Circe: la grande dea dei Pelasgi

per tonigaeta

di Antonio Gaeta – 8 agosto 2018

Con assoluto candore la letterata, nonché studiosa di antiche religioni Momolina Marconi nel 1942 nella sua pubblicazione “Kirke” (Studi e materiali di storia delle religioni) scrive:

“E’ ormai noto che il culto dei Mediterranei era rivolto a una Grande Dea, signora delle erbe, dei fiori, delle piante, signora delle belve e degli armenti, signora degli agricoltori e dei marinai, signora delle fanciulle mature per le nozze e delle spose feconde: a questo sua vastissimo mondo, che comprende tutta la gamma degli esseri viventi sulla Terra, essa guarda benigna e soccorrevole, pronta a favorire e proteggere via via il prodigioso moltiplicarsi.. omissis.. Ond’é che in questa sua diuturna nobile fatica di potnia fyton (signora dei vegetali), essa si identifica con la Terra e dai suoi fedeli é sentita come la terra feconda, donatrice di vita…omissis..

A questa eterna vicenda, ogni anno rinnovantesi all’ombra della selva, come sull’aprico campo tre volte arato, collabora la maschia possanza di Elios, che illumina la Terra e la riscalda, cioè la feconda. Elios fu dai Mediterranei di buon’ora sentito come fattore di vita, operante accanto alla Grande Dea, la vera potnia del mondo universo, di cui egli é il paredro.”(1)

Paredro é “colui che sta accanto”, vicino alla edras (poltrona) su cui é seduta la dea: ovvero quella figura che dalle antichissime raffigurazioni (statuette, decorazioni, affreschi) a volte é uccello, a volte animale quadrupede. In questo caso é addirittura il Sole, che sta al affianco della Dea Madre e l’aiuta nella sua opera di creazione.(1)

Continuando a citare M. Marconi:

“Il passaggio, poi, da paredro a padre non é difficile da spiegare. Sdoppiandosi la Grande Dea in altre personalità divine, rispondenti ad altri inconfondibili nomi, e mantenendo esse le virtù di pharmakides (maghe guaritrici e trasformatrici, da cui la sempre esistita tradizione delle alchimiste, meglio conosciute come “streghe”) ecco che Elios fu sentito come padre, non solo della produzione vegetale, ma di loro stesse, che con i vegetali avevano tanta familiarità: ovvero depositarie del segreto nascosto in ogni corolla, in ogni frutto e in ogni radice”

Di queste figure femminili divine Circe é la più nota, seconda soltanto a sua sorella Medea (più conosciuta per il mito degli Argonauti e la conquista del Vello d’Oro), non trascurando Angizia. Secondo M. Marconi, delle tre la più interessante é Circe, perché avrebbe lasciato tracce della sua diffusione e, soprattutto, della sua doppia localizzazione.

Kirke/Circe é appellata sempre aia, volendo indicare con questo epiteto la sua provenienza dalla “terra fertile” e resa umida dal rimescolamento organico. Il riferimento è a un’ aia in Colchide (2) e a una nel Tirreno (Circeo): entrambe indicate come suoi luoghi di residenza. La loro distanza é spiegabile con le progressive migrazioni dei Pelasgi (3), che interessarono tutto il bacino del Mediterraneo, spingendosi sulle coste della attuale Francia e anche su quelle dell’attuale Inghilterra.

Circe appare dapprima come originaria della Colchide (Kirke) (4). Poi si trovano sue tracce nell’Argolide e poi ancora più a ovest nel Tirreno (attuale Circeo), mantenendo comunque intatte le proprietà di benefattrice, guaritrice e maga, capace di trasformare gli esseri viventi: compresi gli uomini in animali.

