Chi sarà il nuovo presidente della Commissione europea?

per Gian Franco Ferraris

di Gabriele Pastrello da facebook 28 maggio 2014

Come non era impossibile prevedere non c’è una maggioranza di centrodestra nel Parlamento europeo. Juncker può strillare finchè vuole ma una maggioranza in parlamento non ce l’ha. La formulazione dei trattati, che i governi dovranno tener conto nel designare un candidato dei risultati elettorali è troppo vaga, non gli attribuisce nessun diritto di primogenitura. Inoltre tener conto per tener conto si deve tener conto anche degli oltre cento euro-scettici, il che significa che un presidente scialbo come Juncker e identificabile con la politica dell’austerità degli ultimi anni sarebbe un suicidio politico per la destra europea. Politica di austerità che ha alimentato non solo in termini numerici l’avanzata populista, ma anche la rabbia che serpeggia su quasi tutto lo spettro, e alligna in tutti i paesi. e rischia di far diventare la Francia – come vedremo – il paese leader della dis-integrazione economica, e politica, dell’ Unione Europea.
E’ il momento di Schulz. ma Schulz deve scegliere, se essere solo un simulacro di cambiamento, o esserlo davvero. le premesse non sono buone. Intendo al di là delle sue dichiarazioni pre-elettorali condivisibili.
Ma è anche, in negativo, il momento di Hollande. la vera grande vittima ‘politica’ dell’austerità sono stati i socialisti francesi. Bisognerà tornarci, ma sulla situazione francese c’è la stessa divaricazione che sta nell’analisi dell’austerità. La Francia ha un deficit commerciale forte e crescente. La Confindustria francese e Bruxelles dicono colpa del costo del lavoro, tagliarlo. A mio parere invece la componente piu’ forte del disavanzo commerciale è che la domanda interna francese, grazie a un Welfare ancora generoso, è ancora alta e quindi importazioni alte (controprova: Spagna e Grecia hanno raggiunto un piccolo avanzo commerciale grazie al crollo della domanda interna e quindi delle importazioni). ma le esportazioni sono calibrate sulla crisi esterna, e quindi in calo. La Francia ha bisogno come l’aria di una ripresa europea, prima di eventualmente intervenire sul costo del lavoro, cioè sulla domanda interna. Perchè sta esplodendo un paradosso francese: ed è che il Welfare francese, per quanto generoso, non ha tenuto la coesione sociale. Ma è la destra a proporre un aumento del Welfare e una difesa protezionistica. In contrasto con Confindustria francese e Bruxelles, che propendono per la soluzione opposta; con esiti catastrofici. La questione è: dove sta Hollande tra questi due poli? Ha il coraggio di sostenere quell’area di politici, la gauche e Chevenement nel Ps, e economisti – tra Francia e Belgio: Fitoussy, Pisany-Ferry, De Grauwe – che hanno idee e anche sufficiente prestigio accademico per sostenere una politica veramente diversa dall’austerità? E che non siano solo aggiustamenti che, magari senza dirlo, sono pensati necessariamente come temporanei. Ma se Hollande desse retta a quell’area di politici ed economisti, e ponesse la questione con durezza in Europa si aprirebbe una contraddizione politica fortissima. Ovviamente non è nelle corde naturali di Hollande porsi in questo modo. Basta vedere come ha gettato via la vittoria elettorale. Ma qui è in gioco non solo la sua sopravvivenza politica, ma quella della Francia come attore dell’asse franco-tedesco. Con la Francia retrocessa a paese in difficoltà, o a paese leader della dis-integrazione economica dell’Unione Europea (la linea Le Pen) la Merkel, ma soprattutto la Germania, resta sola (e quindi comunque non c’è trippa per Juncker ).
