Claudia Gerini: «La parità solo fra 13 generazioni. Siamo stufe di fare le formichine. Raccogliamo le briciole Mancano ancora troppe conquiste. I primi che dovrebbero indignarsi sono gli uomini»

per Gian Franco Ferraris
Autore originale del testo: Francesca D'Angelo
Fonte: La stampa

Claudia Gerini: «La parità solo fra 13 generazioni. Siamo stufe di fare le formichine. Raccogliamo le briciole Mancano ancora troppe conquiste. I primi che dovrebbero indignarsi sono gli uomini»

Una mimosa non fa primavera. Almeno per le donne. Se una volta l’8 marzo si festeggiava nei locali, brindando davanti a uomini che facevano lo spogliarello, oggi la Festa della donna si celebra in piazza, tra cortei rosa e manifestazioni che ricordano quanta strada ci sia ancora da fare. Uno di questi eventi è la campagna “Io Sono”, ideata da Chiara Tilesi per “We Do It Together” e patrocinata dal Ministero della Cultura, che sarà proiettata oggi sulla Mole Antonelliana a Torino e sulla Fontana di Trevi a Roma. Al centro, la battaglia per l’autodeterminazione femminile, “spiegata” da trenta attrici del mondo del cinema che si presentano con un aggettivo: io sono resiliente, io sono forte… Tra loro, in prima linea, anche Claudia Gerini.

8 marzo, festa della donna: quanto c’è oggi davvero da festeggiare?

«Ben poco. Ormai è una festa che appartiene a un altro mondo, a un’altra era. La nostra società è diventata molto più consapevole e matura rispetto al passato: ha aperto gli occhi, si è resa conto della disparità di genere in cui versiamo. Più che una festa, l’8 marzo è diventata un’occasione per fare il punto della situazione».

Facciamolo. Partiamo dalle conquiste: quali sono?

«La donna figura finalmente nelle posizioni apicali della società, può avere una carriera e nei paesi più civili è previsto un congedo anche per i neopadri. Al di là delle posizioni politiche personali, il fatto stesso di avere un premier donna – peraltro con alle spalle un percorso politico, lungo e articolato, quindi non sbucata fuori dal nulla – è un passo importante perché rompe un tabù. Vuol dire che in prospettiva si potrà avere anche una Presidente della Repubblica donna. Tuttavia queste conquiste sono piccole cose. Siamo come delle formichine, che mettono insieme, piano piano, le briciole. Le conquiste che mancano all’appello sono ancora tantissime».

Le più urgenti?

«La prima sfida, che poi è la più complessa, è culturale. Veniamo da secoli di disparità e il retaggio è tale che è stato stimato che ci vorranno 13 generazioni per raggiungere un’effettiva parità: una prospettiva lunghetta. Eppure la società si fonda sulla donna, anzi, si fonda sulle donne invisibili: quello stuolo di madri, mogli, sorelle che mettono insieme il pranzo con la cena, lottando tra giornate fatte di sveglie all’alba e stipendi bassi, figli da fare crescere. Oggi dovremmo ricordare soprattutto loro: riconoscerne il valore sarebbe un passo di civiltà. La seconda battaglia, che poi è quella legata alla campagna Io sono, è l’autodeterminazione femminile. È giusto dare a tutti le stesse possibilità, senza per questo dimenticare la differenza tra uomini e donne».

Concorda con chi teme che la battaglia per i diritti possa degenerare in un noi (donne) contro voi (uomini)?

«Tutti gli estremismi sono sbagliati. Non è e non deve essere una battaglia dei buoni contro i cattivi ma proprio per questo i primi che dovrebbero indignarsi contro i femminicidi sono i padri, i figli, i fratelli, i cugini delle vittime di femmicidio».

Nella campagna lei si è definita “una madre”. Perché?

«Per me la maternità ha rappresentato il più grande cambiamento nel modo in cui mi approcciavo alla vita. Mi sento madre di fatto – ho due figlie – ma anche visceralmente, in modo ancestrale: mi sento madre di tutte quelle ragazze che mi prendono come modello, di chiunque mi chieda aiuto o consiglio».

Ha dichiarato: «non mi piace parlare di donne single (sole), preferisco definirle libere». Lo stigma della zitella sopravvive ancora oggi?

«Gli scapoli sono sempre visti come degli adorabili sciupafemmine, dei viveur, mentre la donna non accompagnata non piace. Forse non la chiameremo più zitella ma la consideriamo tale de facto, basti pensare al “gattara” di Donald Trump. Invece chi non è moglie o madre è semplicemente una donna libera: non sola».

Ha due figlie femmine: è angosciata?

«Nel mio cervello non esiste il file dell’angoscia, altrimenti non avrei mai mandato mia figlia 18enne a studiare a New York. Tuttavia il quadro generale in cui versiamo non può che preoccuparmi e cerco di renderle il più possibile consapevoli che là fuori ci sono dei predatori sessuali, che bisogna avere sempre le antenne alzate. La misoginia e il maschilismo sono nascosti in un tessuto sociale così fitto che a volte è difficile stanarli. Per questo dobbiamo conoscere da dove veniamo, sapere che nei primi del 900 girava un documento che certificava l’inferiorità mentale delle donne (ne parla Veronica Pivetti nel suo spettacolo teatrale L’inferiorità mentale della donna) o che la moglie di Einstein lo aiutava nei calcoli ma poi la firma era solo del marito. Solo se sappiamo da dove arriviamo possiamo capire dove vogliamo andare».

Cosa resta del #metoo?

«Tanto. Banalmente, oggi un uomo esita a prendere l’ascensore da solo con me. Esagerato? Forse, ma meglio questo eccesso che le molestie. Anche l’intimacy coordinator è frutto del #metoo e tutela le giovani attrici da quelle scene dove il collega si può far prendere dalla situazione e sconfinare».

Le è mai successo?

«Sul set mai. Però mi è successo che fuori dal set io sia stata vittima di molestie psicologiche: in quei casi mollavo tutto e me ne andavo via».

In Italia nessuna attrice ha mai sporto denuncia. Siamo più bravi o più omertosi?

«È un problema di leggi. Da noi i reati cadono in prescrizione, non è come in America che puoi finire in galera per crimini di vent’anni fa. Inoltre in Italia c’è un diverso approccio: da noi ti chiedono ancora se quel verso era di dolore o di piacere. A queste condizioni, chi denuncia?».

In Usa Tilesi ha fondato una casa di produzione per promuovere un nuovo immaginario femminile. C’è uno stereotipo che vorrebbe cancellare?

«Nei film il marito ha spesso vent’anni in più della moglie ed è tutto normale. Quelle rare volte che accade il contrario, bisogna sempre spiegare le ragioni che hanno portato la protagonista a scegliere un compagno più giovane. C’è un problema di età – o di data di scadenza – da cui la donna dovrebbe essere liberata».

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