Per quanto ormai da due decenni venga celebrato, il rito delle primarie rimane assai oscuro nel suo significato e nel suo cerimoniale. L’ unico elemento che a ogni tappa si ripete con implacabile regolarità riguarda l’ elogio che gli organizzatori post festum ne fanno: grande prova di democrazia, il “nostro popolo” ha compreso e risposto, forti del suo appoggio procederemo più convinti e decisi di pria.
A scanso di equivoci, va detto subito che le primarie male non fanno, o di scarsa entità, e che potrebbero fare assai bene se fossero pensate e organizzate secondo dea Ragionevolezza. Ciò che fa male è la loro acritica esaltazione, spia di una concezione meramente procedurale della vita democratica. Per tale concezione, urbi et orbi diffusa, il tasso di democrazia sembra misurarsi sulle volte che i cittadini o un loro gruppo sono chiamati a rispondere con un voto secco a domande confezionate altrove.
Si tratta, nella sostanza, di una trasposizione del meccanismo del sondaggio alla dimensione della procedura elettorale, e di schiacciare poi su quest’ ultima il significato stesso di democrazia. Meglio così che non parlare mai, neppure per monosillabi, sì o no, Tizio o Caio, come appunto nelle primarie avviene – mi si risponderà. E sono ancora d’ accordo – meno d’ accordo sul fatto di essere destinati ad accontentarci sempre del meno peggio, presentandolo magari come una provvidenziale trovata.
ENRICO LETTA – ROBERTO GUALTIERI
Tale forse le primarie avrebbero potuto essere se concepite come l’ esito di un processo di discussione e confronto all’ interno di una forza politica dotata di una propria, per quanto “mobile”, identità. Le primarie servono, allora, per designare il migliore interprete, non certo per stabilire la partitura da suonare. Non è ragionevole pensare di sostituire congressi con primarie, definire strategie politiche chiedendo al proprio “popolo”(a propositi di “populismi”) chi sia il direttore più adatto.
Adatto per che musica? Adatto perché più competente? Più fotogenico? Più noto? Più fedele ai “dirigenti”? O esiste una linea su cui si imposta il confronto, o le primarie sono fasulle dai fondamenti. Obiezione: ma i competitor rappresentano appunto prospettive diverse, che essi espongono al “popolo”, e a lui chiedono il mandato per affermare la propria “linea di condotta”.
Ma tali prospettive dove si sono formate? È esistito uno straccio di partecipazione? Sono state discusse davvero prima che i candidati le presentassero? Se una “sede” vi è dove qualche confronto abbia avuto luogo questa sono tv e social. I dirigenti del Pd, che non riescono a organizzare un congresso vero e proprio da una generazione, lo sanno benissimo. Inoltre, che tipo di confronto ha senso in primarie che abbiano una parvenza di dignità culturale? Non certo quello tra forze politiche contrapposte!
Si fanno primarie all’ interno di una parte, altrimenti si tratta, in sedicesimo, di elezioni politiche generali. La confusione regna sotto i cieli, e nulla la rende più chiara dei fatti bolognesi: qui le primarie si sono svolte di fatto tra due partiti, divisi sulla questione politica forse più importante(almeno a fini elettorali) per il centro-sinistra e il Pd, quella dei rapporti con i 5Stelle. A Roma di ciò non si è neanche parlato – eppure potrebbe darsi il caso che il Pd si trovi a dover ingoiare anche la Raggi. Come è possibile scegliere il candidato sindaco di Roma senza conoscere che cosa pensi a proposito?
A Bologna due separati a confronto, a Roma molti candidati non a sindaco, ma a consiglieri comunali (forse), poiché la “soluzione” era stracerta. La fenomenologia del rito si è così arricchita di nuove varianti.
Conoscevamo bene quella dell’ investitura plebiscitaria, integralmente succube all’ ideologia del Capo “che fa vincere”; abbiamo conosciuto quella del bellum civile mascherato, all’ epoca dei Bersani vs Renzi; oggi hanno fatto la comparsa, nella loro forma più compiuta, le primarie come succedaneo del conflitto tra parti politiche e le primarie che decidono il già deciso.
Speriamo che la fenomenologia si completi in futuro con primarie che siano l’ ultimo atto di un processo di costruzione di strategie e programmi partecipato alla base, organizzato attraverso iniziative specifiche e congressi. Ultimo atto in cui al “popolo” si chiede chi ritenga sia il dirigente che con più coerenza ed efficacia può rappresentare la strada di governo, locale o nazionale, che si è insieme deciso di intraprendere e che a tutti è dato conoscere. In attesa di un simile lieto evento, tocchiamo ferro per Roma, sperando che i 5Stelle disinneschino la mina Raggi e il Pd quella Calenda e affini.