Ma d’altro lato il radicamento delle idee che non sono solo di teoria economica ma profondamente politiche è fortissimo. Il nocciolo politico dell’austerità è che il mercato fa tutto. Il mercato decide i livelli e anche il tipo di occupazione, i canali (privati) e le direttrici di finanziamento (grandi opere perchè grandi profitti; e non grande massa di piccole opere, da un punto di vista keyenesiano piu’ efficienti), la spesa dello stato deve dipendere dalla ricchezza e dalla ‘benevolenza’ privata nel finanziarlo (tasse) e non la ricchezza privata dalla spesa dello stato (politiche keynesiane). Lo stato si deve astenere dall’interferire: con politiche industriali, fiscali e monetarie che ostacolino la distribuzione ‘naturale’ dei poteri decisi dal mercato. quindi se il mercato getta nella spazzatura settori che potrebbero ripartire, affare suo, la redistribuzione non si fa verso il basso, ma solo verso l’alto, la politica monetaria non deve intervenire a sostegno del bilancio dello stato. L’ostinazione tedesca su questa linea ci ha portato tra il 2011 e il 2012 sull’orlo del crollo. Evidentemente c’erano settori europei che lo capivano e volevano intervenire. Draghi era il loro uomo. Ma solo la pressione esterna Usa risolse lo scontro. e comunque anche Draghi ha giurato sul taglio del Welfare e della forza sindacale, per diventare presidente Bce (vedi l’intervista al Wall Street Journal del gennaio 2012; due mesi dopo l’insediamento).
Fino al 2012 le destre europee, e la Germania in particolare, potevano pensare di stare vincendo la rischiosa scommessa politica anti-rooseveltiana che avevano lanciato nel 2010. Roosevelt uscì dal ’29 con più potere ai sindacati e più spesa pubblica (che dopo la guerra diventò la politica di deficit spending). Ma Roosevelt doveva contrastare il pericolo politico a sinistra. A sinistra in Europa, invece, nel 2011 c’erano i resti di quella politica (sindacati e Welfare) indeboliti dalla crisi. L’austerità scommetteva che un colpo durissimo ad ambedue non avrebbe suscitato reazioni politiche destabilizzanti. E infatti le destre fino al 2012 hanno continuato a vincere in Irlanda, Grecia Portogallo e Spagna.
Ma dal 2013 la musica è cambiata (anche se il cambiamento ha cominciato a incubare nel 2012). Renzi è figlio del successo di Grillo, come Schulz potrebbe esserlo di quello della Le Pen. Bisognava cambiare cavallo. La Le Pen condanna Hollande ma anche Juncker . La protesta contro l’austerità ha raggiunto un livello politico pericoloso. Finchè le conseguenze, per quanto gravi, erano sopportate dalle popolazioni, ma non erano destabilizzanti, le élites della destra europea hanno sopportato virilmente i sacrifici altrui (come dice un icastico proverbio bolognese: fer i b… col c… di eter). Ma adesso, il consenso a destra viene eroso, e ancor peggio, l’asse portante europeo, franco-tedesco, rischia di crollare. Bisogna intervenire.
Qui si apre una contraddizione tra il nocciolo politico dell’austerità a livello di mercato (e delle potenze che lo abitano) e lo spostamento politico a livello del potere di governo. Una politica radicale che salva il secondo è in contraddizione con le condizioni di potenza del primo: quelle individuate sopra. si apre una fase difficilissima. Schulz, certo, ma con quale programma? Le barricate la destra le sta già alzando. Prima hanno tentato di lanciare la Lagarde, Schulz ha risposto a muso duro, adesso ci riprova Juncker . Ma è improponibile. quindi lo scontro si sposterà sul che fare. Dove entrano in gioco Hollande e Tsipras. Siccome è impensabile che le destre europee abbandonino i dogmi radicati nel profondo, ma siccome la crisi politica può diventare drammatica, bisognerà individuare una via d’uscita. Ce ne sono due. Una prima è una specie di stop and go. cioè l’alternarsi un po’ affannato di politiche contrastanti. Lo vedemmo tra la fine dei Sessanta e i Settanta in Gran Bretagna, nell’alternarsi di politiche espansive e restrittive. Lo abbiamo visto anche nei paesi socialisti con l’alternarsi di aperture alle riforme economiche e di successive chiusure (come in Polonia e Ungheria). Una prima cosa che potrebbe succedere (anche se Schauble ha già alzato barricate) è una dilazione dell’austerità. ufficialmente non sarà mai più che una dilazione. A meno di rotture politiche (Hollande non può neppure incominciare a ridurre il Welfare e il deficit, fuori Maastricht, al 4%, pena l’implosione). La dilazione potrebbe spostare in avanti il raggiungimento del pareggio e l’inizio della riduzione del