Biografia non autorizzata di Vincenzo De Luca

per Gabriella
Autore originale del testo: Giuseppe Manzo e Ciro Pellegrino,
Fonte: MicroMega
Url fonte: http://temi.repubblica.it/micromega-online/lo-sceriffo-di-salerno-biografia-non-autorizzata-di-vincenzo-de-luca/

di Giuseppe Manzo e Ciro Pellegrino, da MicroMega 2/2014

Un nome che fa sempre discutere, quello di Vincenzo De Luca, signore e padrone di Salerno, neocandidato del Pd alle elezioni regionali in Campania. Ex dalemiano, fassiniano, veltroniano, bersaniano e ora renziano. Sempre sul carro dei vincitori. Ecco chi è “Vicienzo ‘o funtanaro”.

Qualche ex comunista la racconta ancora, quella leggenda. Erano gli anni delle interminabili riunioni in via dei Fiorentini a Napoli, in quella che fu la sede regionale del Partito comunista prima, del Pds e dei Ds poi. Fumo di sigarette, fogli scritti a penna, voci alterate dalla rabbia, pugni battuti sui tavoli. Al centro della discussione, le candidature alle elezioni europee del 1999. Raccontano che lui, a un certo punto, esce per prendere aria. Cammina qualche centinaio di metri, arriva in piazza del Plebiscito. E lì, con un compagno di partito, un suo pretoriano, si colloca in fondo e inizia a camminare e contare con passo marziale. Uno, due, tre… e così via da Palazzo Reale fino al centro della piazza. E ancora: cinquanta, cento… fino ad arrivare all’altra parte, nell’emiciclo che contiene la bella basilica di San Francesco di Paola. La leggenda racconta che una volta conclusa questa marcia egli esclamò, rivolto al suo interlocutore: «La vedi questa piazza? Quella che farò io a Salerno sarà un passo più grande». Il fedelissimo, raccontano, annuì, un poco scettico. E lui ribadì: «Sarà la piazza più grande della Campania. Quant’è vero Iddio». È questo l’aneddoto che usano gli ex compagni per raccontare il sindaco di Salerno Vincenzo De Luca.

La scalata di Pol Pot

Duro, rigoroso, scontroso al limite dell’aggressività. Oggi si definisce «gobettiano liberale», ma il Vincenzo De Luca segretario della Federazione salernitana del Partito comunista italiano non ha mai conosciuto mediazioni o toni concilianti. Per i militanti a lui fedeli era il «professore». Per i suoi avversari, invece, era «Pol Pot». Proprio da segretario costruisce la sua fortuna politica. Per chi ha seguito e poi contestato il ventennio del «professore», l’ascesa al comune e alla scena politica nazionale è iniziata da un colpo di fortuna. Nel 1992 De Luca è vicesindaco della giunta Vincenzo Giordano, sindaco arrestato (e poi prosciolto) durante la tempesta di Tangentopoli. Fino a fine consiliatura De Luca prende le redini dell’amministrazione proponendosi come il nuovo che avanza. Un anno dopo, alle prime elezioni dirette del sindaco, vince con una lista civica ma non è un plebiscito. Al primo turno va al ballottaggio con il 27 per cento dei consensi e poi viene eletto di misura: da questo momento costruisce il suo potere e il suo consenso bulgaro. A emergere è un primo aspetto: il decisionismo. Vincenzo De Luca dimostra di essere insofferente alle procedure formali e alla burocrazia. In poco meno di 48 ore, attraverso un’ordinanza sindacale, abbatte il vecchio cementificio sul lungomare cittadino, approfittando della caduta di alcuni calcinacci. Il suo interventismo decisionista affascina i salernitani che rispondono con un sostegno larghissimo verso il loro sindaco-sceriffo.

