Attualità del significato storico della tragedia greca

per tonigaeta
Autore originale del testo: Antonio Gaeta

di Toni Gaeta  23 maggio 2016

Rileggendo “La nascita della tragedia” di Friedrich Wilhelm Nietzsche, mi é sembrato di rivivere le circostanze storiche che diedero origine ai drammi culturali, successivi alle invasioni nella penisola e adiacenti isole dei popoli indoeuropei: quelli che noi definiamo “Greci”. Mi é sembrato, in particolare, di scorgere qualcosa di decisamente nuovo nella definizione di “stile apollineo”, che Nietzsche propone, per indicare l’espressione sublimata dal sogno dell’ideale di bellezza, rappresentato in campo artistico in ogni creazione di tipo figurativo.

Nell’individuare come fonte d’ispirazione degli artisti la zona di luce che nella nostra psiche separa il sogno dalla realtà, Nietzsche sembra voler esaltare aspetti corporei difficilmente riconducibili alla bellezza biologica dell’essere umano: quella che, invece, le corali manifestazioni canore e danzanti dell’arte ispirata a Dioniso sembrano voler esaltare. Per questo egli sottolinea la presunta preesistente frattura tra le due forme di espressione artistica.

Tuttavia, queste valutazioni mi hanno fatto pensare a quanto le nuove culture indoeuropee dovettero faticare, per mantenere inalterato il loro dominio, giacché quello soltanto militare storicamente ha sempre mostrato la sua precarietà.

Nei rituali dionisiaci, infatti, é molto facile individuare talune caratteristiche delle antiche ritualità matriarcali, connesse con i miti agresti, durante la cui celebrazioni donne e uomini manifestavano tutta la loro devozione nei confronti della Grande Dea, con canti d’ogni tipo, balli ritmati e a volte con accoppiamenti orgiastici.

Tali manifestazioni costituivano il fondamento delle loro profonde convinzioni religiose, in base alle quali nessuno osava violare le leggi (anche non scritte) di rispetto dell’umana convivenza e dei cicli biologici di tutte le forme viventi, con conseguente adorazione degli antenati, quali esseri solo temporaneamente assenti in seno alle collettività.

Questa cultura, profondamente radicata nella Madre Terra, era di difficilissimo sradicamento. I primi popoli patriarcali invasori (come molti Achei) ne furono assorbiti.

Successivamente, i Dori, gli Ioni e gli Eoli dovettero ricorrere ai loro filosofi, per accentuare le trasformazioni dei miti matriarcali in miti patriarcali (vedi “I miti greci” di Robert Graves). Lo scopo fu quello di riuscire a inculcare nelle nuove generazioni i fondamenti culturali, che antepongono l’importanza dei codici istituzionali dello “stato diviso in classi sociali” rispetto alle leggi biologiche (o naturali) delle comunità matriarcali (vedi https://www.nuovatlantide.org/origini-sviluppi-limiti-delle-societa-patriarcali/ ).

Su quest’ultimo aspetto, frutto speculativo della mente umana, si distinsero sia Socrate sia Platone, che teorizzò persino l’autonomia delle forme oggetto di elaborazione mentale, rispetto alla realtà dei corpi.

Non é un caso che la Patristica Cristiana sviluppò concetti come quello dell’anima spirituale, rivalutando le teorie filosofiche neo-platoniche di Plotino. Aristotele merita una trattazione a parte, di cui si occupò Tommaso d’Aquino (vedi Le caratteristiche del clan matriarcale e l’associazionismo contemporaneo ).

Tutto questo divulgare di miti alterati e di connessi pensieri filosofici “scorporati” (privi di saldo riferimento terreno e di conseguente radice corporea) offrì lo spunto a volenterosi artisti, per ideare raffigurazioni scultoree e pittoriche ispirate dai “mitici ideali divini” di perfezione, che hanno costituito imprescindibili modelli per tutte le successive generazioni, soprattutto di scultori. Questo periodo storico, molto fecondo nel campo della produzione artistica di tipo figurativo, nella Storia dell’Arte é conosciuto come “Classicismo”.

Scrive Nietzsche: “La bella apparenza del mondo del sogno, in cui ciascun uomo in tutto e per tutto é artista, é all’origine di ogni arte figurativa. Noi godiamo la forma in una comprensione immediata, tutte le forme anzi ci parlano. Tuttavia, mentre il sogno é il gioco di un singolo uomo con il reale, l’arte dell’artista figurativo é il gioco con il sogno. La statua come blocco di marmo é qualcosa di molto reale, ma la realtà della statua come figura di sogno é la vivente persona del dio (raffigurato, ndr). Finché la statua come immagine fantastica sta davanti agli occhi dell’artista, egli gioca ancora con il reale; ma quando traduce questa immagine nel marmo, egli gioca con il sogno” (del divino, ndr).

