Cinque città per salvare i cinque cerchi

per Gabriella
Autore originale del testo: Salvatore Settis
Fonte: la Repubblica
Url fonte: http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2016/09/16/cinque-citta-per-salvare-i-cinque-cerchi35.html

di Salvatore Settis  16 settembre 2016

COME saranno le Olimpiadi del futuro? Dopo i giochi invernali di Soci (Russia), che nel 2014 costarono 51 miliardi di dollari con infinite polemiche su possibili episodi di corruzione, l'”Agenda 2020″ lanciata dal presidente del Comitato Olimpico Internazionale Thomas Bach ha proposto una riflessione di fondo, basata sul saggio principio che la prassi finora corrente va ripensata, puntando su radicali cambiamenti prima che sia troppo tardi. «To change or to be changed, that is the question. Viviamo in un mondo più fragile che mai, nel quale la sostenibilità dei giochi olimpici è sempre più importante»: sostenibilità, nel senso di rispetto per l’ambiente, ma anche per la condizione economica dei cittadini e per le loro aspettative. E questo mentre, secondo Jules Boykoff (Power Games. A Political History of the Olympics, 2016), i Giochi sono ormai la scena di un “capitalismo celebrativo” che sotto il vessillo dello sport investe fondi pubblici (che sono di tutti) per generare profitti privati (in favore di pochi). Ettore Livini ha ben descritto in queste pagine (9 settembre) come le enormi spese in infrastrutture nelle ultime edizioni delle Olimpiadi, con il pesante passivo che invariabilmente le accompagna, abbiano mutato le regole del gioco, spingendo molte città a ritirare la propria candidatura per le edizioni future. Si aggiungano, a Giochi conclusi, i costi, umani ed economici, che derivano dalle gravi alterazioni dell’ambiente naturale e urbano e le enormi spese di manutenzione per impianti sottoutilizzati, o al contrario il loro sostanziale abbandono, e conseguente trasformazione in miserevoli rovine. I debiti contratti da Montreal per i Giochi del 1976 (ed erano “solo” 1.5 miliardi di dollari) si sono trascinati fino al 2006, mentre ad Atene 21 impianti sportivi sui 22 costruiti per i Giochi del 2004 sono oggi inutilizzati. Perciò David Goldblatt in un libro recente (The Games. A Global History of the Olympics, 2016) giunge alla conclusione che «tutte le ricerche serie sul tema hanno dimostrato che i ricavi economici netti per le città che ospitano le Olimpiadi, in termini di investimento, sviluppo, occupazione, salari e turismo, sono o minuscoli o in perdita». «L’eredità delle Olimpiadi si può misurare solo in promesse non mantenute, disastri ambientali e sovraccosti», ha scritto John Day nel supplemento letterario del Times.

Come salvare le Olimpiadi senza ricadere in questo circolo vizioso? Boykoff propone che il Coi scelga una volta per tutte quattro o cinque città con impianti efficienti, dove tenere i Giochi, a turno, nei prossimi decenni. Nell'”Agenda 2020″ del Coi Thomas Bach suggerisce un’altra strada: garantire la sostenibilità dei Giochi tenendoli solo dove si possa far uso di infrastrutture già esistenti e funzionanti, ed eventualmente distribuirli ogni volta su alcuni Paesi, non necessariamente confinanti. Idee impossibili al tempo di Pierre de Coubertin, ma facilmente praticabili oggi. Se il Comune di Roma, come ha dichiarato Virginia Raggi, intende ritirare la propria candidatura, e dall’altro lato Palazzo Chigi cerca uno spazio per dire la sua, ecco una strada possibile: l’Italia lanci, in armonia con l'”Agenda 2020″, la proposta di Olimpiadi “distribuite” tra più Paesi, a cominciare dalla Grecia, in cui anziché costruire dispendiose infrastrutture destinate al degrado si utilizzi al meglio l’esistente. Sarebbero le prime della storia in un formato nuovo, più adatto al nostro tempo, più rispondente alla sostenibilità invocata da Thomas Bach. Dopotutto, i Giochi non dovrebbero essere un’infinita saga di appalti e di cemento né un’esibizione di muscoli di politici e architetti, ma una manifestazione sportiva. O no?

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