Questo atteggiamento è arricchito da tanti aneddoti. Alcune uscite anti-rom come una famosa dichiarazione: «A Salerno gli zingari li prendiamo a calci e il cielo stellato ce lo godiamo noi». E poi ci sono i manganelli ai vigili urbani, i blitz in strada contro gli ambulanti e gli immigrati e ancora le telefonate agli impiegati comunali in piena notte, costretti ad aprire il palazzo comunale per una firma su una delibera o un’ordinanza. Ma gli anni Novanta sono, soprattutto, quelli dell’estensione del potere in maniera capillare. I suoi fedelissimi entrano nella stanze delle società partecipate, consulenze milionarie che determinano l’intervento della Corte dei conti. De Luca si muove con gli stessi meccanismi che portano all’apice del potere campano il suo acerrimo nemico: Antonio Bassolino. Uno di fronte all’altro, strenui avversari. L’allora sindaco di Napoli aveva tuttavia la vocazione per la mediazione, l’obiettivo della grande coalizione di centro-sinistra: dall’Udeur a Rifondazione. De Luca no. Vuole il controllo totale e lo esercita in maniera invasiva e aggressiva. Per usare le parole del consigliere regionale Pd Raffaele «Cucco» Petrone, «se non sei con lui ci sono due conseguenze: o resti isolato o te ne vai da Salerno».

Piano regolatore

Negli anni Duemila è eletto in parlamento ma non smette di esercitare il controllo sulla sua città. Al suo posto indica il pretoriano Mario De Biase, ma il messaggio ai salernitani è forte e chiaro sui manifesti elettorali: «Per votare De Luca vota De Biase». Lo stesso delfino si trova a tagliare nastri con la fascia tricolore ma a cedere il posto al parlamentare De Luca. Sono questi gli anni in cui scoppia il caso Mcm-Ideal Standard: la delocalizzazione di un sito industriale su cui vengono proposte varianti al Piano regolatore generale. A Montecitorio l’onorevole De Luca stringe i suoi rapporti con i grandi nomi dell’architettura: l’urbanista spagnolo Oriol Bohigas disegna il Prg che poi finirà in un cassetto e subirà profonde varianti. Tra il 2003 e il 2004 scoppia il caso Mcm. La variante prevedeva la delocalizzazione delle Cotoniere in zona Asi e la realizzazione a Fratte di un centro polivalente, con annessa galleria commerciale, supermercato Coop e il recupero della palazzina Liberty. L’intervento di riqualificazione sarebbe costato 110 milioni di euro e avrebbe offerto lavoro a 1.500 persone. Gli inquirenti ipotizzano dieci falsi, commessi tra il 2002 e il 2004, nonché il reato di truffa aggravata. Nel mirino della pubblica accusa gli amministratori pubblici e l’imprenditore Gianni Lettieri (già presidente dell’Unione industriali di Napoli nonché candidato a sindaco di Napoli nel 2011).

Nel dicembre 2013 tutti gli imputati, da De Luca (che aveva rinunciato alla prescrizione) a Lettieri, vengono assolti. Eppure, oltre alle vicende giudiziarie, emerge il nodo politico di questa prima importante cesura nel ventennio deluchiano a Salerno: i suoi rapporti con le famiglie imprenditoriali più potenti della città e della regione. A mettersi di traverso a quell’operazione è il consigliere comunale Lorenzo Forte di Rifondazione comunista e, nel partito, il consigliere regionale Petrone, che ricorda così quei mesi carichi di tensione: «Sulla variante urbanistica ero in minoranza nel partito ma chiedo l’intervento del partito nazionale che invia a Salerno il responsabile all’urbanistica. Noi facevamo affidamento su un articolo dell’architetto Vezio De Lucia che dava ragione alle nostre posizioni e al nostro il consigliere comunale Lorenzo Forte. Siamo tra il 2003 e il 2004. La Federazione sarà commissariata perché su questa partita diventiamo maggioranza con il voto contrario nella direzione provinciale. Forte», continua Petrone, «subisce intimidazioni e aggressioni per la sua opposizione alla variante. Il nostro assessore in giunta, Franco Mari, non si attiene alla posizione del comitato politico federale e noi chiediamo di sostituirlo: invece decidono di commissariare proprio Salerno. De Luca non poteva sopportare il mancato controllo sul Prc e aveva forti legami con Gennaro Migliore, delfino di Fausto Bertinotti in Campania».