rapporto debito/Pil. Ma questo non basterebbe; toglierebbe solo pressione deflattiva. Ci vuole uno stimolo. È già pronto: la politica annunciata da Draghi di ‘Quantitative Easing’. Tradotto. inondare di liquidità i mercati. Si dice che abbia come obbiettivo cercare di dare credito alle piccole e medie imprese. È vero solo in parte, il vero obbiettivo è la svalutazione dell’euro. siccome nessuno in Europa può fissare un tasso di cambio, si abbassano i tassi di interesse verso lo zero per fare in modo che i capitali se ne vadano e questo indebolisca l’euro, facilitando le esportazioni. in questo caso per tutti, anche e soprattutto per la Germania (e questo spiega l’adesione della Bundesbank). Cosa potrà succedere? Potrebbe esserci un rilancio del settore edilizio. Ma, ad esempio in Gran Bretagna siamo già in zona bolla. È probabile quindi che ci entrino a gonfie vele anche altri paesi, come la Spagna (ma qui occorerebbe un esame più ravvicinato dei settori edilizi nazionali). È possibile che si apra un carry trade tra l’Europa e il resto del mondo (Cina in particolare). cioè indebitarsi in euro qui per investire altrove. questo potrebbe far risalire gli spread, che avevano goduto, nell’ultimo anno della tendenza opposta. Poi naturalmente c’è la reazione delle borse. ci saranno effetti ricchezza (cioè chi guadagna sui titoli spende anche di più)? Probabilmente sono in conto. E ci sarà un rilancio delle esportazione. Renzi e Padoan in italia hanno già preparato il terreno con il Jobs Act: il rilancio delle esportazioni dovrà eventualmente essere favorito dal peggioramento delle condizioni contrattuali.
Cosa resta da fare a Schulz. Poco, e guarda caso, è quel poco che ha dichiarato di voler fare. incentivi europei per l’occupazione giovanile e fondi della Banca Europea di Investimenti per piccole e medie imprese. Ma sono gocce nel mare. ambedue le politiche devono essere perseguite a livello nazionale con numeri adeguati. Il bilancio europeo è troppo striminzito (meno dell’1% del pil europeo, già quasi tutto impegnato). Qui c’è una frase criptica di Schulz, che sembra alludere a una centralizzazione di imposte di scopo. Ad esempio rivolte all’incentivo dell’occupazione giovanile. ma è troppo criptica. Bisognerà aspettare.
Basterà per Francia e Italia? Per la Francia piuttosto no. C’è una crisi strutturale dell’industria francese, aggravata dalle dinamiche dell’austerità (meno export in europa, e più import). La politica di Draghi migliora la posizone nei confronti del resto del mondo ma lascia invariati i rapporti interni. Quindi o qualcuno è in grado di approffittarne, in base alla propria competitività, o sennò non servono. A me pare (ma qui necessito anche di conoscitori dell’industria francese) che l’Italia possa utilizzare la politica di Draghi in misura decisamente maggiore della Francia. Ma è la Francia il paese in pericolo. E la destra francese vuole una politica (più Welfare) inaccettabile per la destra nord-europea.
E le piccole e medie imprese otterranno i finanziamenti che necessitano? Penso che solo in parte l’iniezione di liquidità prenderà quella strada, virtuosa. Una gran parte finirà in Borsa e in giro per il mondo. E saremo a capo a quindici. Ma per almeno sei mesi o un anno i politici europei aspetteranno l’esito della politica di Draghi, nella speranza (o nella certezza dei loro guru economici, compreso Padoan) che quella misura basti.
Qui ci vorrebbe un grande politico con le idee molto chiare ed estremamente deciso. L’unico, che corrisponde quanto a decisione, è un peso leggero in Europa come Renzi. Ovviamente si vorrà far valere. Ma il ceto politico che ha intorno è assolutamente inadeguato per l’Italia, figuriamoci l’Europa. e l’Italia è inoltre un paese sotto controllo. Farà casino, questo si. Ma non si discosterà troppo, credo, dalla protezione della Merkel (che è stata cruciale per lui). Forse tenterà anche di accreditarsi come mediatore tra Hollande e Merkel. Da morir dal ridere. Perchè Schulz cosa ci starebbe a fare? Tanto a Renzi cosa interessano i risultati in Europa? Gli importa solo il ritorno di immagine in Italia (come a suo tempo a Mussolini e Berlusconi).
Schulz e Hollande sono messi meglio quanto a idee e personale politico. Ma sono invischiati nelle loro debolezze personali e negli accordi necessitati con la destra europea per formare la commissione.
Siamo solo agli inizi. in Francia direbbero: ce n’est q’un debut. E poi? Mah…
SCRITTO IERI PRIMA DEL NUMERO DI RENZI

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