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Nonostante quelle splendide gambe e quei capelli rosso fuoco, la carriera di Gwyneth Evelyn – nata il 13 gennaio 1925 a Culver City – non riesce proprio a decollare. Forse rimarrà tutta la vita a lavorare negli studi di Hollywood; come suo padre Joseph, che ha sempre fatto l’elettricista per la Metro. Gwyneth è tenace, sa ballare – e in qualche film appare come una ballerina di fila – ma soprattutto sa insegnare a ballare. È una delle migliori assistenti di Jack Cole, il padre della theatrical jazz dance, il coreografo dei grandi successi di Broadway, ma soprattutto di praticamente tutti i più importanti film musicali degli anni Quaranta. Gwyneth insegna a star come Rita Hayworth, Betty Grable e Lana Turner. È lei che inventa i balletti di Gentlemen prefer blondes e che insegna a Jane Russell e a Marilyn Monroe come eseguirli: forse gli uomini preferiscono le bionde, e sposano le brune, ma nessuna le fa ballare come quella rossa. La danza è la sua vita, perché è solo grazie a quei lunghi esercizi che la piccola Gwyneth è guarita da una forma molto grave di rachitismo. E ci sono volute davvero tutta la sua pazienza e la sua tenacia.
Belva Eleanora Boosinger è nata il 14 settembre 1884 a Lichtfield, nell’Illinois. A Chicago fa la cantante nei cabaret con il nome d’arte Belle Brown. Nel 1917 sposa William Gaertner, un industriale dell’Indiana più vecchio di lei di vent’anni, ma cinque mesi dopo William chiede che il matrimonio venga annullato: sembra che il divorzio di Belva dal primo marito non sia stato registrato. Poi si sposano un’altra volta e un’altra volta si separano. L’11 marzo 1924 Walter Law viene trovato ucciso nell’auto di Belva, seduto sul sedile accanto a quello del guidatore: vicino a lui una pistola e una bottiglia di gin. La polizia rintraccia subito la donna: è a casa sua, è ancora ubriaca e indossa vestiti sporchi di sangue. Confessa che Law è il suo amante, di essere stata con lui la sera prima, ma dice di non ricordare altro. Ammette che la pistola è sua: l’ha comprata per difendersi dai ladri. Durante il processo i colleghi di Law testimoniano che Belva lo aveva già minacciato, quando lui – più giovane di lei di quasi dieci anni – ha cercato di lasciarla per tornare con la moglie e il figlio. Anche il caso di Belva accende la curiosità morbosa dei giornali e anche lei è molto bella. L’opinione pubblica assolve subito la donna: nel giugno del 1924 il tribunale ratifica una decisione presa sui giornali. Maurine intervista Belva, che dice a sua difesa: “Nessuna donna può amare un uomo abbastanza da ucciderlo. Non ne vale la pena, perché ce ne sono sempre molti di più.”. Nonostante il Tribune, come gli altri sei grandi giornali della città siano schierati dalla parte di Beulah e Belva, Maurine è una delle pochissime che crede che siano colpevoli. Comunque sia adesso ha ormai abbastanza storie da raccontare, può tornare a frequentare i seminari del professor Baker.
Per Gwen quello di Roxie sarà l’ultima interpretazione a Broadway. Si dedicherà al cinema: sarà Tish Dwyer in The Cotton Club di Francis Ford Coppola, la madre di Alice nel film di Woody Allen, la zia di Meryl Streep e Diane Keaton in La stanza di Marvin. Sono piccoli ruoli che Gwen illumina con la sua bravura. Poi continua ad aiutare Bob. Collabora alle coreografie del musical Dancin’ e del film autobiografico All That Jazz del 1979. In quel film Leland Palmer interpreta un personaggio basato essenzialmente su di lei. E continua a fare quello che ha sempre fatto, insegna a ballare. Anche alla nuova compagna di Bob, Ann Reiking. Quando Bob Fosse muore nel 1987, è naturalmente Gwen che ne cura l’eredità artistica.
Il giorno successivo all’assoluzione Beulah Annan annuncia che intende lasciare il povero Al. Dichiarerà poi che è stato a lui ad abbandonarla. Nel 1927 sposa un pugile, Edward Harlib, che lascia dopo tre mesi, accusandolo di essere violento. Nell’accordo di divorzio Beulah ottiene cinquemila dollari. Ma ormai il pubblico si sta dimenticando di lei. Il 10 marzo 1928, a soli ventotto anni, muore di tubercolesi al Chicago Fresh Air Sanatorium, dove è stata ricoverata con il nome Beulah Stephens. La salma viene riportata nel Kentucky. La sua lapide, nel cimitero della chiesa presbiteriana di Mount Pleasant Cumberland, ha la data di morte sbagliata.
Il 14 novembre 1996, al Richard Rodgers Theatre – come si chiama ormai il 46th Street theatre – va in scena una nuova produzione di Chicago. David Thompson adatta la sceneggiatura, Walter Bobbie cura la regia, mentre Ann Reinking la coreografia, cercando di rimanere il più fedele possibile allo stile di Bob Fosse e Gwen Verdon. La scenografia, scarna ed essenziale, prevede che la band sia al centro della scena, come fosse una giuria, e attorno a essa si muovono gli attori, che, quando non sono coinvolti nell’azione rimangono in scena, seduti in sedie disposte lungo il palco. Ann è Roxie, Bebe Neuwirth Velma, James Naughton Billy Flynn, mentre per la parte di Amos viene ingaggiato il grande Joel Grey. È finalmente un grande successo: i critici sono entusiasti, lo spettacolo vince sei Tony. Le repliche sono ormai più di novemila e Chicago ha il record per il revival musicale più longevo a Broadway. Un successo a cui ha contribuito il film del 2002 diretto da Rob Marshall con Renée Zellweger, Catherine Zeta Jones e Richard Gere.
Come on, babe
Why don’t we paint the town?