Autore originale del testo: Massimo D'Alema
L’intervento completo di
Massimo D’Alema
alla Assemblea di art.1
dello scorso 14 maggio 2021
Trascrizione di Giovanna Ponti
“Ho ascoltato con interesse l’introduzione e gli interventi che mi hanno preceduto. Sono stati espressi analisi, messa a punto di idee e di proposte che fa sì che noi rappresentiamo, voi rappresentiate, un punto di riferimento importante nella ricostruzione necessaria di una forza di sinistra significativa nel Paese.
Devo dire che ho una certa nostalgia di una forza di sinistra significativa e l’ho avuta anche in questi giorni dove, di fronte alla tragedia palestinese, ho sentito parole di circostanza in molte sedi importanti, ho visto sul palco della solidarietà ad Israele il nostro amico Letta accanto a Salvini.
C’è qualcosa che non funziona, c’è una mancanza di verità in questo modo di affrontare quella tragedia.
Tragedia che, vi dico la verità, era profondamente radicata nella coscienza politica italiana, e non solo nella sinistra, e che sembra essere svanita nel corso del tempo.
Ma tornerò su questo punto.
Mi è stato chiesto di parlare dello scenario internazionale e di quale ruolo possa avere l’Europa, l’Italia.
Lo scenario internazionale è dominato dal ritorno degli Stati Uniti d’America dopo la vittoria dei democratici.
Dopo il declino di Trump, il relativo isolamento, la distanza mai così profonda tra le due sponde dell’Atlantico, con i democratici l’America torna a proporsi come guida del mondo occidentale.
Direi che lo scenario è dominato da un neo-atlantismo e che anche la politica italiana ne è influenzata in modo notevole. C’è molta ambizione egemonica nella politica democratica e ci sono anche delle novità positive.
C’è il ritorno degli Stati Uniti nel quadro del multilateralismo, c’è la ripresa di un dialogo e di una collaborazione contro il climate change, c’è un positivo rapporto USA-Europa che è un rapporto di dialogo e di collaborazione, ma soprattutto, nella politica di Biden e dei democratici, c’è la consapevolezza che questa rinnovata egemonia può essere raggiunta soltanto se le democrazie torneranno ad essere inclusive.
Nella memoria dei democratici americani c’è il ricordo che fu il welfare l’arma vincente della guerra fredda in Europa. Fu quella la ragione per cui l’Occidente sconfisse il blocco sovietico perchè si seppero costruire delle democrazie inclusive e in grado di offrire una prospettiva al mondo del lavoro e ai ceti sociali più umili.
Secondo me non c’è uno iato tra la politica interna americana e quella esterna. La politica democratica è una grande scelta di politica internazionale e cioè uno straordinario programma di sviluppo e di investimenti pubblici che non ha uguali dai tempi del New Deal roosveliano con anche una impronta di maggiore equità sociale.
Penso che in Italia sarebbe difficile perfino per noi dire che bisogna tassare i ricchi con la nettezza con cui lo ha detto il presidente americano. Noi si sarebbe immediatamente crocefissi dalla stampa benpensante, diciamo. Poi vedremo in che misura seguiranno i fatti, ma non c’è dubbio che questa accelerazione nella direzione dello sviluppo, questa grande operazione di ricostruzione delle catene del valore, che poi è un’azione di protezione del lavoro americano, è una operazione sociale, è una operazione interna di ricucitura della società americana, di un tentativo di dare un fondamento più robusto alla democrazia americana, ma è anche una grande operazione internazionale.
Gli Stati Uniti si ripropongono loro stessi in competizione con la Cina, come il motore di ripresa economica dell’epoca del dopo-covid.
C’è una ambizione egemonica e, bisogna dire la verità, viene giocata anche sul terreno di una svolta politica economica e sociale rispetto alla stagione neoliberista.
Noi avevamo visto i segni di questa svolta nelle scelte europee che sono state importanti, ma, diciamo, le scelte degli Stati Uniti fanno impallidire il Recovery europeo che pure andava nella stessa direzione, e cioè di abbandono di una politica di austerità e un grande programma di investimenti pubblici orientati verso la riconversione ecologica e verso una maggiore uguaglianza sociale.
Se da una parte vi è questo aspetto del ritorno di una politica egemonica USA dall’altra parte questa politica si caratterizza, come da tradizione democratica americana, per un internazionalismo democratico che pare anche rilanciare le ragioni ideologiche dell’antagonismo con le grandi autocrazie.
Questa strategia comporta dei problemi e anche dei pericoli, cioè il rilancio di una competizione, di un antagonismo innanzi tutto verso Russia e Cina.