Proseguendo le citazioni di M. Marconi:

“Circe, iddia dalle molte erbe, dovette disporre in Asia di un temenos (una tenuta) coltivato a giardino, in cui custodiva segretamente tutte le piante necessarie per l’attività di ogni giorno. Inoltre, la Dea mediterranea, quale potnia fyton, domina tutto il verde che ricopre la natura e – quale pharmakis – porta in sé il segreto dei succhi celati, delle misture prodigiose (già “strega alchimista” agli occhi dei barbari indoeuropei ?). Quindi essa sa e possiede i segreti del bosco, quanto quelli del piano; le piante delle forre, come le corolle dei prati. Essa sa in una parola ‘tutta la natura’.. omissis”

Nella sua veste di Dea che accoglie la morte, per restituire la vita, come nelle caratteristiche di tutte le civiltà matrifocali, nel mito degli Argonauti Circe compare come dea che domina le leggi della vita, cui però è necessaria la cura dell’arcano correttivo della morte, onde essa assume la duplice veste di dea dei morti e dea dei viventi. Se le spoglie degli uomini sono appese agli alberi (5), i corpi inanimati delle donne, dai cui grembi tante vite sono nate, essa riporta invece nel grande grembo della Terra Madre, inesauribilmente fecondo.

Infine, quanto alla Circe tirrenica, troviamo una storia che la lega a Roma (attraverso Picus, re/avo di Latino), che indifferente alle profferte della dea, fu dalla stessa mutato in picchio. Così quest’uccello diventa il paredro ornitomorfo di Circe, che può aiutarla validamente nella ricerca di erbe, infilandosi nei cespugli, scavando e trovando le peonie, meravigliosi fiori delle virtù, per i quali il picchio ha tanta simpatia.

Con buona pace di Omero, cantore osannatore al servizio delle corti dei re micenei, invasori indoeuropei e distruttori della civiltà pelasgica nei territori poi chiamati Ellade, poi di quella minoica a Creta, nonché della roccaforte Ilio (più conosciuta come Troia): ultima difesa delle popolazioni di derivazione pelasgica nell’Egeo !

NOTE:

(1) – Occorre dire che il mito pelasgico della creazione, ben documentato da Robert Graves nei “Miti greci” (Longanesi & C. 1989) é di ispirazione pelasgica pre-indoeuropea, relativa alle popolazioni stanziate nelle isole e penisole corrispondenti alla successiva Grecia. Inoltre, nel commentare l’opera di M. Marconi, Luciana Percovich ricorda la funzione religiosa e sociale del “Re sacro”, che, per opporre resistenza militare agli invasori indoeuropei, progressivamente si trasformò da compagno in dominatore (come Dumuzi con Inanna in Mesopotamia e Horus con Iside in Egitto).

(2) – La Colchide é individuabile nell’area geografica che affaccia a sud-est del Mar Nero, nella parte più meridionale in cui forma una grande curva. Gli esploratori odierni raccontano che in quel punto il Mar Nero raggiunge profondità inaspettate e inaccessibili. Sì da credere che parte dell’acqua é inghiottita da una grande voragine nella superficie terrestre. Non si spiegherebbe diversamente il mantenimento del livello marittimo, nonostante il potente afflusso di fiumi come il Danubio, il Dnepr e il Don. Alle spalle della Colchide i Pelasgi crearono l’area interna Iberia, il cui nome lo trasportarono fino all’attuare “penisola iberica” !

(3) – Contrariamente alle denigrazioni razziste del XX e dell’attuale XXI secolo, la protostoria di gran parte dell’Europa (Grecia, Italia, Spagna e parte della Francia) fu caratterizzata dalle migrazioni della civiltà pelasgica, anticamente proveniente dall’Africa, con mescolanze tra i Berberi, i Libici e le popolazioni di colore dell’alto Nilo. Gli studi sulla lingua basca (l’Eskera: l’unica non indoeuropeizzata) testimoniano la grande somiglianza tra la lingua etrusca, minoico-cretese, iberico-tartesica e berbera.

(4) – “Kirke” in Studi e materiali di storia delle religioni

(5) – Nel mito degli Argonauti Giasone si trova davanti questa brutta sorpresa. Tuttavia anche in altre regioni asiatiche si trovano resti di questa usanza religiosa.

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