di Nicola Boidi 15 dicembre 2015
Sono passati ormai nove mesi da quando Mario Draghi, il presidente della Bce, annunciò che avrebbe azionato l’«arma segreta» della Banca Centrale Europea per rilanciare la crescita economica dei paesi dell’ eurozona. Nel suo caso non si trattava dell’«arma fine di mondo » del Dottor Stranamore , ma di un ‘arma appunto salvifica dell’economia: il Quantitative Easing («facilitazione quantitativa», ossia l’immissione massiccia di liquidità sui mercati finanziari mediante l’acquisto di titoli finanziari pubblici e privati). Ma la manovra, contrariamente alle roboanti dichiarazioni inaugurali di Draghi, reiterate dall’annuncio di poche settimane fa di un avvenuto successo dell’operazione, pare, cifre alla mano,essere fallita.
Se l’unico mandato «istituzionale » della Bce è notoriamente quello di mantenere la stabilità dei prezzi dei beni al consumo , ossia di evitare lo«spettro» di un ‘inflazione galoppante, tenendola sul livello di guardia del 2% , uno degli obiettivi dichiarati fin dall’inizio della manovra di QE era proprio quello di avvicinare l’inflazione al livello del 2% (dato che si stagnava da anni in zona di deflazione) al fine di – in azione congiunta con una svalutazione prevista della moneta unica euro e l’abbassamento rasoterra dei tassi d’interesse sui prestiti – invogliare le imprese a investire e rilanciare la crescita economica.
Ma il pomposamente definito dalla stesso Draghi « tuonare del bazooka» del QE sembra tutt’ora aver partorito un topolino se è vero come è vero che da noi, in Italia , l’inflazione l’ottobre scorso si è attestata addirittura allo – 0,1( stessa percentuale negativa di marzo, mese di avvio del QE) dunque in piena deflazione, e nel panorama variegato del notevole differenziale d’inflazione nei vari paesi europei, se facciamo la media, stiamo sotto all’ 1,5% da quasi tre anni in qua. Se prendiamo un altro fondamentale parametro macroeconomico, il Pil ( prodotto interno lordo) nazionale, e vediamo il tasso di crescita medio nei Paesi dell’ eurozona, la modesta ripresa successiva all’avvio del QE , registrata nell’aprile scorso, 0,5% , ha subito una nuova contrazione fino a ridursi l’ottobre scorso allo 0, 3% .
Dunque il Quantitative Easing si sta dimostrando inefficace, per non dire fallimentare. Quali sono i motivi?
Su tutti campeggia l’ostracismo ideologico che la Bce di Draghi , il FMI e la Commissione europea – insomma la Troika ( o ex-Troika) – hanno applicato da anni su qualsiasi progetto di politica fiscale espansiva da parte degli Stati nazionali, ossia sulla possibilità di uno Stato membro di derogare alle regole dei trattati europei di non sforare il 3 % di deficit annuo (surplus della spesa pubblica rispetto alle entrate) o di « stampare moneta» direttamente per farsi imprenditore in prima o ultima istanza , datore pubblico di lavoro così come«soccorritore» sociale sotto forma di sussidi di disoccupazione e sostegno alla spesa sociale(assegni familiari, sanità, scuola, trasporti pubblici), politiche economiche di mano pubblica nel frattempo messe in campo dagli Stati Uniti di Obama.
La nostra Troika alla guida dell’Unione Europea vede come unici artefici virtuosi del rilancio dell’economia la politica monetaria in abbinamento al sistema finanziario, estromettendo qualsiasi ruolo delle istituzioni politiche ( Stati e governi); due entità – Banca centrale europea e banche private – che dovrebbero rilanciare il sistema privato del credito ( le banche ) e della richiesta di prestiti ( le imprese investitrici), e per questa lunga via dell’offerta economica giungere, in modo taumaturgico, a « toccare» anche il settore della domanda economica ( lavoratori dipendenti e«piccoli» lavoratori autonomi , disoccupati, pensionati e consumatori) rilanciando il sistema nel suo complesso. Mai una contraddizione più manifesta si è data tra questa illogicità di manovra economico-sociale ( o perlomeno contraria alla logica del bene collettivo) e la strada opposta di politiche keynesiane perseguita in questi anni dall’amministrazione Obama. Il fatto è che il modello europeo si prostra all’unico idolo del governo dei prezzi e dei virtuosi obiettivi del pareggio di bilancio e della riduzione del debito pubblico, il modello americano si rifà alla lezione della storia che insegna che, per combattere disoccupazione e povertà in tempo di recessione profonda, l’unico cammino percorribile è quello dell’impegno in prima persona delle istituzioni statali e governative.
