Blanchard: “Le élites hanno confidato troppo nel capitalismo”

per Gian Franco Ferraris
Autore originale del testo: Marie Charbel e Philippe Escande
Fonte: Keynes blog

Intervista di Marie Charbel e Philippe Escande a Olivier Blanchard
da Le Monde del 10 luglio 2018
Traduzione di Faber Fabbris

« Di fronte all’ascesa del populismo, i governi devono occuparsi urgentemente delle disuguaglianze », avverte l’ex capo economista del Fondo Monetario Internazionale Olivier Blanchard. Presente ai Rencontres Économiques di Aix-en-Provence, il 6 luglio scorso, Blanchard esprime timori anche sulla fragilità della moneta unica.

Le tensioni commerciali tra gli Stati Uniti e la Cina costituiscono una minaccia per la ripresa mondiale?
Nel breve termine, il rischio principale riguarda gli investimenti. Di fronte a comportamenti imprevedibili di Donald Trump, la decisione più razionale da parte delle imprese è l’attesa. A livello macroeconomico, ciò può tradursi in una riduzione degli investimenti di 1 o 2 punti di PIL: non si tratta di cifre da poco, ma neppure così catastrofiche da generare una recessione mondiale. Nel medio termine, le conseguenze sono molto più preoccupanti, soprattutto per i possibili effetti sulle relazioni internazionali.

Una coalizione fra Movimento 5 stelle [erroneamente identificato dal giornalista francese come ‘estrema sinistra’, n.d.t.] ed estrema destra ha appena preso il potere in Italia. Ne è preoccupato?
Sì. Non sappiamo ancora se il governo italiano si concentrerà sulla politica anti-immigrati o su riforme costose, incompatibili con le regole di bilancio europee. Se gli investitori dubitassero fortemente della sostenibilità del bilancio italiano, non si potrebbe più escludere un’ipotesi di uscita massiccia di capitali; si tratterebbe di un fenomeno molto vasto, al punto che la BCE o il Meccanismo Europeo di Stabilità potrebbero fare ben poco. Si potrebbe arrivare ad una uscita disordinata dall’Euro.
Ma il pericolo non si limita all’Italia: il populismo è diffuso in molti paesi membri. Non è impossibile che, fra cinque o dieci anni, un altro governo antisistema arrivi al potere, giochi con il fuoco e si bruci.

Il progetto europeo è minacciato?
Non sono troppo preoccupato per l’Unione Europea, anche se l’immagine di Bruxelles e dei suoi funzionari è disastrosa agli occhi di molti cittadini. L’UE è stata costruita per mettere fine alle guerre e costruire la pace. Non sono convinto che, per raggiungere questo scopo, sia necessario andare oltre nel processo d’integrazione, per esempio sui temi sociali.
L’euro è un progetto diverso, molto più tecnocratico. È possibile che negli anni a venire qualche stato consideri che la via della salvezza è fuori dalla moneta unica. La transizione verso l’uscita costerebbe molto cara. Ma nel peggiore dei casi, l’UE sopravvivrebbe all’euro. Dopotutto, esisteva prima della moneta unica.

n.d. Keynes blog: di parere opposto lo storico Niall Ferguson che, forse con qualche ragione in più di Blanchard, formula la previsione opposta: l’uscita dall’euro sarebbe troppo costosa e quindi è più probabile che si dissolva l’UE piuttosto che l’euro.

Denunciando gli eccessi della globalizzazione, i populisti mettono il dito su un problema reale…
Le élites politiche ed economiche sono colpevoli di non essersi preoccupate abbastanza dell’aumento delle disuguaglianze. Hanno confidato troppo nel capitalismo e nel «Washington consensu », nell’idea che il mercato sarebbe stato comunque benefico. I suoi effetti collaterali non sono stati corretti né tramite la redistribuzione, né tramite aiuti alla riconversione professionale dei lavoratori. L’apertura totale delle economie, sul mercato dei beni e su quello dei capitali, non è probabilmente la migliore delle opzioni: se non ci si occupa di questo, saranno i populisti a farlo, con le conseguenze note.

Cosa bisognerebbe fare per frenare le disuguaglianze?
Si tratta di una sfida immensa; se restiamo inerti, è molto probabile che continuino a crescere. Bisogna agire a monte, sull’educazione e sulla formazione professionale; bisogna rafforzare il peso dell’ “imposta negativa” [forma di sussidio pubblico definito sulla base del reddito, n.d.t.] per i lavoratori più poveri; e agire a valle, con imposte di successione superiori per i patrimoni dei più ricchi. Temo però che, come nel caso del riscaldamento planetario, i politici reagiscano troppo tardi.

Come evitare la distruzione di posti di lavoro collegata al progresso tecnologico?
Si disegnano davanti a noi due prospettive. Nella prima, i robot saranno posseduti da un ristretto numero di persone, e moltissime altre saranno disoccupate. Nella seconda, ciascuno possiederà un robot e potrà quindi lavorare di meno. In parole povere: l’inferno o il paradiso. Il secondo scenario impone di limitare la concentrazione dei diritti di proprietà fra le mani di pochi, perché il progresso tecnologico comporti vantaggi per tutti.

L’aumento dei tassi di interesse che si profila metterà in pericolo le finanze pubbliche?
No, perché in Europa sarà lento e progressivo, del tutto tollerabile per gli stati, a meno di elementi inattesi. Fino a quando i tassi si manterranno bassi, il livello del debito non costituirà un problema. La situazione di alcuni paesi emergenti, come l’Argentina o la Turchia, è più delicata; ma per motivi diversi. Se i tassi americani dovessero risalire più velocemente del previsto, questi paesi rischiano un violento esodo di capitali.
In questo campo, i movimenti di capitale a breve termine sono deleteri. Instaurare maggiori controlli eviterebbe che i paesi sui quali i mercati puntano, siano abbandonati da un giorno all’altro, per un semplice salto d’umore degli investitori a breve termine.

Si può dire che la finanza ha preso troppo spazio?
Più che una questione di spazio, si tratta di capire perché ci serviamo della finanza. Per evitarne gli eccessi, dobbiamo introdurre regole più stringenti. Si potrebbe innanzitutto aumentare il livello dei fondi propri delle banche, e limitare le operazioni finanziarie più rischiose. Gli istituti finanziari potrebbero sopportare questi vincoli senza alcun problema.

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