O con lui o contro di lui

Vincenzo De Luca è stato sempre sul carro dei vincitori nel partito. Dalemiano, fassiniano, veltroniano, bersaniano e ora renziano, ha sempre inviato messaggi molto chiari: a Salerno comando io. Senza ammettere critiche, nemmeno dai fedelissimi che sono stati costretti, in qualche caso, a lasciare la città. Come nel caso dell’ex segretario diessino Alfredo D’Attorre che, dopo aver consumato lo strappo nel 2008, ha preferito andarsene in Calabria. Poi c’è la vicenda di Rosa Masullo, assessore alle Politiche sociali che in un processo contro un boss della camorra locale si è ritrovata da sola e senza nemmeno il comune come parte civile: Masullo aveva denunciato l’assegnazione irregolare di un alloggio popolare diventato poi vero e proprio bunker del malavitoso. E ancora, ultima in ordine di tempo, la rottura con l’ex assessore all’Urbanistica Fausto Martino. Ecco cosa scrive la giornalista del Corriere del Mezzogiorno Angela Cappetta sul suo blog: «Qualcosa andò storto e l’ex assessore si ritrovò teste principale dell’accusa in un processo (Mcm) che vedeva imputato proprio De Luca. L’assoluzione della giustizia, per il sindaco, è arrivata da qualche mese, ma il perdono non è concesso a nessuno. Soprattutto a Fausto Martino che, trovandosi nelle condizioni di poter diventare il responsabile del procedimento sul caso autorizzazione paesaggistica del Crescent, adesso si è beccato anche una diffida. Non firmata da De Luca ma dalla sua vice Eva Avossa, che intima al capo Gennaro Miccio di non far mettere il naso nel procedimento Crescent. Martino non rilascia nessun commento e non lascia neanche Salerno, come ha fatto D’Attorre».

Crescent (e non solo): la mezzaluna calante

La città «rima d’inverno» descritta dal poeta Alfonso Gatto, oggi non c’è più. Salerno è storpiata dai palazzi e ferita da una mezzaluna di cemento affacciata sul golfo, un muro di edifici nella zona portuale di Santa Teresa su un’area gigantesca, piazza della Libertà. Si tratta del Crescent, il desiderio edilizio più grande di Vincenzo De Luca, quello della leggenda raccontata dagli ex compagni comunisti. È la megapiazza sul mare al centro della quale il sindaco, al taglio del nastro, dichiarò teatralmente di voler tumulare l’urna con le sue ceneri quando sarebbe stato il momento, a simboleggiare una comunione eterna e indissolubile col progetto ideato dall’archistar catalana Ricardo Bofill. «Una muraglia alta circa 30 metri che si estende nel suo complesso per ben trecento metri, pari a tre campi di calcio, per un totale di circa 90 mila metri cubi di volumetria, che altererà per sempre in modo negativo un pezzo della città di Salerno. Tratti emblematici del lungomare e del centro storico vedranno chiudersi la visuale verso il mare e verso la costiera». È questa la definizione che gli oppositori al Crescent danno del progetto. Come per la Tav in Valsusa e il Muos in Sicilia, a Salerno è nato un trasversale movimento del no, il NoCrescent, appunto. Non solo proteste, ma anche azioni legali. L’associazione ambientalista Italia Nostra insieme ad altre realtà fra le quali Legambiente, ha presentato oltre venti denunce all’autorità giudiziaria ottenendo dapprima sospensive dei lavori, poi l’annullamento da parte del Consiglio di Stato delle autorizzazioni paesaggistiche sul piano attuativo. Nel luglio 2012 il drammatico cedimento idrogeologico di parte della megapiazza fa sorgere dubbi anche nei più ostinati e convinti sostenitori del Crescent. La storia recente, invece, è quella dei sigilli e delle inchieste: i carabinieri nel mese di novembre del 2013 hanno notificato una trentina d’avvisi di garanzia e sequestrato il cantiere. Le ipotesi sono quelle di abuso d’ufficio, falso in atto pubblico e lottizzazione abusiva, reati che secondo l’accusa sarebbero stati consumati al fine di aggirare le procedure tecniche e accelerare la realizzazione dell’opera da 100 milioni di euro che avrebbe dovuto ospitare negozi, parcheggi e appartamenti. Fra gli indagati c’è ovviamente il sindaco De Luca, insieme alla giunta e ai dirigenti comunali che nel 2008 firmarono gli atti che diedero il via all’opera.