Dunque già a livello teorico e di precedenti storici l’equazione rilancio del sistema creditizio=facilitazione della concessione di prestiti a imprese e famiglie= maggiori investimenti delle imprese in produzione e occupazione e maggiore consumo dei lavoratori / consumatori, è altamente opinabile, ma data per buona tale ipotesi, innanzitutto ci dobbiamo porre le due seguenti domande: 1) il QE della BCE ha rilanciato il sistema creditizio delle banche, notoriamente soggetto a scosse telluriche ed eruzioni vulcaniche da un pò di tempo in qua?; 2) ha , da parte sua, quest’ultimo riversato il presunto effetto benefico dell’operazione verso il settore privato (individui, famiglie e imprese) in questi nove mesi?
Cifre alla mano è obbligatorio rispondere ad entrambe le domande in modo negativo, se è vero come è vero che ,da una parte, per la malattia cronica del sistema bancario, malattia nota come«sofferenze bancarie », il QE ha avuto l’effetto di una toppa provvisoria e nulla più , mentre dall’altra parte l’85 % delle banche intervistate da un ‘indagine sul tema specifico confermano di non aver sostanzialmente aumentato il volume di prestiti o crediti concessi al settore privato, mentre al contrario i dati ci dicono che è continuato a crescere il credito verso il settore pubblico e con esso , in modo inesorabile, anche il debito pubblico dell’ eurozona, sia in termini assoluti che in relazione al Pil. Il fatto è che le banche condizionano la concessione di prestiti alla loro possibilità di profitto ( congruo e lecito quando si« limita» ad incamerare i tassi d’interesse previsti dal credito concesso, altamente discutibile quando si lancia alla caccia dei guadagni di finanza speculativa sotto forma di «derivati strutturati») e alla solvibilità (capacità di rimborso) del mutuatario.Ma la stagnazione prolungata se non già cronica della domanda e della crescita economiche , con scarse prospettive di profitti provenienti dall’economia reale, né invogliano le banche a concedere nuovi prestiti in misura ingente ( a onta dell’immissione di liquidità della Banca centrale ) né inducono famiglie e imprese a indebitarsi con nuovi investimenti. Inoltre se i tassi d’inflazione sono vicini allo zero o addirittura in alcuni casi negativi, e il costo del denaro – il tasso d’interesse del denaro prestato alle banche stesse dalla Bce – è prossimo allo zero (0,5), ciò nonostante il tasso d’interesse del denaro prestato a famiglie e imprese continua ad essere relativamente alto , superiore al 2%.
Per quanto riguarda la prima questione, le sofferenze bancarie – il cumulo di crediti insolventi o di difficile esigibilità da parte delle banche – è evidente che l’immissione di liquidità del QE non poteva che essere un pannicello caldo messo a coprire la voragine degli oltre 1, 2 trilioni ( 1200 miliardi ) di euro accumulati in tali fattispecie dalle banche europee al 31 dicembre 2014, oltre il doppio delle sofferenze bancarie registrate alla fine del 2009. La patologia delle banche è a un tempo effetto e concausa della crisi economica, perché un sistema creditizio con tale grado di sofferenze è strettamente connesso con la mancata crescita del Pil e con lo stato generale della disoccupazione, poiché la spirale della recessione, alimentata dalle misure di austerità della Ue peggiorano i bilanci delle famiglie e delle imprese e rendono sempre più difficile la restituzione dei debiti contratti da quest’ultimi con le banche.
Il pilastro su cui la Bce ha fondato la sua manovra, il sistema di credito privato, ha dunque rivelato di avere delle fondamenta assai fragili, nonostante se non proprio perché è sempre più concentrato, e di conseguenza sempre meno in grado di sostenere l’economia reale. Il sistema bancario europeo è al contrario impegnato in una spietata lotta per la propria sopravvivenza se , come risulta, dall’inizio della crisi ( il 2008 per l’Europa) sono falliti circa 1150 istituti bancari ( erano 6774 istituti di credito nell’ eurozona a fine 2008, sono sopravvissuti 5. 614 a fine 2014).
Anche il secondo canale attraverso cui il Quantitative Easing della Bce avrebbe dovuto rilanciare l’economia aggregata della Unione europea, la svalutazione del tasso di cambio dell’euro, con l’obbiettivo di agevolare le esportazioni, non pare essere funzionale. Il disavanzo o surplus delle partite correnti ( notoriamente, all’interno della bilancia dei pagamenti tra esportazioni e importazioni, le transazioni effettuate da un paese per la vendita o l’acquisto di beni e servizi) è già superiore al 3,7 % , il più grande surplus al mondo di esportazioni. Un tale differenziale è dettato proprio dalla carenza di domanda interna e dall’alto tasso di disoccupazione causati dalla persistenza della recessione economica europea, e inoltre si basa sull’aspettativa che altri Paesi accumulino ampi deficit delle partite correnti, ruolo svolto fin’ora dagli Stati Uniti, quale«consumatore di ultima istanza» delle eccedenze produttive di Europa e Cina. Due prerequisiti che non è pensabile ( né auspicabile ) persistano a lungo.
Il percorso monetario unicamente privatistico del QE si dimostra così una strada inefficace e ideologica per il rilancio dell’economia europea, ma: « vuolsì così colà dove si puote ciò che si vuole e più non dimandare…» .