“L’arte dionisiaca invece – scrive ancora Nietzsche – é basata sul gioco con l’ebrezza e con l’estasi (manifestazioni e sensazioni prettamente corporee, ndr). Sono soprattutto due le potenze che innalzano l’ingenuo uomo all’oblio di sé, proprio dell’ebrezza: l’impulso primaverile e la pozione narcotica. I loro effetti sono simbolizzati nella figura di Dioniso.”

Quest’ultimo, in verità, rappresenta ciò che emerge dalla rinnegata origine matriarcale sotto forma di reminiscenza, affiorante grazie agli effetti del vino. Lo stesso Nietzsche ammette che: “Le feste dionisiache permettono di saldare (sia pur in un limitato spazio temporale, ndr.) il legame tra uomo e uomo, che supera le divisioni tra popoli e tra classi sociali, nonché di conciliare ogni essere umano con la natura.” (così come avveniva e avviene tutt’oggi, nell’ambito delle società matriarcali ndr.).

“La terra offre spontaneamente i suoi doni – scrive ancora Nietzsche – e i più selvaggi animali si avvicinano con fare pacifico.. Il carro di Dioniso, tutto coperto di fiori, é trainato da tigri e pantere. Tutte le divisioni di casta imposte tra gli uomini dalla necessità o dall’arbitrio, spariscono: lo schiavo diventa un uomo libero, mentre l’aristocratico e il plebeo si uniscono negli stessi cori bacchici. Cantando e ballando l’uomo si esprime come membro di una più alta e più ideale comunità. Egli si sente come dentro un incantesimo ed é veramente diventato un altro. ..omissis (da qui le origini del Carnevale, ndr.).

La potenza artistica della natura gli si rivela come un argilla più nobile e un marmo più prezioso viene allora lavorato e sgrossato: l’uomo stesso, plasmato da quell’artista che é Dioniso, sta alla natura come la statua all’artista apollineo.”

In questo paragone Nietzsche pone le basi per accomunare le due forme di trasfigurazione artistica, che derivano da tradizioni culturali molto diverse tra loro: quella delle arti figurative, nata e cresciuta in Grecia (Classicismo) e quella dei canti, dei cori e dei balli, provenienti dalle tradizioni matriarcali, sebbene caratterizzate anche da rappresentazioni orgiastiche.

Nietzsche fu convinto che questa coesistenza designa il punto più alto dell’ellenismo. Egli scrive che originariamente in Grecia solo Apollo fu considerato il dio dell’arte. Il mito di quest’ultimo fu tale che, grazie alla sua potenza, riuscì persino a contenere l’irruente Dioniso, proveniente dall’Asia come una grande e forte tempesta, prima subita ma poi stemperata, fino a giungere all’abbraccio fraterno tra i due dei: Apollo e Dioniso. Da questo incontro di culture mitologiche, che egli definisce fondamenti “artistici”, a suo avviso si generò la struttura rappresentativa assolutamente innovativa, definita “tragedia”.

Un tipico esempio della funzione mediatrice della recitazione tragica in ambito sociale é rappresentato dal dramma di Clitemnestra, così come sceneggiato da Eschilo nell’Orestea. Tra tutte le tragedie scritte dai più illustri drammaturghi dell’antica Grecia credo che quest’ultima rappresenti meglio di tutte il dramma del trapasso dalla cultura matriarcale a quella patriarcale: dramma che, in quanto eredi della cultura greca, noi occidentali viviamo tutt’oggi (basti pensare alle guerre mondiali, di cui si annuncia la 3′) !

La trilogia di Eschilo (525 a.C – 456 a.C.) riunisce tre tragedie (Agamennone, Coefore, Eumenidi), che raccontano in 3 episodi un’unica storia, che si conclude con il processo a Oreste: colui che ha ucciso per vendetta e a sangue freddo la propria madre Clitemnestra e che viene pienamente assolto, “perché non ha versato sangue di consanguinei”.

Agamennone: Agamennone in partenza per la guerra di Troia uccide la figlia Ifigenia. Egli la sacrifica alla dea olimpica Artemide, per avere venti favorevoli. La madre Clitemnestra al ritorno del padre lo fa uccidere dal suo amante Egisto, per vendicare la figlia Ifigenia.

Coefore: Oreste vuole vendicare il padre Agamennone. Egli organizza un piano e uccide a sangue freddo la madre Clitemnestra, che invano gli ricorda di quando si prendeva cura di lui da bambino. La terribile vendetta è compiuta, ma subito appaiono le Erinni o Eumenidi (*) ad inseguirlo per ricordargli che il matricidio è il più terribile dei delitti. Spaventato, Oreste fugge.

Eumenidi: Oreste braccato dalle Erinni giunge ad Atene; grazie all’intervento di Atena, le Eumenidi accettano che Oreste sia giudicato non da loro ma da un tribunale di 12 membri. Durante il processo le Eumenidi sostengono che, se Oreste non verrà condannato, chiunque si riterrà libero di compiere ogni tipo di atto per la propria vendetta. Apollo e Atena difendono Oreste sostenendo che è stato generato non da sua madre ma da suo padre (!) e che, quindi, non avendo versato sangue di consanguinei, egli aveva il diritto di vendicare la morte del padre.

