Tra Nazareno e Italicum l’Italia affonda

per Gian Franco Ferraris
Autore originale del testo: Corradino Mineo
Fonte: facebook

di Corradino Mineo – 7 agosto 2014

Epitaffio della Jena, per la Stampa: “Ieri abbiamo finalmente scoperto che al PIL non gliene frega niente del Senato”. 

 

Repubblica: “PIL sotto zero: torna la recessione. Giù le borse, allarme dell’Europa”. Corriere: “È recessione, il PIL peggio del previsto”. La Stampa: “Ora a rischio i conti pubblici”. Renzi si deve essere morso la lingua per le baggianate dette a proposito dei decimali in più o in meno (del PIL) che non sarebbero contati nulla. Scrive Deaglio per la Stampa: il ritorno dell’Italia in recessione “indebolisce l’euro sui mercati finanziari, pone fine alla «luna di miele», breve oltre che tempestosa, tra governo e Parlamento e forse anche tra governo e Paese, si riflette immediatamente sulle valutazioni che la finanza internazionale compie sul debito pubblico italiano, facendo aumentare il temutissimo «spread», vero termometro della nostra debolezza”.

E ora? #Matteostaisereno, che ti salva Silvio! È la tesi, interessata, dei quotidiani della destra. Il Giornale: “SOS Italia: appesi al patto”,”Tranquillo Matteo, ghe pensi mi”, il Foglio. Ma il Fatto fa il contro canto: “Parlano di Italicum e l’Italia affonda”. Mentre al direttore del Sole24Ore, il calo dello 0,2% del PIL suggerisce una domanda: “Ma Renzi le cose le fa o non le fa?” E Tito Boeri risponde su Repubblica: sarebbe forse bastata una sola riforma, delle tante promesse, ma portata in fondo per dare un po’ di fiducia.

Già la fiducia, sta qui il punto. Fiducia della Merkel che l’Italia abbia finalmente trovato una guida sicura, fiducia tra consumatori e imprenditori italiani che “il verso”, l’andazzo delle cose, stia davvero cambiando. Tutta la politica di Renzi, il crono programma, la fretta ansiogena, la scelta dei simboli da abbattere, la liturgia dei rinnovatori contro i frenatori, i quali sono anche gufi e sciacalli, animali niente affatto simpatici, gli strali contro i senatori che “perdono tempo per non perdere la poltrona”, l’intera renzeide aveva questo senso: costruire un feeling diretto e personale tra il premier e gli Italiani, loro diversi quasi in tutto ma accomunati dal disgusto per le chiacchiere che tali restano, e timorosi di restare imprigionati nella palude. Grazie a tale feeling, il nostro contava di ottenere in Europa tanto credito da poter riformare senza tagliare, senza rompere uova in casa ne scontrarsi con gli interessi costituiti, ostinati nella loro difesa, che sono, certo, una gatta assai difficile da pelare.

Secondo me l’operazione non sta andando a buon fine perché Matteo Renzi, invece di infondere fiducia, sta facendo paura a molti italiani. Come quei predicatori che parlano d’amore con la faccia minacciosa e il tono troppo alto della voce. Perché ha minacciato, zittito il dissenso, corretto sprezzante suoi stessi collaboratori, trasformato l’aula del Senato in un’arena di domatori che non vogliono sentire ragioni e sfruttano il ruggito dei leoni (non tanto feroci per la verità! Intendo gli “ostruzionisti” di SEL, la Lega e i 5 stelle) per dire “non sento, non sento” a chi vorrebbe discutere della direzione di marcia. Matteo Renzi come Beppe Grillo. Sì, è questo il rischio. Che anche questo homo novus, come il suo immediato predecessore, spaventi e spaventando dissipi un grande potenziale di fiducia.

Le analisi e i commenti unanimemente chiedono oggi a Renzi di cambiare verso, ma alla sua politica. “La strada sbagliata”, Alberto Bisin, su Repubblica. “Bagno nella realtà”, di Dario Di Vico, Corriere. “Il costo delle riforme mancate”, Luca Ricolfi, la Stampa.

Si può rispondere a tutto e tutti con un atto di forza? Ammutolendo il dissenso in Senato: tutti zitti e domattina Renzi che dice: “fatto”? Anche se fatto non è, e la riforma dovrà essere cambiata, e la ferita con il Parlamento si vedrà in autunno? Qualcuno salvi Matteo, se può.

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