A differenza della stagione di Trump, quando la sfida si giocava molto sul terreno degli interessi, del protezionismo economico, e questo consentiva a Xi Jinping di presentarsi come campione della libertà economica in polemica con il protezionismo americano, oggi la sfida viene portata su un terreno molto su insidioso per i cinesi, cioè quello della democrazia e del rispetto dei diritti umani.
Rispetto a questa offensiva ovviamente la condotta cinese a Hong Kong, la vicenda degli Uiguri rappresentano dei punti gravi di debolezza e la risposta cinese quando si tratta di vicende interne alla Cina è una risposta debole, una visione novecentesca della politica internazionale che non funziona più. Infatti noi assistiamo, per l’offensiva della politica americana, ad una indiscutibile perdita di presa della politica cinese.
La Cina era diventata un riferimento importantissimo non solo economico, il fascino della Cina era cresciuto molto anche nel mondo occidentale, ora invece la controffensiva americana sta segnando dei punti, in termine di opinione e di consenso perché si gioca su un terreno nel quale l’Europa non può che essere solidale con gli USA.
Uno degli ultimi frutti dell’epoca Trump fu la decisione dell’Europa, sotto presidenza tedesca, di negoziare un grande accordo sugli investimenti con la Cina, un accordo di portata storica, mentre il primo effetto dell’epoca Biden è stata la decisione europea di non ratificare quell’accordo, cioè di sospendere gli investimenti con la Cina.
Noi ci troviamo davanti a una stagione caratterizzata da questo doppio movimento: potremmo dare una svolta a sinistra alla politica occidentale per le politiche economiche, sociali e ambientali, ma dall’altra parte assistere ad un rilancio della competizione, della guerra fredda con il mondo non-occidentale.
Naturalmente la scelta di una politica internazionale imperniata sui valori della democrazia, dei diritti umani è una scelta di cui bisogna valutare pienamente la forza, il fascino perchè certo comporta una serie di problemi.
Innanzitutto comporta un enorme problema di coerenza: si tratta di capire se il tema dei diritti umani è uno strumento di lotta politica nei confronti di altre potenze o se è una politica che si persegue con coerenza.
Da questo punto di vista il tema del Medio Oriente, con il cuore del conflitto nella questione arabo-israeliana, è un test decisivo della coerenza dell’Occidente.
Quello che avviene lì non è uno scontro di due estremismi.
Certo l’aggressione di Hamas contro Israele è inaccettabile, ma noi dobbiamo cercare di capire un po’ in profondita’ come esplode una crisi di questo genere, perche’ Hamas e gli islamisti sono diventati cosi’ forti, perche’ Erdogan e’ diventato un punto di riferimento irrinunciabile non per alcuni estremisti ma per milioni di arabi. Io penso che Hamas diventi così forte perche’ i palestinesi si sentono traditi dal mondo occidentale, ma vorrei dire con più precisione, sono stati traditi dal mondo occidentale, sono stati abbandonati. La leadership palestinese che si e’ spesa con una generosita’ quasi suicida in una politica di negoziato, di concessioni, di collaborazione, non solo non ha ottenuto nulla ma e’ stata completamente delegittimata. Io penso che oramai il discorso sulla politica dei due Stati lo possiamo dire qui da noi perche’ qua fa parte del politically correct, ma per loro non ha più alcun significato, e’ una pura finzione. Tra il mare e il Giordano vivono milioni di persone, grosso modo meta’ ebrei meta’ arabi. Con una differenza: gli ebrei vivono in grandi citta’ moderne, gli arabi prevalentemente in aree circondate da filo spinato, torrette, mitragliatrici. C’è un’altra differenza, gli ebrei godono di pieni diritti mentre gli arabi si dividono in due tipologie: i cittadini arabi israeliani che vivono in uno stato ebraico, quindi sono ospiti di Israele e sono considerati cittadini di serie B con meno diritti e poi ci sono i palestinesi che vivono sotto occupazione da anni. Questa è la realtà.
Fra noi possiamo tranquillamente auspicare uno Stato Palestinese, ma in realtà procede inesorabilmente, nella sostanziale impotenza dell’Occidente, la colonizzazione dei territori nei quali si dovrebbe costruire questo Stato che sostanzialmente non esiste più.
L’annessione di Gerusalemme è stata un passo di una portata simbolica enorme che noi forse non possiamo neanche capire, accettata dagli USA e quindi di fatto ratificata. Non dimentichiamo che tutta questa ultima crisi nasce nel momento in cui si realizza un’altra tappa di quella progressiva espulsione della popolazione palestinese da Gerusalemme Est, che è una politica perseguita con coerenza da Israele. Fatto salvo che Gerusalemme Est è una città occupata, secondo le risoluzioni dell’ONU, dalla quale Israele dovrebbe ritirarsi. Evidentemente le risoluzioni del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite valgono per alcuni e per altri non hanno alcun valore e le risoluzioni obbligatorie possono essere per alcuni considerate facoltative.
