Codice Appalti, un primo compleanno con troppe ombre

per ElenaVe
Autore originale del testo: Elena Vertignano

24 maggio 2017

Si dice che la fretta sia una cattiva consigliera, e il caso del Codice degli appalti in Italia non fa che confermare questo adagio popolare. A distanza di un anno intero, ormai, dalla sua entrata in vigore sono ben evidenti i limiti di una riforma che ha subito un’accelerazione inevitabile per rispettare le tempistiche comunitarie, al punto che in questi 13 mesi è stata già modificata più della metà delle nuove norme.

Un’inevitabile accelerazione. Proviamo a fare un po’ d’ordine, grazie al portale specializzato Appaltitalia.it, che ha riassunto la storia del decreto legislativo del 18 aprile 2016, n. 50, che appunto introduce la riforma del settore di bandi e gare nel nostro Paese, il cui primo obiettivo pratico era rispettare termini per il recepimento delle tre Direttive comunitarie del 2014 nella specifica materia, che per l’appunto scadevano senza proroghe il 18 aprile scorso. 

I limiti di una applicazione immediata. E così, si è reso necessario unificare l’atto legislativo di recepimento con una più complessiva riforma codicistica di settore, con una forzatura ulteriore attraverso l’immediata entrata in vigore di un Codice sulla carta rivoluzionario, nel giorno stesso della sua pubblicazione, senza alcun periodo di vacatio legis. Immediate furono le reazioni preoccupate degli operatori di settore, a cui si aggiunsero le critiche dell’Adunanza del Consiglio di Stato.

Difficoltà inevitabili. In particolare, Commissione normativa di Palazzo Spada aveva già rivelato come la “velocità” di stesura dell’opera avesse portato alla presenza di “inevitabili incoerenze sistematiche, refusi, disposizioni non ben coordinate, imprecisioni lessicali e di recepimento”, anche a causa dell’assenza di una “pausa di ponderazione e rilettura dell’articolato”. Insomma, già in partenza c’erano errori metodologici derivanti dal vizio originario della fretta.

Le prime correzioni. E allora non sorprende ricordare come già nel luglio dello scorso anno venne pubblicato un primo, cospicuo avviso di rettifica, che correggeva circa la metà dei 220 articoli del nuovo Codice; intanto, dall’applicazione concreta della riforma arrivavano ulteriori segnali d’allarme, con difficoltà operative che si rivelavano frutto anche della scelta di avviare una disciplina transitoria mantenendo comunque in vita norme regolamentari previgenti almeno fino alla emanazione degli atti attuativi dei nuovi istituti.

Un anno di ombre. Insomma, come scritto da alcuni osservatori, il Codice sembrava non solo esser stato “scritto coi piedi“, ma anche applicato maluccio, abbandonando il modello del regolamento unico per preferire, alla prova dei fatti, una molteplicità di strumenti normativi e amministrativi che mal si sposava con gli intenti originari. E le cose sono addirittura peggiorate negli ultimi mesi, con i promessi e attesi interventi di (ulteriore) correzione. 

L’ultimo intervento. Nel mese di aprile 2017, infatti, quasi in concomitanza con il primo compleanno della riforma, è infatti arrivata un nuovo decreto legislativo correttivo del Codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture che, come si legge nel comunicato di Palazzo Chigi, “apporta modifiche e integrazioni volte a perfezionarne l’impianto normativo, confermandone i pilastri fondamentali, in modo da perseguire efficacemente l’obiettivo dello sviluppo del settore“.

Un caso spinoso. Anche in questo caso il testo è molto consistente e comprende ben 131 articoli, andando da semplici mutamenti lessicali a nuove disposizioni e abrogazioni. Proprio in quest’ultimo ambito ricade il caso più spinoso, balzato immediatamente agli onori della cronaca: tra le varie prescrizioni eliminate, infatti, c’è anche quella che riguarda i poteri di intervento dell’Anac in caso di appalti critici e chiaramente illeciti, senza attendere la magistratura e dilungare inevitabilmente i tempi.

L’obiettivo resta il contrasto all’illegalità. Una situazione che, nonostante le successive rassicurazioni degli esponenti di Governo, ha destato comunque preoccupazione, perché sembra tradire le premesse base del Codice degli appalti, ovvero la lotta alla corruzione in nome della legalità e della trasparenza

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