Caracciolo: “Ucraina e Gaza? E’ la ‘guerra grande’ e noi la stiamo perdendo

per Gian Franco Ferraris
Autore originale del testo: Salvatore Cannavò
Fonte: Il Fatto Quotidiano

Da sabato 10 febbraio è in edicola il numero di Limes intitolato Stiamo perdendo la guerra. Tesi contundente che il direttore Lucio Caracciolo spiega in questa intervista.

Quale guerra stiamo perdendo?

Gli italiani non sono coscienti di essere finiti in guerra. Questo perché si pensa alla guerra come un combattimento di trincea in cui essere coinvolti. In realtà noi siamo dentro la “guerra grande” che si sta combattendo sia in Ucraina sia in Medioriente.

Cos’è la “guerra grande”?

“Guerra grande” è un modo abbastanza banale per dire che la competizione tra Usa, Cina e Russia si svolge in un quadro globale fatto di guerre calde come quella in Ucraina e Medioriente, o altre guerre a bassa intensità come nell’Indopacifico.

E perché stiamo perdendo?

Basta mettere in fila tutti gli effetti di questa guerra globale a cominciare dall’effetto economico negativo derivato dalla perdita del gas russo, parzialmente compensata dal gas algerino, e dalla perdita dei mercati a seguito delle sanzioni. Soprattutto si è ricreata una demarcazione nel cuore d’Europa che più che una “cortina di ferro” è una “cortina di acciaio” che dividerà per un tempo indefinito la Russia dal resto d’Europa rappresentando una minaccia permanente alla nostra sicurezza. Assistiamo poi a un disimpegno graduale degli Usa dall’Europa che, al di là di Trump, è un dato strutturale.

Non è solo la minaccia di Trump di abbandonare la Nato a rappresentare una novità? C’è una tendenza più ampia?

Trump non ha inventato nulla, da tempo era visibile che gli americani non vogliono più occuparsi di tutto il mondo, tantomeno dell’Europa. Questa tendenza si scontra con interessi economici importanti, non è semplice ritirarsi quando sei il numero uno. Ed è questo a spiegare la tensione all’interno degli apparati statunitensi che non hanno il supporto di una presidenza abile e autorevole in grado da fare da mediazione e non l’avranno nemmeno con Trump. Essendo la nostra sicurezza affidata all’ombrello Usa questo pone un notevole dilemma.

Vede un’Italia in balia degli eventi?

I fronti di insicurezza si moltiplicano se pensiamo alla penetrazione russa nel Mediterraneo con quel che ne consegue per la nostra sicurezza, sulle reti di comunicazione o di trasporto del gas marittimo. Abbiamo poi perso sempre più la nostra area di sicurezza tra i Balcani e il Nordafrica. Tutto quello che si trova intorno a noi è in fibrillazione come dimostra la situazione nel Mar Rosso. Non è un aspetto secondario, se si si chiude il Mediterraneo siamo nei guai.

In questo quadro si inserisce il conflitto israelo-palestinese?

La frattura tra Israele e il resto dell’Occidente non è mai stata così grande e al di là dell’esito di questa guerra le conseguenze saranno di lungo periodo anche per gli ebrei della diaspora. Vedo infatti un ritorno della bestia antisemita. Ciò detto, Israele sta conducendo una guerra anche contro se stessa.

Perché contro se stessa?

Perché non ha un obiettivo definito o raggiungibile, in quanto liquidare Hamas non è ottenibile e questo tipo di guerre rafforzano i terroristi. Inoltre preoccupa che si sia formata un’opinione, oltre la destra israeliana classica, che immagina di risolvere la questione palestinese con l’espulsione non solo da Gaza ma anche dalla Cisgiordania.

Eppure sembra affermarsi l’idea che Israele non si possa criticare.

Israele rischia di lacerarsi. Sarebbe stupido affermare che non si può criticare Israele, ma non riesco a vedere un’azione razionale

Vede un ruolo crescente della Germania?

La Germania sta perdendo la guerra ancora più di noi e questo influirà sulla nostra manifattura. Quel Paese ha una scarsa capacità di adattamento quando entra in crisi. Non a caso assiste a un ritorno esplicito del nazionalismo, sia con l’Afd a destra sia con il movimento di Sara Wagenknecht, che tende a dividere la Germania dell’Ovest dalla ex Ddr.

Il cancelliere Scholz ha ipotizzato il più grande piano di aumento delle spese militari.

Vedremo come e quanto spenderanno. Ma non è una questione di carri armati e aerei quanto di dover spiegare all’opinione pubblica che c’è il rischio di dover fare una guerra e la Germania di oggi non sembra così disponibile. È anche vero, però, che si è aperto un dibattito pubblico sulla bomba atomica, riflesso del disimpegno statunitense.

In un quadro del genere quale dovrebbe essere la politica internazionale italiana?

Innanzitutto assumere coscienza della realtà e della responsabilità che questa impone. Nell’editoriale di Limes propongo la necessità di un patto bilaterale speciale con gli Usa. Siamo ancora legati a loro da accordi segreti per la sicurezza che risalgono alla Seconda guerra mondiale. Dovremmo stipularne di nuovi, un trattato bilaterale Italia-Usa scambiando la loro necessità di ritirarsi da alcune zone per assumere un ruolo con il loro sostegno.

Non dovrebbe essere un compito dell’Europa?

Non riesco a immaginarlo. Sarebbe meglio riportare i piedi per terra e rendersi conto che questa Europa persegue interessi diversi che non si riescono a comporre, soprattutto a 27.

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