Nel fascicolo compaiono anche il soprintendente Giuseppe Zampino e gli imprenditori scelti per la monumentale opera: Maurizio Dattilo (Sviluppo immobiliare Santa Teresa) ed Eugenio Rainone (Crescent srl). «Questa vicenda», spiega lo storico Marcello Ravveduto, docente all’Università di Salerno e attento osservatore dell’epopea De Luca, «rappresenta una cesura nella storia recente della città. Il sindaco, da sempre percepito come un vincente, ha stavolta incontrato un’opposizione via via crescente. Ha pensato che non avrebbe avuto ostacoli e invece così non è stato. Ora il paradosso è che non realizzare il Crescent significherebbe per il comune essere costretto a pagare ai costruttori, a titolo risarcitorio, 44 milioni d’euro». Sulla vicenda il primo cittadino, interpellato da MicroMega attraverso il suo ufficio stampa, non risponde. A Emiliano Fittipaldi dell’Espresso, invece, replica col suo solito sarcasmo: «Va bene dissentire dalla qualità dell’opera, ma non accetto le critiche dei somari. Io indagato? Non tengo più il conto degli avvisi di garanzia che ho avuto in vent’anni».

L’8 marzo scorso il comune ha promosso un convegno del fronte del sì al Crescent, invitato speciale Vittorio Sgarbi. Sulla locandina-invito, una frase di Italo Calvino: «Su una città che non volle cambiare e perciò decadde e venne dimenticata». Potenza della rete, da New York è arrivata la reprimenda della figlia dello scrittore, Giovanna: «Citate impropriamente una frase di Italo Calvino, per giustificare la vostra operazione. Vi suggerisco una citazione alternativa, che riflette quella che era la vera opinione di mio padre sull’argomento, e che sembra applicarsi quasi perfettamente al vostro caso: “Tutti questi nuovi fabbricati che tiravano su, casamenti cittadini di sei otto piani, a biancheggiare massicci come barriere di rincalzo al franante digradare della costa, affacciando più finestre e balconi che potevano verso mare. La febbre del cemento s’era impadronita della Riviera”. È tratta da una novella intitolata La speculazione edilizia (1957), di cui vi consiglio la lettura».

Ma il progetto di piazza della Libertà non è l’unico grattacapo dell’imperatore-rottamatore di Salerno. Il polso del dissenso si avverte attraverso i comitati civici che via via si sono costituti nel corso degli anni. C’è il Salute e vita del quartiere Fratte contro l’inquinamento prodotto dalle vecchie fonderie Pisano. C’è il comitato di Pastena, periferia orientale della città, contro la colata di cemento che potrebbe cancellare il vecchio porticciolo cittadino, il No Traforo, che riunisce i contrari alla realizzazione del tunnel che unirebbe il porto commerciale all’autostrada. L’altra preoccupazione è il buco nero nei bilanci delle società partecipate. «De Luca ha avuto successo», spiega Marcello Ravveduto, «perché è stato leader di quel blocco sociale inglobato nelle aziende pubbliche. Utilizzando una definizione della storica Gabriella Gribaudi, lo definirei un broker, un imprenditore sociale». Salerno Sistemi, Salerno Mobilità, Salerno Energia, Salerno Solidale, Centrale del latte: intorno a queste società il sindaco-sceriffo ha costruito il suo consenso. «La Centrale del latte», aggiunge lo storico, «è una delle poche realtà che in oltre ottant’anni ha sempre garantito entrate al comune, tariffe eque nell’acquisto della materia prima ai produttori della zona e vendita al dettaglio a prezzi concorrenziali. E ora la si vuole vendere ai privati».

