Bobbio: ai governi democratici serve la libera scienza

per Gian Franco Ferraris
Autore originale del testo: Norberto Bobbio
Fonte: La stampa

Bobbio: ai governi democratici serve la libera scienza

Per il filosofo è bene che in ogni società vi siano persone che ragionano liberamente senza possedere altra forza che quella derivante dai loro buoni argomenti

Pubblichiamo una parte del testo di Norberto Bobbio, «Democrazia e scienze sociali», discorso da lui pronunciato all’Universitat Autónoma de Barcelona nel novembre 1986.

L’ideale di una politica scientifica, vale a dire di un’azione p

olitica guidata dalla scienza, percorre tutta la storia del pensiero politico. A cominciare da Platone che vagheggiava, salvo a ricredersi dopo le disillusioni in Sicilia, il governo dei filosofi. Nell’Ottocento, vi credettero fermamente tanto i positivisti, da Comte ai darwinisti sociali, quanto Marx e i marxisti. L’ideale della politica scientifica era strettamente legato al mito del progresso irreversibile, di cui la prova irrefutabile era il progresso della scienza che si credeva fosse la condizione necessaria del progresso politico e morale dell’umanità.

Più che una speranza, un’illusione. Non esiste un rapporto immediato tra conoscenza e azione, fra teoria e prassi. Lo scienziato e il politico hanno tempi diversi: il primo può concedersi tempi lunghi; il secondo deve quasi sempre decidere in stato di necessità e di urgenza. Anche le loro responsabilità sono diverse. La responsabilità dello scienziato è quella di chiarire i termini di un problema, quella del politico è di risolverlo con una decisione, che non può essere rinviata all’infinito (in genere la decisone di non decidere non è una buona decisione, anche se frequentemente praticata). Lo scienziato può permettersi di dire: questo problema è allo stato delle nostre conoscenze insolubile, oppure è risolvibile ma mi occorrono anni di ricerca. Il politico è costretto dalle circostanze a prendere una decisione qualunque essa sia; spesso meglio una cattiva decisione che nessuna decisione. Ma una soluzione di questo genere è totalmente contraria all’etica dello scienziato. Soprattutto è diversa la loro funzione: quella del politico è di risolvere conflitti, che, non risolti, conducono una società alla perdizione; quella dello scienziato è non soltanto di chiarire i termini di un problema, ma anche di educare direttamente coloro che si dedicano a questi studi, e indirettamente il pubblico in generale, al giudizio ponderato, alla libera critica, al rifiuto delle idee tramandate, all’esigenza di conoscere prima di deliberare. Che è compito, come tutti possono vedere, a lunga scadenza, i cui effetti non sono né immediatamente né facilmente valutabili.

Diffidente nei riguardi dell’utopia platonica del filosofo-re, ma anche di quella contraria del re-filosofo, mi sono sempre inchinato con rispetto di fronte all’affermazione kantiana: «Non c’è da attendersi che i re filosofeggino o i filosofi diventino re, e neppure da desiderarlo, poiché il possesso della forza corrompe inevitabilmente il libero giudizio della ragione». A me questa affermazione pare molto bella. Il possesso della forza (e ancor di più l’uso) corrompe. È bene che in ogni società vi siano persone che possano fare libero uso della loro ragione senza possedere altra forza che quella che deriva dai buoni argomenti. Sono i “profeti disarmati” che Machiavelli derideva. Sommamente auspicabile è quella società in cui i profeti disarmati non solo sono tollerati ma sono protetti dalle pubbliche autorità. Ma quale pubblica autorità li può veramente tollerare e proteggere se non quella che è fondata sul riconoscimento dei diritti dell’uomo, di cui il primo, onde tutti gli altri derivano, è la libertà di opinione?

È vero, il rapporto tra libera scienza e politica non è immediato. Ma governo democratico e libera scienza non possono stare l’uno senza l’altra. La democrazia consente il libero sviluppo della conoscenza della società, ma la libera conoscenza della società è necessaria alla esistenza e al consolidamento della democrazia per una ragione fondamentale. John Stuart Mill scrisse che mentre l’autocrazia ha bisogno di cittadini passivi, la democrazia sopravvive solo se può contare su un numero sempre maggiore di cittadini attivi. Personalmente sono convinto del contributo decisivo che possono dare le scienze sociali alla formazione di questi cittadini e quindi in definitiva al buon funzionamento di un regime democratico.

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