Ai margini del Medioevo

per mafalda conti
Autore originale del testo: Franco Cardini
Fonte: Minima Cardiniana

Marina Montesano, Ai margini del Medioevo. Storia culturale dell’alterità, Roma, Carocci, 2021, pp. 271, euri 21,00
Accampata tra storia medievale e antropologia culturale, Marina Montesano – medievista nell’Università di Messina – attrasse tre anni fa su di sé l’attenzione internazionale degli studiosi redigendo direttamente in inglese un sostanzioso Classical culture and witchcraft in Medieval and Renaissance Italy (Palgrave, 2018); e di lei è in uscita anche la riedizione della sintesi Caccia alle streghe (Corriere della Sera, 2021).
Questo suo nuovo libro dedicato ad alterità e marginalità esce adesso con straordinaria – e senza dubbio non programmata – tempestività, nel clima delle polemiche suscitate dal ddl Zan e in generale dal dibattito corrente sulle minoranze. Dopo la grande stagione della storia delle eresie, in Italia dominata fra Anni Sessanta e Anni Ottanta da Raffaello Morghen e Raoul Manselli, e la ventata innovativa della “Nouvelle Histoire”, gli studi di James Boswell, di Bronislaw Geremek e di altri ci hanno ormai abituati a identificare e codificare questioni a lungo lasciate in ombra, dalla pluralità delle culture subalterne nell’Europa medievale al “nonconformismo religioso” (non sempre esauritosi nell’eresia), all’omosessualità-transessualità con la connesse problematiche di genere, al vagabondaggio e al nomadismo. Un quadro intrigante, certamente composto di tasselli anche assai lontani gli uni dagli altri, ma che potrebbero trovare un comune denominatore nell’atteggiamento della maggioranza nei confronti di tali minoranze. Quali sono i meccanismi di inclusione ed esclusione? Come si crea e si definisce l’alterità? Il Medioevo è stata un’età persecutoria, come hanno affermato in passato alcuni classici della storiografia?
Sono queste le domande che si pone Marina Montesano in Ai margini del Medioevo. Storia culturale dell’alterità: vi si discutono grandi e complesse realtà nelle quali la storia culturale incontra costantemente le dinamiche sociali, del passato come del presente; basti pensare all’immenso, attualissimo problema del momento in cui la povertà diventa miseria e del trasformarsi di entrambe da questione di “vita quotidiana” e “privata” in tema urgente che coinvolge folle e regioni intere; o ai riflessi della storia del clima sui livelli della vita associata, sui quali s’incentrò la ricerca di Emmanuel Le Roy Ladurie in passato e Wolfgang Behringer più di recente.
Insomma: repressione e nonconformismo, maggioranze e marginali, riti sociali e trasgressione, assimilazioni ed esclusioni. Un campo molto ampio e vario, che richiede approfondite competenze e flessibilità metodologica con un’attenzione alla longue. In sette compendiosi capitoli redatti sempre in uno stile limpido e sorvegliato nonché ricco di note e di riferimenti bibliografico-testuali, si affrontano qui i nodi tematici della povertà, dei momenti emergenziali come i tempi di carestia e di epidemia, la “marginalità-esclusione” procurata da malattie che comportano addirittura un marchio d’infamia, le eresie religiose intrecciate alle dissidenze sociopolitiche, le tecniche di controllo e di repressione esercitate dai poteri, la presenza della superstizione e l’imporsi della persecuzione antistregonica, il ruolo del “diverso/nemico interno” coperto dalle comunità ebraiche e musulmane. Di particolare novità, e ricco di pagine affascinanti, l’ultimo capitolo dedicato, appunto, agli “ultimi”: gli zingari-gitani-rom, o per meglio dire i popoli romani, come li chiama l’autrice, e le loro splendide “culture negate”.
Il filo rosso fra questi capitoli dedicati a temi apparentemente diversi è dato dal fronte dell’eresia, molto più che semplice dissidenza religiosa. Come scrive l’autrice nell’introduzione: “L’Europa dei secoli che prendo in considerazione ha visto la costruzione di poteri in cerca di legittimazione: poteri ecclesiastici, da quello papale a quelli vescovili, dagli ordini monastici ai conventuali; poteri non ecclesiastici ma nemmeno definibili come “laici”, quali erano quelli imperiali, sovrani, feudali; il linguaggio che queste istituzioni parlano è sovente di tipo religioso, così come tutto il tema della dissidenza sembra, alla luce delle fonti, ridursi al binomio ortodossia-eresia, anche lì dove evidentemente la posta in gioco è ben diversa. Quella di eresia diviene un’accusa spendibile in situazioni differenti: contro comunità ribelli, contro poteri locali che si vogliono assoggettare, persino contro imperatori e avversari politici; dall’accusa di eresia vediamo nascere, nel corso del Quattrocento, quella di stregoneria, che diverrà comune poi nella prima età moderna”.
Alla fine, ciò che emerge è il modo in cui l’alterità non è un dato oggettivo, ma viene costruita di volta in volta, in base a coordinate sociali e culturali. È un tema praticato nell’età moderna, pensiamo soprattutto agli studi di Foucault, ma poco esplorata per l’età medievale: si tornerà necessariamente a parlarne.
Franco Cardini

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