Mutazione

per Gabriella
Autore originale del testo: Alfredo Morganti
Fonte: facebook

di Alfredo Morganti – 7 agosto 2014

 

Il primato della politica più volte evocato da Renzi potrebbe significare varie cose: 1) il ‘primato’ dei giovanotti asserragliati a Palazzo Chigi, impegnati nel tentativo di colonizzare il Parlamento e il Paese; 2) il ‘primato’ della ‘comunicazione’ su ogni altro fattore (perché per costoro la politica è fondamentalmente comunicazione, e in subordine politique d’abord, come ‘politica innanzitutto’ (vedi punto 1) ma soprattutto come ‘abbordaggio politico’, men che mai grande impresa collettiva, lenta ma ostinata, per trasformare dalle fondamenta il Paese, spostando potere verso gli ultimi, i più disagiati, gli umili; 3) il ‘primato’, comunque, di qualcosa che oggi somiglia più che altro a un conflitto tra élite, gruppi di potere, lobby, mentre la società appare sempre più distaccata dalla manovra politica, dai partiti e dalle istituzioni (tanto più dopo l’ultra maggioritario a liste bloccate denominato Italicum).

Ovviamente, potrebbe anche significare tutte e tre le cose assieme. Ed è proprio il caso di Renzi. Il quale, asserragliato a Palazzo Chigi con la bandana, la spada sguainata e i suoi fidi, rivendica questo asserragliamento come ‘primato’, spara bordate da ogni spingarda mediale di cui dispone (twitter per primo, ma anche la Tv e la stampa, dove fluttuano narrazioni di ogni genere letterario, dal noir all’erotico-sensuale), e considera il Popolo più che altro un mito lontano, una massa plebiscitaria, dei tifosi incalliti oppure meri utenti del web, guardandosi soprattutto dalle varie élite o lobby che lo stringono da vicino e che chiedono conto. Il resto (partiti, istituzioni di democrazia rappresentativa, sindacati), solo fottutissimi corpi intermedi da mettere in un angolo e disarmare subito. Adesso!

Fatemi dire. Il ‘primato’ deve fondarsi sull’autonomia della politica, sulla capacità della politica stessa di distinguere la propria azione e i propri obiettivi rispetto alla folla attorno dei poteri tecnici e finanziari. Comunicazione compresa. Non è semplice, ma è così. Oggi l’impresa renziana è un’impresa viepiù comunicativa, e dunque si offre mani e piedi alla tecnica, rivendicando alla politica un primato che sa di millanteria. E poi si fa presto a prendersela coi funzionari dello Stato, a costruire antagonisti narrativi di quel tipo. I veri avversari di un uomo politico sono gli altri politici. Punto. La cosa davvero curiosa è che Renzi, invece, fa i caminetti col “principale esponente dello schieramento a noi avverso” e poi si ostina a voler rottamare alcuni suoi colleghi di partito, fa la guerra ai sindacalisti, indica i funzionari dello Stato come avversari. È perlomeno paradossale rispetto alla rivendicazione di un ‘primato’. Renzi, in effetti, esercita soprattutto un potere tecnico (non politico) tra gli altri: sembra a capo di un lobby toscana, guida un manipolo di fedelissimi, si ispira all’antipoliticismo d’abord, si chiama fuori schifato dalle manifestazioni più classiche (i riti) della politica, guarda al parlamento come a un luogo di banditi e sordidi agguati, pensa al sindacato come a una zavorra dello sviluppo. Cos’è questa? Politica o lobbismo? Politica o tecnica? Politica o antipolitica?

Chiudo. Mario Tronti, presentando il libro del povero Lucio Magri, Il sarto di Ulm, ci spiega la differenza tra rinnovamento e mutazione: “Per una grande forza politica, il rinnovamento o è nella continuità o non è un rinnovamento, è piuttosto una mutazione”. Si riferiva al PCI, ma è ancor più valido per il PD. Per la mutazione genetica in cui è incorso questo partito (non partito). Serviva rinnovamento, serviva l’unità per il rinnovamento, serviva la “ditta” di Bersani, serviva sostenere il suo generoso sforzo di modernizzazione politica senza Capi o Padroni, immaginato e attuato nei termini dell’impresa collettiva. E invece c’è stato l’abbordaggio, l’azione corsara, la rottamazione, l’avvento del ‘nuovo’. Sempre Tronti: il “cattivo rinnovamento” è quando lo si interpreta solamente come “passaggio di generazione”. E non come sforzo comune dell’intera ‘bocciofila’, dico io. Qui scatta la mutazione, qui è la catastrofe, qui si rompe il giocattolo, qui la “ditta” diventa manipolo di eroi asserragliato a Palazzo Chigi e il resto solo mutismo e rassegnazione. Ecco: io non ci sto. Ma mi pare si fosse già capito.

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