Fonte: La Stampa
Cacciari: «Trump ha ragione, l’Ue è un fallimento. Colpa delle leadership alla Von der Leyen. Meloni, se è andata a Washington avrà avuto garanzie di ottenere qualcosina»
«L’Europa è un fallimento. Se non si parte da questo presupposto, che cosa si vuole capire delle posizioni di Trump?», sintetizza una lunga chiacchierata con una domanda brutale il professor Massimo Cacciari. Ma partiamo dall’inizio, dalla presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen che parla di un Occidente finito per come lo conoscevamo.
È d’accordo?
«Bisogna vedere di quale Occidente parla: un certo Occidente è già finito da parecchi decenni».
A cosa si riferisce?
«Per qualche secolo c’è stato l’Occidente europeo, che nel bene e nel male è stato il centro del mondo e ha avuto il suo apice nel Diciannovesimo secolo. Gli Stati europei erano una grande potenza economica e demografica con uno sviluppo impetuoso. Tutto questo è finito con la prima guerra mondiale».
Ed è iniziato l’Occidente americano…
«Gli Stati Uniti hanno superato la Gran Bretagna come Pil nel 1871, e da allora sono la prima potenza economica, militare e tecnologica al mondo. Ed esprimono una resilienza formidabile, se si pensa che mantengono il primato da un secolo e mezzo».
Ora però qualcosa sta cambiando, no?
«C’è stata la decadenza europea, grazie a leader come Von der Leyen. Dal punto di vista demografico, l’Europa ha gli stessi abitanti del 1900. L’economia europea era il 50 per cento di quella mondiale nel ’900: negli ultimi due decenni è passata dal 26 al 18 per cento del Pil globale. Di cosa stiamo parlando?».
E gli Stati Uniti?
«Negli ultimi vent’anni hanno mantenuto la loro quota di circa il 28-29 per cento del Pil mondiale: che governi Biden o Trump, mantengono il primato militare, così come nel settore di ricerca e sviluppo, con cui l’Europa ha un gap non più recuperabile».

Cosa sta succedendo adesso nei rapporti tra Occidente?
«Che gli Stati Uniti devono difendersi dalla competizione cinese e l’Europa deve cercare un accordo con il governo americano sui dazi. Solo che non avendo l’Europa una politica estera comune, una strategia comune, finirà che saranno i diversi Paesi a trattare».
Trump lo ha già detto: sui dazi tratta con l’Europa non coi singoli Paesi.
«Perché se a qualcuno toglie dazi dirà di no? Vedrà, finirà come dico io».
Morale: l’Occidente come lo conoscevamo esiste ancora o no?
«Se Von der Leyen parlasse con un briciolo di onestà intellettuale dovrebbe ammettere il decadimento drammatico dell’Europa e del suo ruolo internazionale».
È molto critico con l’Europa.
«L’Unione europea nasce sui principi: la difesa comune, certo, ma quella che sta nella cornice della Costituzione e non sceglie mai la soluzione bellica per la risoluzione dei conflitti internazionali. La sussidiarietà, ma quale abbiamo realizzato? L’Europa non sa decidere insieme sul fisco ma lo fa sulle mozzarelle. La solidarietà? Guardi cosa abbiamo fatto con la Grecia. Lasci perdere il lato ridicolo e macchiettistico di Trump, e vada alla sostanza del suo messaggio».
Che sarebbe?
«Continua a dirci che l’Europa non conta niente».
E ha ragione?
«Finché le leadership europee saranno alla Von der Leyen, sì, ha ragione».
Se questa è la premessa, cosa si aspetta dall’incontro di oggi della premier Meloni alla Casa Bianca?
«Mah, qualcosina otterrà… Se è andata avrà avuto qualche garanzia di non tornare con le pive nel sacco. Un minimo gioco di diplomazia ci sarà stato per non andare allo sbaraglio».
A giudicare da come venne trattato il presidente ucraino Zelensky alla Casa Bianca, l’impressione è che la diplomazia sia un po’ appannata al momento…
«Ma proprio dopo esibizioni trumpiane di quel livello, non penso Meloni sia così sprovveduta da essere partita senza qualche garanzia».
E cosa potrebbe ottenere?
«Magari la promessa che se l’Europa è disponibile ad andargli incontro, Trump può rivedere qualcosa… chissà».
Anche lei ha trovato la premier fare esercizio di equilibrismo tra Europa e Stati Uniti in questi mesi?
«Per forza. Trump è il leader della sua parte, il rappresentante se non più autorevole di sicuro più forte del suo schieramento politico, lei ha fatto con garbo il tifo per lui. È chiaro che non può parlargli come farebbe un socialdemocratico o un cristiano popolare: deve stare in equilibrio tra lui e Von der Leyen».
Ma la politica trumpiana dei dazi renderà l’America grande di nuovo, come dice il tycoon?
«L’America è rimasta forte com’era. In realtà lo slogan di Trump significa: come facciamo a far rimanere grande l’America? La sua risposta è: riducendo drasticamente i nostri impegni sul fronte europeo e facendo pagare i dazi».
Lei dice di non considerare l’aspetto macchiettistico di Trump: ma quello aggressivo e volgare?
«È una retorica populista che fa schifo, d’accordo, ma non è quello che conta. E una certa sinistra sbaglia a insistere su certi tratti caratteriali».
Che impressione le fa la minaccia del taglio dei fondi alle Università e lo scontro con Harvard?
«Quella di Trump è una élite che si è formata al grido dello slogan: quando vedo un intellettuale metto mano alla pistola. È un’élite che non ha a che fare con la destra neocon del passato, è una destra populista che ha fonti di ispirazione analoghe alle destre europee come quella di Le Pen, Meloni, Orban. Poi Meloni, intelligentemente, arrivata al potere si è un po’ ripensata, ma l’ispirazione è la stessa».
Ma secondo lei le decisioni di Trump stanno intaccando pezzi di democrazia?
«C’è un insieme di fattori. L’emergere di queste élite e l’incapacità dei cosiddetti democratici di riformare la funzione rappresentativa del Parlamento, anzi la loro piena adesione a ogni tentativo di rafforzamento dell’esecutivo, sta sì mandando in pezzi la democrazia rappresentativa così come l’abbiamo conosciuta finora».
Sta parlando dell’America?
«Anche dell’Europa».