Il linguaggio del rottamatore

«Veni, vidi, Vincenzo»: l’ultimo ad avere un’intuizione sull’imperatore-rottamatore è stato Antonio Ricci. L’autore di Striscia la notizia ha voluto una rubrica settimanale sul sindaco di Salerno e sulle sue sortite televisive ormai celebri. Lunga è la lista delle frasi, dei modi di dire, degli aggettivi. I giornalisti definiti «pipì» (cioè pronti a trovare il pelo nell’uovo in qualsiasi occasione); i detrattori definiti «pulcinella» e «jettatori», gli avversari «sfessati», «sfrantummati» o «sciammannati», i cittadini indisciplinati «somari», «animali», «cafoni». «De Luca vince le prime amministrative sostenendo di voler fare una rivoluzione. Addirittura dicendo che non avrebbe mai giurato nelle mani del prefetto», ricorda Ravveduto. «A differenza di Antonio Bassolino, che negli anni Settanta guardava anche alla borghesia, De Luca ha sempre puntato a rappresentare i ceti bassi. Basti pensare che già negli anni Novanta si definiva “sindaco della gente”. È uno dei pochi che ha capito subito la cosiddetta Seconda Repubblica; ha intuito prima degli altri le nuove vie del consenso. Il primo ad avere il linguaggio del rottamatore è stato lui».

«Io sono la destra europea»; «Spero di incontrare quel grandissimo sfessato e pipì di Marco Travaglio di notte, al buio»; «Io e Cosentino ci siamo incontrati tremila volte. E poi se porta voti che male c’è?»: sono soltanto alcune delle frasi di Vicienzo ‘a funtana, soprannominato così per la mania di abbellire le piazze (soprattutto nel suo primo mandato da sindaco). Ogni settimana esterna il suo verbo via etere, dalle telecamere dell’emittente televisiva salernitana Lira Tv nella trasmissione Salerno città europea. Alcuni monologhi, come quello sull’operazione «Cafoni zero a Salerno» sono diventati cult sulla rete. Una forza comunicativa che in rete diventa anche bersaglio di critiche feroci. Nel 2011 il primo cittadino presenta il nuovo logo della città, ideato dal designer Massimo Vignelli. Un marchio costato 200 mila euro e bocciato senz’appello dai salernitani perché «inguardabile», «brutto», «costoso». Proprio sull’onda di questa protesta, nasce un gruppo di oppositori che si muove sui social network tra la satira politica e la denuncia sociale: i Figli delle chiancarelle (in riferimento alla zona portuale degradata di Salerno, quella nella quale ora ci sono le ruspe del Crescent). Sono stati i Figli delle chiancarelle ad aver smontato in parte l’immagine dello sceriffo vincente alla guida di una città rinata: «Salerno», spiegano, «era bella anche prima del 1993: il sole, il mare, le montagne, le bellezze storiche e artistiche non le ha create De Luca».
«“Salerno è mia, io ho dato il sangue per Salerno”: De Luca si è talmente identificato», chiosa Ravveduto, «che ha commesso un errore, non considerando le opposizioni civiche che andavano via via crescendo e in luoghi diversi da quelli canonici dei partiti che il sindaco conosceva bene».

