Confessioni di un elettore /2

per Gian Franco Ferraris
Autore originale del testo: Alfredo Morganti
Confessioni di un elettore /2
Grande è la confusione sotto il cielo della sinistra. E coloro che ne pagano le conseguenze sono per primi gli elettori. Quelli di sinistra poi sono doppiamente confusi: ne conosco tantissimi che non sanno (o sapevano) per chi votare, e che se hanno scelto lo hanno fatto spesso nel dubbio, nello sconforto, nell’incertezza. Perché? Perché da troppo tempo sentiamo la mancanza di un partito del lavoro, che lo rappresenti a partire da quello precario, flessibile, malpagato, a contratto, che diventa “lavoretto” e che spesso non viene nemmeno remunerato, perché tanto è alternanza, apprendistato, curriculum. Un partito che non ignori i diritti civili, che dialoghi con le forze sociali, che punti a uno sviluppo delle libertà, ma che faccia tutto questo a partire dalla vita reale delle persone, degli ultimi, degli sfruttati, dei subordinati, di quelli che nessuno conosce o riconosce, di quelli verso cui cresce il razzismo sociale, di quelli che cercano il riscatto. Senza quel partito siamo fottuti, siamo tutti morti, limitandoci ad annaspare nei social e nella comunicazione politica nei tempi morti in cui non consumiamo, comprando il più delle volte sciocchezze a prezzi assurdi.
Dice: quel partito c’è, è il PD, che adesso avrebbe pure rinnegato il jobs act. Ma prima lo ha promosso, lo ha votato, se n’è fatto promotore culturale. E, prima ancora, la sinistra per decenni aveva già pagato pegno al proprio debutto nella buona società, chiudendo gli occhi o plaudendo alla parcellizzazione del lavoro, al suo indebolimento, al suo tramutarsi in strumento nelle mani di lor signori. Non è questo PD il partito del lavoro, niente affatto. Ecco perchè un vero partito del lavoro è necessario ora, subito, ecco perché deve nascere dai dubbi e dalle perplessità e pure dalla rabbia degli elettori di sinistra, a cui immodestamente dò voce adesso. Un partito che deve sorgere dalle ceneri di quello che è oggi la sinistra nella sua complessità. Un grande rinnovamento, una ripartenza, un nuovo inizio, solo a partire dal quale potremmo tornare a coltivare la speranza, che una volta era pane quotidiano. Un partito nuovo con un ceto politico rinnovato, con una nuova classe dirigente, si sappia!
Non voterò PD, ma nemmeno questa sinistra che vede ancora nel PD una soluzione, per quanto complicata, provvisoria, strumentale, temporanea, elettorale. No, la soluzione per me è ancora il “partitone” di cui diceva Bersani, anche se questo partitone non sarà il PD, non può esserlo, nonostante le abiure del jobs act a campagna elettorale aperta, ossia nel pieno dei giorni più bugiardi che si conoscano dopo quelli dei 101. Serve un “partitone” che nasca, invece, da una palingenesi vera, generalizzata, profonda, che metta, come dicevo, il lavoro al primo posto e la vita delle persone al centro. Alle élite c’è già chi ci pensa, alle loro nevrosi, ai loro patrimoni, alle loro carriere, ai loro “meriti”, alla loro ricerca di sicurezza, alle loro tasse, alle paure che un giorno quel giovane precario cessi di ingoiare il rospo. Voglio invece un partito che unifichi le forze del lavoro, tanto più oggi che tentano di dividerle a livello generazionale. Del caro e vecchio PCI ricordo una parola essenziale in politica: unità, che non voleva dire accozzaglia frontista, ma voleva dire appunto unità, dibattito politico, confronto, mediazione, non alleati tanto al chilo. Che è tutt’altra cosa e tutt’altra fatica o impegno rispetto all’accozzaglia di tutto un po’ (che non a caso è fallita) con cui si vorrebbe sbaragliare la destra.
Non voterò nemmeno Sinistra Italiana, ché non penso sia passata indenne nel disastro politico di questi anni. Gli stessi compagni di SI, credo, siano perfettamente consapevoli del vicolo cieco in cui sono finiti. Passare da LEU all’accordo col PD sull’uninominale la dice tutta sulla storia di questi anni. Anche in questo partito si percepisce, credo, la necessità di scrollarsi di dosso la polvere dei decenni trascorsi, quelli in cui la sinistra ha perso, perché gli è bastato uno spazio, le è bastato essere tollerata e si è affidata alla comunicazione oppure a una rappresentanza parlamentare per sopravvivere almeno mediaticamente. Due parole anche su Articolo Uno, che è la mia area. Io l’accordo con il PD (contro il M5S) non l’avrei mai fatto, nemmeno mi sarei appellato a elaborati congressuali di molto antecedenti ai fatti politici occorsi nei mesi successivi. Mai mi sarei alleato con questo PD che vuole solo voto utile, tattico, improvvisato, incerto, perplesso, dubbioso, forzato, quasi estorto alle coscienze in nome di un fronte contro la destra e di un tot di collegi sicuri. Un PD che quasi si vergogna degli alleati di sinistra. Ma non di Calenda. Forse nemmeno di Renzi.
Io avrei messo le orecchie a terra per ascoltare i sussulti sociali (ce ne sono eh!), mi sarei gettato a capofitto tra le pieghe della società come si faceva una volta, non avrei avuto altre urgenze, alcune delle quali davvero opinabili. Mi è stato detto da più di uno: se non voti PD fai vincere la destra. Certo, perché se la Meloni vince è colpa mia, non della tortuosa presenza della sinistra al governo in 10 anni su 11, non dell’acquiescienza verso le élite, non per aver scelto Renzi (Renzi!) come segretario e capo del governo (la “risorsa”, do you remember?), non per aver compartecipato alla depauperizzazione del “pubblico”, alla frammentazione del lavoro, all’aumento delle disegueglianze. Sarei io, semplice elettore, il cui unico incarico politico è stato negli anni 70, quello di segretario di un circolo della FGCI in una borgata di Roma, sarei io a far vincere la Meloni. Comodo eh?
Credo che serva un grande lavacro della sinistra, un bagno purificatorio, e poi si debba lavorare per un grande partito che non nasca dalla “fusione delle culture politiche” (ma che sciocchezza!) ma dalla fusione di una proposta politica (lavoro, pace, democrazia, partecipazione, cultura, bene comune), perché i partiti in primis fanno politica, e poi, a seguito delle scelte che compiono, esprimono una cultura politica. Non il contrario, il contrario è una “sòla”, una truffa, diciamo a Roma. E difatti il PD, che nasce in astratto, come dalla testa di Zeus, riunificando culture (in realtà riunificando, su basi pratiche, i ceti politici di culture diverse) e non una politica, alla prova dei fatti si è dimostrato un partito moderato, liberale, di centro, diafano, trasparente, leggero, contendibile, personale, in cui convivono anime talmente diverse tra loro da far pensare a una cosa posticcia, tirata su alla benemmeglio. Ammasso di ceto politico, più che partito. Con tutto il rispetto per quegli amici e compagni che si affollano generosamente nel lavoro volontario alle Feste dell’Unità. Lo si fa da decenni. Ultimamente mi chiedo perché.
Detto questo, è rimasta l’astensione (che considero una sciocchezza), Unione Popolare (a cui auguro di superare la soglia di sbarramento, ma che non voterò) e poi, in ultimo, i 5stelle. Domani ne parleremo.
Continua.
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