Cavalli imbizzarriti e scalcianti: il male, la sinistra, lo ha dentro di sè

per Gian Franco Ferraris
Autore originale del testo: Fausto Anderlini - Alfredo Morganti

 di Alfredo Morganti – 2 giugno 2017 commento al post di Fausto Anderlini riportato in calce

Ha ragione Fausto Anderlini (così lo interpreto): il male la sinistra lo ha dentro di sé, nella sua ossatura, nei suoi nervi, ed è costituito da intelligenze vivaci, brillanti, puntute, ma allo stato brado, che non sono mandria, appunto, ma cavalli imbizzarriti e scalcianti. La ‘colpa’ della sinistra è nella sua sopraggiunta e progressiva ‘riflessività’, nell’esser ricolma e traversata da liberi pensatori e brillanti giudici, menti solidamente raffinate, che appunto ‘spaccano’ il capello in quattro, quando talvolta si tratterebbe semplicemente di pettinarlo, e magari in un unico verso. Quel capello spaccato è il simbolo gelosissimo della propria orgogliosa solitudine e vanto delle proprie verità personali.

Mi piaceva il PCI perché intellettuali di valore andavano fare volantinaggio o attaccavano manifesti anche se non apprezzavano per intero la scansione concettuale del volantino che distribuivano o del foglio che incollavano, e che spesso nemmeno leggevano prima di dare la propria disponibilità. Allora c’era il partito (oggi non c’è nessuno!) che chiedeva quel gesto di umiltà, e quindi lo si faceva. Che non voleva dire monolitismo, né silenzio forzoso. Al contrario, si era molto ‘discuditori’, e si faceva notte a discutere. Ma lo si faceva nelle sedi opportune, nelle modalità più efficaci, in uno stile riconosciuto, secondo regole di rispetto personale che oggi ci sogniamo. La rottamazione di Renzi ha fatto proseliti anche tra noi (e te pareva!). L’individualismo, il dire per prima cosa ‘io’, la personalizzazione delle idee (e perciò la loro frammentazione), diciamo la verità, li abbiamo assimilati alla grande pur criticandoli. Io per primo.

Che cosa distingueva quell’esperienza politica comunista, dallo stato brado di oggi? Una sola parola: unità. Era la chiave per aprire tutto l’apribile. Unità significava la ‘mandria’ di cui Anderlini parla. Quell’essere tutti insieme a pettinare capelli (stavo per dire ‘bambole’) invece di spaccarli in quattro nel chiuso di qualche stanza, dinanzi a una tastiera, rimuginando ed enfatizzando ciò che ci divide rispetto, invece, a ciò che ci unisce o ‘deve’ unirci. Unità. Una parola semplice semplice, ma impossibile da comprendere nel mondo grande, terribile e frammentato di oggi, abitato in modo angoscioso da una sinistra riflessiva che sa soprattutto riflettere, e che perciò è sempre pronta a dividersi. Vorrei ringraziare Anderlini per le parole di saggezza che, sinceramente, gli invidio. Ma che gli invidio come si faceva una volta, con piena stima e con la voglia di emularne il pensiero. Unità. La chiave di tutto.

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il post di Fausto Anderlini – la notte prima (dell’alba)

Pensiero notturno del camelloporco insonne. Contando le poche pecorelle e sentendosi pungere dal desiderio di avere non una banca, ma una mandria.

Per sua intima inclinazione, siccome è fatta di gente istruita, riflessiva e perciò con una ipertrofica coscienza di sè, la sinistra è popolata di accaniti individualisti, di gente che spacca il capello in quattro, di giudici che non perdonano, di delusi, incompresi, acrimoniosi e sinanche idiosincratici e menagramo. Sicchè la costituzione antropologica della gente di sinistra ha questo tratto paradossale: mentre si alimenta di valori proclamati orientati al ‘noi’, alla ‘socialità’, all’uguaglianza è con essi in palese contrasto psicologico. E non per meschini interessi mal dichiarati. Ma per eccesso di generosità ideale e una qualche vocazione tragica e trascendente. Una vera malattia del comportamento, che tende ad aggravarsi con le sconfitte e la diaspora che ne segue.

Ora, ‘unire’ la sinistra, se ha un senso, significa sedare o quanto meno mediare entro limiti accettabili questa patologia. Una volta accolte le tante ‘differenze’, realizzare un ‘campo largo’ ha senso solo se in questa cultura vengono immesse dosi crescenti di gregarismo e uniformizzazione. Oppure, se si vuole usare un termine più elegante, di forte sintetizzazione. Come si diceva una volta: poche parole d’ordine ma chiare. Sulle quali marciare compatti. E una codificazione ideologica (un corpo di regole e valori) ridotta all’essenziale, ma con minima efficacia.

L’effetto ‘gregario’, o ‘massificante’, è cruciale se si vogliono avere seguaci e prendere voti. Ci sono due potenti generatori di uniformità e semplificazionismo: l’ideologia e l’affezione carismatica, cioè la fidelizzazione personalistica. Recedute le ideologie, coi loro apparati sacerdotali, è soprattutto quest’ultima ad aver occupato il campo. La destra ha sempre avuto a suo vantaggio l’intima vocazione gregarile dell’homo oeconomicus che si occupa dei propri affari e che disprezzando la politica partecipante si affida naturaliter all’uomo forte che decide per tutti. Il centro-sinistra, tormentato dal suo esuberante pluralismo e da un’ampia produzione di individui capaci di giudizio autonomo nonchè di aspiranti leader, ha invidiato a lungo il gregarismo plebiscitario di Forza-Italia. E alla fine, con il Pd renziano, lo ha fatto proprio, con annesso programma, armi e bagagli. Escludendo i vecchi militanti menagrami e discutidori per sostituirli con torme di fans rimbecilliti. Il M5S, per parte sua, ottiene gli stessi effetti gregarili col suo occultismo soteriologico e con un originale armamentario persecutorio.

Seguire queste orme sarebbe disgustoso per il camelloporco e peraltro impossibile, date le premesse. Nondimeno è necessario trovare un modo per adunare una mandria e marchiarla col proprio imprinting. .

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