Il futuro è già scritto

Ci riproverà. Vuole palazzo Santa Lucia, vuole governare la regione Campania. Questo è l’orizzonte di Vincenzo De Luca. Qualcuno sostiene che per lui è ormai una vera e propria ossessione. Una questione personale. Oltre all’indubbia rilevanza dell’incarico, gli attenti osservatori del De Luca-pensiero legano quest’interesse a due ragioni: l’eterna competizione con Antonio Bassolino e la cocente sconfitta nel 2010 subita con la vittoria del centro-destra di Stefano Caldoro. Quell’onta va lavata con una dimostrazione di potenza, a suon di voti, ad ogni costo. Ma se De Luca approdasse in regione chi prenderebbe il suo posto? Uno scenario possibile c’è. È quello di un fedelissimo piazzato al comando del capoluogo di provincia, così come accadde a suo tempo con l’ex pretoriano Mario De Biase. In questo caso il nome è quello di Fulvio Bonavitacola. Deputato Pd, avvocato amministrativista, già presidente dell’Autorità portuale locale nonché consigliere comunale, assessore e vicesindaco, oggi Bonavitacola è il Richelieu del rottamatore meridionale. Uomo nell’ombra che, secondo i piani, al momento giusto potrebbe emergere ed «ereditare» il timone della città.

Una cosa è certa: nessuno, nemmeno Matteo Renzi, potrà avere voce in capitolo sul futuro di Salerno. De Luca negli ultimi giorni era in predicato di entrare nel governo come viceministro allo Sviluppo economico con delega alla Coesione territoriale, quella in pratica, ai fondi europei. Non se n’è fatto più nulla, ricostruisce Angelo Di Marino, direttore del quotidiano salernitano La Città, non solo per i veti posti nel governo da Angelino Alfano e Maurizio Lupi, ma anche per il no di una parte dello stesso Pd. Non era accaduto così nella formazione dell’esecutivo di Enrico Letta: lì lo «sceriffo rosso» era entrato e con una delega rilevante, quella di viceministro alle Infrastrutture e ai trasporti. Una nomina che non ha tuttavia dato i risultati sperati: il pessimo rapporto col milanese Lupi, uomo forte di Comunione e liberazione in Lombardia, oggi punta del Nuovo Centrodestra di Alfano ha di fatto reso inconsistente il ruolo di governo. Conservato tuttavia con tenacia: in quasi 10 mesi da viceministro, infatti, De Luca è stato bersagliato da più parti per aver mantenuto anche la poltrona di sindaco. Vincenzo Iurillo, giornalista del Fatto Quotidiano, ha tenuto una sorta di calendario contando uno dopo l’altro i giorni di incompatibilità, condizione sancita a novembre da una delibera dell’Agcm, l’Autorità garante della concorrenza, che su De Luca aveva aperto un procedimento: «La carica di sindaco del comune di Salerno, ricoperta dal sottosegretario di Stato alle Infrastrutture e ai trasporti De Luca è incompatibile perché i titolari di cariche governative non posso ricoprire la carica di sindaco in un comune con più di 5 mila abitanti». E lui ha replicato a modo suo: si è presentato la scorsa estate davanti al consiglio comunale sostenendo in un documento che il suo doppio ruolo era legittimo. Motivo? Semplice: come viceministro non aveva mai ricevuto le deleghe operative. «Un documento esilarante», scrive Iurillo, «ma che gli tiene aperte tutte le porte e gli fa conquistare tempo prezioso per completare in prima persona alcune importanti opere pubbliche a Salerno – la Lungo Irno e la metropolitana leggera, che dovrebbero inaugurarsi tra ottobre e i primi di novembre – e lo tiene in caldo e competitivo per una campagna elettorale da qui a breve. Se ci sarà, come è probabile. Se poi sarà quella per la presidenza della regione Campania, contro l’amata-odiata concittadina Mara Carfagna, o per un nuovo mandato da sindaco, il terzo consecutivo (possibile, per la legge), si vedrà». Voci di dentro raccontano anche d’un confronto-scontro con la deputata Pina Picierno, componente della neonata segreteria nazionale Pd, proprio in merito al doppio incarico: «Vincenzo, devi decidere: lo dice anche Matteo», lo avrebbe redarguito la Picierno in Transatlantico. «E a me cosa importa di Matteo?», avrebbe risposto caustico ‘o sindaco, troncando ogni discussione. A Salerno, 21 anni dopo, comanda lui e anche i rottamatori devono accettarlo senza batter ciglio.

