di Alfredo Morganti – 30 luglio 2017
Nel tour promozionale del suo libro, che lo sta portando di città in città, Renzi è stato anche ad Agerola (Napoli) dove è stato accolto (racconta ‘Repubblica’ che lo segue passo passo) da uno striscione che recitava: “Agerola ti ha salutato al referendum con il 62% dei no”. Ecco. Ad ascoltarlo c’erano 300 persone, 150 hanno acquistato il suo libro con tanto di firma. Qui, una domanda dal pubblico ha riguardato Bersani. Mentre Renzi si è limitato a dire di D’Alema che si è sentito con Berlusconi sul tema della legge elettorale, da ciò deducendone che i due si amano (ma detto col tono del fidanzato geloso), sull’ex segretario del PD è stato ben più cattivo, direi irriguardoso alla sua maniera. In che modo? Pronunciando una versione 2.0 del vecchio ‘Fassina chi?’: ‘Samuele Bersani è un cantante che mi piace molto’. Così ha detto l’ex premier, immagino tra le rise generali dell’uditorio renzianissimo.
La lingua batte dove il dente duole, dice il proverbio. E spesso batte con astio. In una lotta (secondo i sondaggi) al centesimo di percentuale per chi avrà l’incarico da Mattarella, quella pattuglia a sinistra tutt’altro che pronta ad asserragliarsi da qualche parte, lo disturba, e pure tanto. Sono in ballo migliaia di voti di indecisi nei riguardi del PD, che se ne sono allontanati in questi mesi delusi o perplessi dopo un’infatuazione iniziale. Renzi sta studiando il sistema per riaccaparrare quei voti, e una scissione tutt’altro che scissionista (nel senso di minoritaria) non l’aiuta affatto nell’intento. Andare a destra per perdere a sinistra è proprio da sciocchi: a che pro, poi? Un po’ come quelli che tirano la coperta da una parte pensando che sia infinita. Lui quindi vorrebbe prendere tutto, fare banco, vendere l’intera collezione di tappeti. E dunque anche Pisapia fa brodo.
Oggi, difatti, Tommaso Ciriaco torna, in un retroscena, a descrivere il grande piano renziano. Che è quello di metter su un listone di centrosinistra con Campo Progressista dentro e quindi la copertura di Pisapia sul fianco (con la gioia della sinistra interna), formulando anche l’ipotesi di mutare il simbolo elettorale o almeno fare in modo che esso segnali la presenza di forze fresche di centrosinistra al suo interno. Un’operazione tipo indipendenti di sinistra, ma di più, molto più ambiziosa. Il secondo piccione della fava sarebbe quello di dare della sinistra (Articolo 1, SI, Possibile) un’idea che essa voglia solo asserragliarsi, condannandosi al compito di eterna opposizione collocata all’esterno del ‘sistema’. C’è una fascia di ex elettori PD o di elettori indecisi che potrebbe convincersi ancora a votare piddì dall’accoppiata Renzi-Pisapia, anche sospinta in ciò da un giudizio verso la sinistra non proprio lusinghiero (‘litigano su tutto e sono sempre divisi’).
Questo il piano renziano. Non una roba da scuola di guerra prussiana, insomma, ma forse efficace se si svolgesse nei termini desiderati. Che fare per contrapporsi a questo progetto (ammesso che il progetto sia questo)? Infischiarsene, pensando ai fatti propri? O cercare di rompere la tenaglia, posizionando Pisapia fuori dal centro di gravitazione piddina? Partire dai contenuti, al di là dei possibili esiti sul piano organizzativo, sia politico sia elettorale? Oppure gettarsi nella manovra politica, dare segnali di presenza laddove la zuffa è in corso, e se serve menare le mani piuttosto che guardare la scena dagli spalti, semplicemente ingurgitando pop corn? In che modo la sinistra può lasciare concretamente il segno in questa fase? A me pare che questo sia il punto vero, e di questo si discuta poco, e male, o lo so faccia in termini ancora troppo ideologici e astratti. A dimostrazione che, in fondo, la crisi della politica è anche, e forse soprattutto, il trionfo dell’astrazione.