Fonte: facebook
Andrea Zhok: “Israele vincerà tutte le battaglie e perderà la guerra”
L’evoluzione dell’attacco israeliano al Libano mi sembra descriva una situazione non inaspettata, ma forse più netta di quanto poteva essere preventivato.
Israele sta dimostrando due cose: 1) di essere militarmente molto più forte di ogni altro avversario nell’area, esibendo una superiorità tecnologica assoluta; 2) di non riconoscere alcun limite morale all’esercizio della violenza e del proprio potere.
Sul primo punto, sembra che Israele abbia distrutto in partenza, il primo giorno, la capacità di comunicazione interna di Hezbollah, e nella guerra odierna il coordinamento attraverso un’efficace comunicazione è importante quanto i missili. La contraerea di Hezbollah sembra inesistente e Israele ha dunque il completo dominio dei cieli. L’intelligence israeliana ha evidentemente infiltrato da tempo ad ogni livello il Libano e questo ha permesso l’individuazione di sedi militari, depositi d’armi, ecc.
La leadership di Hezbollah sembra, a quanto ammettono gli stessi libanesi, integralmente sterminata in neanche tre settimane. Prima di mettere un solo soldato dell’IDF sulla linea di tiro Israele ha sventrato Hezbollah. Peraltro non è che si tratti di una strategia così inaspettata, visto che è esattamente ciò che gli USA fanno sempre: prima spianano a colpi di bombe, forti della propria superiorità aerea, e poi quando ha rimandato il nemico a modalità belliche dell’800, solo allora mette gli stivali sul campo. Credo si possa dire senza tema di smentita che la dirigenza militare di Hezbollah abbia fallito su tutta la linea. Forse era impossibile non fallire – è sempre facile parlare da bordo campo – ma il risultato è questo.
Sul secondo punto, Israele continua, in forma sempre più chiara, con le sue regole d’ingaggio prive di alcuna autolimitazione. Con un esempio, ieri per uccidere Nasrallah Israele ha abbattuto con bombe di una potenza mostruosa 10 condomini. La stima immediata dei morti civili è di almeno 300 persone. Ma questo è stato il modus operandi di Israele nel corso di tutto l’ultimo anno a Gaza.
La regola che Israele dice di adottare è: chiunque si trovi in prossimità di un qualunque obiettivo che noi riteniamo essere di interesse militare va trattato come un potenziale nemico, che può essere legittimamente eliminato. In pratica questo significa che assolutamente qualunque obiettivo civile è un obiettivo legittimo.
L’atteggiamento di Israele è volutamente di una crudezza altotestamentaria. L’idea è mutuata da un’epoca arcaica in cui i segnali dovevano il più chiari e sonori possibile: in assenza di sistemi comunicativi lo sterminio e la crudeltà servivano per far risuonare il messaggio che non bisognava sfidare il vincitore.
Israele è un paese economicamente in crisi (rating creditizio declassato da A2 a Baa1 con Outlook negativo), politicamente spaccato in maniera terminale, e tuttavia, grazie al sostegno illimitato degli USA, può presentarsi come il sostanziale padrone del Medio Oriente, che può permettersi ogni atto di bullismo internazionale, senza temere serie ripercussioni.
La mia impressione è che questa fase storica – fase che sta togliendo molti veli edulcoranti sulla realtà del mondo occidentale – stia togliendo ad Israele quel residuo velo giustificativo che si portava dietro sin dalla sua nascita, all’ombra dell’Olocausto.
Per dirla in forma popolare, Israele è stato nel corso della sua storia il campione mondiale ineguagliato del “Chiagni e fotti”.
E’ nato in forme terroristiche (Deir Yassin, King David Hotel, ecc.) e paralegali sull’onda emozionale dell’Olocausto, che gli ha consentito di avere un trattamento internazionale di favore (a partire dall’incredibile piano di partizione della Palestina che assegnava il 56,47 % del territorio a Israele, includente 500’000 ebrei – per lo più appena arrivati – e 325’000 arabi, e il 43,53 % del territorio alla Palestina, includendo 807’000 arabi e 10’000 ebrei). E ha poi continuato sistematicamente a infischiarsene di qualunque cosa passasse sotto il nome di “diritto internazionale” (dagli interventi del Mossad sul territorio di altri stati sovrani alle numerose “guerre preventive”).
Ma tutto ciò ha continuato ad essere presentato sotto l’immagine del piccolo Davide circondato da svariati Golia arabi: il ridente paesello di schietti democratici, perseguitati per invidia, circondati dalle moltitudini barbare. E chi non è d’accordo con l’agiografia è un antisemita.
Oggi Israele, che simultaneamente conduce una forma di pulizia etnica in Palestina, bombarda a tempo perso la Siria, rade al suolo quartieri del Libano, uccide diplomatici in Iran, ecc. continua a cercar di giocare il proprio Jolly vittimista nelle varie sedi internazionali, ma è vittima del proprio successo.
Davanti agli occhi di tutto il mondo (salvo i lettori del pattume giornalistico mainstream) è l’immagine di un paese armato fino ai denti con i sistemi d’arma più avanzati al mondo, che si sente in perfetto assoluto diritto ad utilizzare qualunque mezzo ritenga soggettivamente conforme ai propri obiettivi, non riconoscendo a nessun’altra entità umana o etnica uno statuto di pari dignità.
La mia impressione è che Israele vincerà tutte le battaglie e perderà la guerra. Non questa o quella guerra particolare, ma la guerra fondamentale, quella per la legittimazione della propria esistenza.