Fonte: facebook
di Alfredo Morganti – 7 agosto 2014
“In tutto il mondo esiste una destra e una sinistra, solo in Italia da qualche anno, in nome delle larghe intese, si tende a mescolare tutto…”. Lo ha detto in tv l’ultimo segretario del PD, Pierluigi Bersani. Credo che qui passi il solco che separi nettamente due visioni opposte della politica e della sinistra. (Detto per inciso in un mondo che sbanda e sconfina, quella posto da Bersani – la distinzione sinistra/destra – pare davvero l’ultimo limite cui appellarsi prima di cadere nell’entropia totale e nel grigiore assoluto dei Patti.) Da una parte l’idea di una politica che ‘trasforma’ (o conserva, che è comunque un punto di vista sullo stato reale del mondo). Dall’altra una politica ‘performativa’, che punta a vincere o rischiare di perdere senza spostare nulla di solido in termini di potere: vincere o perdere per occupare poltrone, e per restare lì, impaludati al centro; vincere come si vince una partita di calcio (di qui le molte metafore). Si sono liberati di Bersani in quel modo (101, Renzi, Berlusconi et similia) solo perché Bersani voleva (nei tempi lunghi, nei tempi appropriati) imprimere una svolta alla politica e al Paese che non fosse solo vincere/perdere con la politica stessa ridotta a sport. Bersani voleva smuovere la stratificazione del potere in Italia (sociale, politica, non solo nella composizione delle élite) e voleva farlo con un partito che fosse un collettivo, una squadra, dove non conta il singolo mattatore ma la forza di migliaia di persone libere di discutere, criticare, proporre, farsi valere come un vero intellettuale collettivo, mentre oggi dietro al 41% c’è il vuoto. Un partito che, se il Capo si addormentasse, funzionerebbe sempre, magari pure meglio. Era il suo modo di dire ‘no’ all’entropia di cui sopra e al ‘padronismo’ politico che uccide la politica e la trasforma in ribalta personale di questo o quello.
L’idea che si debba ‘vincere’ e non prima di tutto fare politica per (magari) vincere dopo, è così radicata che molti neoberlingueriani dell’ultima ora, quelli che si sono commossi nel trentennale a loro insaputa, hanno dimenticato (o non hanno mai saputo, appunto) che, quando Berlinguer diceva che non bastava il 51% per governare l’Italia, non confessava una qualche impotenza politica o una viltà, ma indicava un percorso, un metodo, uno stile. Non diceva come Renzi ‘voglio battere Berlusconi’ per poi farci i patti. Diceva al contrario: voglio il dialogo con la DC per poi, magari, batterla elettoralmente quando la situazione democratica si consolida e il Paese ha imboccato la strada giusta. Il nemico non era allora la DC in quanto partito popolare, erano le nefandezze che montavano nel Paese (strategia della tensione, terrorismo, golpismo, crisi, tenuta della democrazia, P2, guerra fredda). Esattamente l’opposto oggi del premier. Che pure ne avrebbe di nemici da sfidare (a partire dalla crisi economica) mentre preferisce i terreni dove l’intesa con Berlusconi appare più semplice (la riforma dello Stato). Renzi si batte come un leone su twitter o negli storytelling, ma dà fondo davvero a tutte le energie solo quando si tratta di lisciare il pelo all’ex Cav, al punto da sembrare il vero leader del partito trasversale di centro-destra-sinistra oggi in campo sulle riforme (e non solo). Non a caso anche Bersani rimarcava la stessa cosa di Berlinguer: diceva non si governa (nel senso che non si trasforma, non si fa davvero politica) con maggioranza ristrette, bipolari, frontiste. Per governare bisogna mettere all’opposizione le peggiori destre (quella berlusconiana, nella fattispecie: quindi nessuna larga intesa) e poi chiamare al lavoro tutte le risorse (anche quelle più moderate) del Paese, a partire dai semplici cittadini, senza illusioni, senza barzellette, senza fonziate. Renzi oggi è il rovescio di Berlinguer, il rovescio completo. Difatti il compromesso storico è ‘mutato’ tout court nel patto del Nazareno. Era il Paese che doveva vincere attraverso la leale collaborazione delle forze popolari. Oggi, invece, sono le forze politiche del Patto a vincere se il Paese si allinea lealmente a tutti gli 80 euro che piovono dal governo, e con cui ci si pagano al massimo i buffi. Diciamolo.