La processione di san Matteo

Alle primarie del dicembre 2013 ‘o sindaco ha detto la sua coi voti. Novantasette per cento. Ecco la dote per Renzi segretario del Partito democratico. «La città di Salerno ha un’idea molto particolare di buona amministrazione», chiosa Cucco Petrone, «sacrificando l’agibilità democratica perché contro il potere di Vincenzo De Luca non ci si può schierare e non si può avere un’opinione diversa. Poco importa se lui si collochi all’interno o meno del centro-sinistra. De Luca ha un’idiosincrasia per la libertà d’opinione e per la democrazia che è stata distrutta nella città di Salerno». Ecco chi è l’uomo di Matteo Renzi in Campania, secondo il parere di chi si oppone a lui da sempre. In mezzo ci sono le inedite alleanze, dal master plan per Napoli nel 2005 presentato insieme a Cirino Pomicino ai complimenti a Silvio Berlusconi che non ha «la doppiezza dei dirigenti del Pci». Dopo oltre un ventennio sembra che per pretoriani e storici oppositori non è possibile scalzare il suo potere. Eppure un punto debole esiste: le indagini sul crac Amato. La storia potrebbe rivelarsi particolarmente grave non solo perché, come rivelato dal Fatto Quotidiano lo scorso 30 novembre, «il reato contestato, la corruzione, è più grave ma anche perché stavolta insieme a De Luca è indagato anche il figlio Piero, appena asceso a un ruolo di peso nel firmamento politico della sinistra campana. Piero De Luca è infatti uno dei quattro delegati all’assemblea nazionale per la Campania in qualità di capolista pro Renzi della circoscrizione Salerno-costiera. Oltre ai due De Luca, c’è anche un terzo indagato: Mario Del Mese, nipote di Paolo, ex parlamentare Dc e già presidente della commissione finanze dell’Udeur ai tempi del governo Prodi. Mario Del Mese è il personaggio centrale della vicenda insieme a Giuseppe Amato, erede del Pastificio Antonio Amato». Secondo il pm, Amato avrebbe pagato i costi del palco in piazza del Plebiscito per il comizio di chiusura della campagna elettorale del 2005 e in cambio avrebbe chiesto buoni uffici presso l’amministrazione comunale per una variante urbanistica relativa a un immobile del pastificio di proprietà delle imprese. Sullo sfondo c’è l’accusa a De Luca jr di un conto segreto in Lussemburgo e quella, sempre respinta, di essere socio occulto della Ifil, società chiave nell’inchiesta della procura.

Anche al congresso regionale del Pd Campania non c’è stata storia. Salerno, città bulgara: 87 per cento per la candidata renziana Assunta Tartaglione. L’outsider, il lettiano Guglielmo Vaccaro, ha denunciato brogli e occupato a oltranza la sede provinciale di Salerno. «Non è pensabile e non è possibile, tanto per fare un esempio», ha detto, «che a Fisciano, un comune di 11 mila anime del Salernitano, votino 1.550 persone in un seggio in 12 ore, con una media di una ogni 27 secondi». Denunce a parte, i numeri non danno spazi all’opposizione. Chi viene a Salerno sa chi comanda. «Però Renzi deve stare attento», è la riflessione di un ex compagno dei tempi di via dei Fiorentini. «L’unico Matteo cui Vincenzo è stato sempre fedele è il santo di Salerno, di quello non si è perso nemmeno una processione. Ma quando si tratta di politica è pronto a buttare a mare chiunque, se non gli conviene più».

(2 marzo 2015)

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