera del primo era sicuramente il rifiuto del racconto della bellissima storia d’amore, tragica per la morte prematura di lei, con la Zampanelli, mai sposata, che assume invece un rilievo particolare nel volume di Desiderio ed è chiaro ai più, credo, quanto l’amore, in ogni sua forma, sia fecondo anche per l’intelletto.

Croce (1866-1952), orfano, abruzzese di nascita, partenopeo di adozione, romantico estimatore di Goethe, emerge quindi come filosofo della Vita, di una vita pratica (intellettuale e affettiva appunto) che ha profondamente, poderosamente vissuto, come un filosofo antico che ne Il carattere della filosofia moderna scrive: la mia simpatia va unicamente agli uomini il cui intelletto sempre e alacremente distingue. Consapevole che nessun sistema filosofico è definitivo, perché la Vita, essa non è mai definitiva (Filosofia della pratica). Pertanto, in questa cornice, che il biografo predilige, il rifiuto del sistema, ove una rilettura di Hegel lo porta ad affermare che lo spirito si realizza attuandosi nel contrasto, che è insieme armonia, delle sue varie forme (un ritorno alle origini, a Eraclito), senza mai posarsi definitivamente su nessuna di esse, liberando l’arte dal positivismo e la politica dallo Stato etico. Ministro di Giolitti, il quale sembra aver dato la più felice definizione di Croce: “Ma questo filosofo ha molto buon senso!”, autore della grande riforma della Scuola che Gentile gli ruba e Mussolini snatura “fascistizzandola”. La vita del resto, afferma in Conversazioni critiche, più che ad un sistema somiglia ad una tragedia, ove attraverso fatica e dolore si crea il bene e il vero. Molteplice, individuale, ma allo stesso tempo universalmente sentito e riconosciuto. La libertà è una sola, ma intuibile al plurale, e questa è la storia dell’Uomo, che si impone sull’idea di Necessità, comune a Marx come a Schmitt, propria dei regimi totalitari, che per vocazione hanno la pretesa di creare il regno di Dio in terra, riducendo la politica a scienza esatta e piegando la Vita a un’unica “Verità”. Qui si innesta la lettura liberale del Risorgimento come realizzazione della libertà e dell’emancipazione italiana; Croce valorizza il realismo della politica italiana di sovranità, di Giolitti, pur non smarrendo il concetto che la morale non sia disgiunta dalla politica e anzi, proprio perché non negoziabile, non può inchinarsi allo “stato etico” fascista che fa l’individuo schiavo dello Stato: forma elementare e angusta della vita pratica (Elementi di politica, del 1924). Lo stato è un male necessario per lui, come secondo von Humboldt o Mill, irrinunciabile, ma che non si può ingigantire fino a diventare Fine, ultimo e nocivo all’individuo.

È vivo solo ciò che è libero, e la Vita si oppone al culto totalitario della Morte, spettro che sembra continuare a minacciarci, anche nell’odierna cultura karaoke, figlia dello scontro mortale fra le ideologie, che Croce non ha potuto vedere, come non ha potuto vedere l’imbruttimento e la proletarizzazione del Primo Mondo, a cui tanto servirebbe ricordare queste parole crociane: la concezione liberale non è politica, ma metapolitica e non va solo oltre la politica ma anche oltre l’etica, per coincidere con una concezione totale del mondo. Il liberalismo, figlio della Storia e della pratica.

Enrico_De_Nicola_e_Benedetto_Croce

Francesco M. Bonicelli Verrina

Babelezon bookstore leggi che ti passa

Articoli correlati

Lascia un commento

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.