Fonte: Domani
«Frode elettorale»
Il costituzionalista di Perugia Mauro Volpi. «È vero che la legge legittima l’uso di uno pseudonimo o di un diminutivo o al limite del solo nome se il cognome è complicato o di difficile scrittura. Ma questo non è il caso di Giorgia Meloni. Nella sostanza c’è una frode agli elettori che deriva dal dire che lei è “una di loro”, il che corrisponde a una concezione populista e plebiscitaria che punta ad anticipare gli effetti del premierato»
Le elezioni, i capi, il popolo: l’inganno dei candidati alle europee a caccia del plebiscito
di Gianfranco Pasquino
Qui si innesta il circuito della accountability, cruciale, e intraducibile, espressione anglosassone: assunzione di responsabilità, in primis dei rappresentanti eletti e dei governanti. Quanto ai cittadini, al popolo che ha votato si renderà conto di non avere affatto sempre ragione, ma di avere sbagliato. Ne capirà le ragioni. Cambierà comportamento elettorale, dando una lezione a coloro che hanno attuato male, se non addirittura, tradito, più o meno consapevolmente, le loro promesse.
Candidarsi a una carica che già si sa che non si andrà ricoprire non è solo un inganno degli elettori (e non vale dire che gli elettori, comunque, mai tutti, già lo sanno). Soprattutto è una violazione del principio di responsabilità. Questi eletti ed elette non risponderanno mai delle loro promesse.
Non avranno nessun interesse a tenere i rapporti con il “loro” elettorato, meno che mai intraprenderanno un’attività pedagogica che risulterebbe profittevole anche per una migliore conoscenza della società in cui vivono, che vogliono rappresentare e governare. Ancora peggio, poi, quando il voto viene chiesto sulla propria persona. Non è un referendum. Tecnicamente, e le parole hanno un senso, è un plebiscito.
REFERENDUM E PLEBISCITO
Questa forma di consenso personalizzato all’estremo caratterizza la politica nei regimi autoritari. Nel rapporto elettorato (popolo) e leader (capo) è tipica di quasi tutti i regimi autoritari che abbiamo conosciuto, e conosceremo. Qualche volta il plebiscito è il modo con il quale il capo autoritario rafforza il suo potere, ma può anche perderlo. Augusto Pinochet, Cile 1988, docet.
Qualche volta apre la strada all’autoritarismo, in seguito consolidato con procedure e pratiche istituzionali giustificate con esigenze di stabilità ed efficacia che si ritiene, erroneamente, senza adeguata evidenza, non siano esaudibili dalle democrazie realmente esistenti, poco o nulla “decidenti”. Naturalmente, nessun plebiscito consente scambi di opinioni e offre la possibilità di apprendimento e di miglioramento della politica.
Tutti i plebisciti, nelle loro limitate varianti, si configurano come il massimo di delega. Il leader che sostiene che ascolterà il popolo e ne attuerà le preferenze quasi avesse il dono, la grazia (carisma), di capirle in assenza di modalità di trasmissione oltre e altre rispetto al voto di investitura, e il popolo che, affidandosi alla persona plebiscitanda, butta alle ortiche qualsiasi sua responsabilità.
Fuga dalla libertà, scrisse il grande psicologo sociale Erich Fromm con riferimento ai comportamenti dei tedeschi che aprirono la strada al Führer negli anni Venti e Trenta del secolo scorso.
Poiché in qua e in là nel mondo, ma anche in Europa, si manifestano spinte e tendenze di questo genere, sarebbe opportuno non sottovalutarle come elementi folcloristici, ma metterle in evidenza e farne risaltare le possibili conseguenze di riduzionismo della complessità della politica e di erosione non soltanto della qualità complessiva della democrazia, ma di alcune sue componenti essenziali, a cominciare dall’accountability, dalla responsabilizzazione dei governanti-rappresentanti e della cittadinanza, troppo spesso definita positivamente società civile.
Si potrebbe cominciare con una narrazione appropriata di quello che sono e potrebbero essere per la democrazia italiana (e non solo) le elezioni del parlamento europeo.