Il tribunale giunge ad un verdetto pari di sei a favore e sei contro. La decisione finale, spetta ad Atena, che salva Oreste assolvendolo. Perché negare il legame di sangue più naturale ed evidente tra madre e figlio? Perché mostrare l’impunità per il matricidio con la forma del teatro, che a quel tempo aveva la funzione di educare, istruire, impartire una “lezione morale”, mostrando ciò che si doveva pensare, cosa era giusto e cosa sbagliato ?

L’interpretazione tradizionale è quella secondo la quale la tragedia serviva per spiegare e giustificare l’Areopago cioè il primo tribunale greco, che affidava l’amministrazione della giustizia ad un organo dello Stato, togliendolo al sistema delle vendette di clan. Questa lettura però non spiega in alcun modo perché un figlio potesse essere assolto dall’omicidio – premeditato, per vendetta e a sangue freddo – della propria madre, con l’argomento assurdo che tra loro non vi erano rapporti di consanguineità.

Un’altra interpretazione deriva dall’osservazione che l’Orestea si colloca nell’epoca in cui si verificò lo scontro tra il modello culturale mutuale e quello dominatore. Si passa – scrive Rockwell (**) – da una prima tragedia, dove si dà un pieno consenso alla legittimità di Clitemnestra, che come regina nel proprio ruolo di responsabile dell’amministrazione della giustizia, giudica e vendica l’omicidio della figlia Ifigenia, ad un punto in cui ci si dimentica di tutto e si assolve un figlio per l’omicidio della propria madre, sostenendo addirittura che non vi è tra loro rapporto di sangue. In questo dramma con funzione normativa tutti gli ateniesi dovevano vedere che il ruolo, il potere, il valore di una regina forte e potente come Clitemnestra veniva negato, svilito, azzerato nell’esito del processo. Persino le antiche Erinni vengono ridotte al silenzio. Esse, che rappresentano il modello culturale femminile antico, dicono in coro cose straordinariamente in linea con questa interpretazione: “Io patire quest’onta ! Io, mente del passato, venire relegata sotto terra, reietta qual sudiciume!” e poi “Ahi, dèi nuovi, le leggi antiche calpestate …”.

E’ quest’ultima affermazione che lascia trasparire chiaramente il carattere manipolatorio del nuovo strumento culturale costituito dalla “tragedia”. A cominciare da questo 1′ esame, affronteremo lo studio di tutte le altre opere tragiche, per verificare quanto esse abbiano inciso sulle opinioni dell’antica democrazia ateniese e, in seguito, su quelle dei maggiori pensatori occidentali: fino a giungere ai giorni nostri.

Ad iniziare dall’Orestea, in molti drammi emergono con grande evidenza i significati (mitici) delle contrapposizioni tra dei: Apollo che esorta Oreste ad uccidere la madre parla chiaramente della volontà di giustificare lo sterminio delle società matriarcali, senza il quale l’arte apollinea non avrebbe potuto irretire le manifestazioni dionisiache. Inoltre, la funzione trasformatrice della donna interpretata da Atena: una figura femminile illustre e potente, che poteva ricordare per forza e capacità la Dea Madre, che tuttavia dimentica Clitemnestra e dichiara a favore di Oreste di essere figlio di Agamennone e non di Clitemnestra: ovvero della supremazia maschile sulla donna ! Non si può qui dimenticare anche l’ideale patriarcale di donna rappresentato da Penelope, che attende il suo marito-re per 20 anni, pur di essergli fedele !

Quindi, sulla emblematica figura di Atena (unica figlia di Zeus non casualmente nata dal cervello..) c’è da scrivere molto. Ciò che qui interessa evidenziare é l’attualità delle operazioni culturali, che traggono spunto dalla rappresentazione dei drammi umani, derivanti dalle contraddizioni della Storia.

In questo non dissimile da quella del teatro greco é oggi la funzione assunta dalla TV. Anche (o soprattutto) per questo non potremo mai capire il ruolo determinante dello “strumento mediatico”(***) ai fini dell’educazione o manipolazione delle coscienze e conoscenze umane, se mai affronteremo la nostra vera Storia, fin dalle sue radici più profonde.

(*) – Le Erinni (o Eumenidi) erano le personificazioni femminili della giustizia e perseguivano coloro che si macchiavano di delitti. Sono state spesso raffigurate con chiome di capelli formati da serpenti (spesso simbolo della Dea Madre).

(**) – Così come riportato da Riane Eisler nel “Calice e la spada”

(***) – Per ‘strumento mediatico’ qui si intende ogni forma di rappresentazione della realtà, che viene sottoposta in modo rielaborato (mediato) alla visione e all’ascolto degli spettatori.

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