Mi sono permesso di presentarvi la realtà come la vedono gli altri, ma siccome questi altri sono miliardi di esseri umani, diciamo che secondo me hanno anche ragione.
Qui nasce il conflitto.
O il mondo Occidentale, l’Europa, sono in grado di restituire verità al tema dei due Stati, il che vuol dire smontare gli insediamenti e rimettere in discussione la questione di Gerusalemme, oppure il tema è un altro e cioè è quello di come si garantiscono i diritti dei palestinesi che vivono in territori sotto occupazione militare israeliana e che giustamente descrivono la loro situazione come quella del Sudafrica e parlano di Israele come di un Paese dove c’è l’ apartheid, con la differenza che Israele non si fa carico degli occupati perchè ce ne occupiamo noi , nel senso che noi contribuenti europei diamo ogni anno un certo numero di milioni di euro per mantenere delle supposte istituzioni palestinesi ed evitare così che la situazione precipiti.
In questo contesto cresce Hamas, con la sua follia, con la sua violenza e questo contesto è tutto dentro la responsabilità del mondo occidentale.
Questa è una verità che non si può più dire e questo è un altro dato impressionante.
Io sono una delle poche persone fortunate che per curiosità ha letto due rapporti, di cui uno di Amnesty International, sulla situazione palestinese.
Se fossero stati scritti su Hong Kong avrebbero avuto la prima pagina di tutti i giornali del mondo, invece in questo caso sono stati censurati, non esistono, sono testi che circolano fra pochi appassionati perchè il sistema dell’informazione li ha cancellati.
Vi assicuro che sono abbastanza impressionanti in materia di violazione sistematica dei diritti umani e di violenza.
Tutto questo ci porta a ribadire che noi non possiamo che guardare con interesse il protagonismo democratico degli Stati Uniti, ma è anche vero che o l’Occidente si dà anche una strategia di coesistenza pacifica con ciò che non è Occidente oppure il protagonismo dei democratici americani può tradursi in una nuova stagione di conflitti, in una nuova guerra fredda, fredda laddove sarà fredda perché in una parte del mondo non è affatto fredda.
Questo forse i democratici americani lo devono capire,
Rispetto alla grande stagione clintoniana, la democrazia nel mondo non si è allargata, si sono invece radicalizzati i conflitti che sono anche conflitti di civiltà.
Tra i grandi teorici della fine della guerra fredda aveva ragione chi disse: “ Nel momento in cui declineranno le ideologie, sorgeranno i conflitti di civiltà”.
L’Occidente non può stare in guerra con la Cina e con la Russia, con il mondo musulmano di matrice sciita e con quello di matrice sunnita, che sarebbero oggi l’Iran e la Turchia, perché è una condizione insostenibile.
L’unico leader che lo capisce è il Papa.
Il gesto che ha fatto il Papa con la comunità sciita in Iraq è un gesto di grandissimo valore simbolico, politico e culturale.
Per il resto io non vedo né la sinistra né i democratici americani porsi questo grandissimo problema.
La coesistenza pacifica nell’epoca del bipolarismo fu un esercizio molto impegnativo, ma aveva una sua geometrica semplicità. C’erano due blocchi e si trattava di arginare il pericolo nucleare, si trattava di convivere. C’era insomma una geometria della coesistenza pacifica.
Oggi invece c’è una geometria variabile. La Cina non è la Russia, e non vedo chi possa avere interesse a spingerli a diventare un blocco unico contro l’Occidente, anche perché messe insieme le risorse naturali e l’apparato militare russo con il dinamismo economico e la capacità innovativa cinese, non so come andrebbe a finire questa sfida. Lo stesso mondo islamico è tante cose diverse.
Insomma siamo in un mondo variegato nel quale la coesistenza pacifica deve necessariamente muoversi dentro un quadro multipolare.
Quindi condividere regole di convivenza, rafforzare istituzioni collettive, affrontare nuove sfide tecnologiche (pensiamo per esempio al fatto che non può esserci coesistenza pacifica senza un sistema di cyber security condiviso) e mettersi d’accordo sul non sganciare le bombe atomiche era abbastanza semplice, gli attacchi informatici invece sono molto più complicati da disciplinare.
Io credo che qui c’è un enorme campo di riflessione politica e culturale da intraprendere. Vedo una arretratezza dolorosa dell’Europa e questo invece potrebbe essere il tema europeo, con la sua civiltà giuridica e la sua capacità di dialogo.
Oggi si richiede una grande capacità di mediazione dei conflitti.
Io penso con un certo orgoglio per l’Italia quello che facemmo noi nel 2006 quando andammo a fermare la guerra tra Israele e il Libano sulla base di una posizione di equidistanza: eravamo percepiti come credibili anche da parte musulmana.
Oggi sarebbe più difficile per l’Europa presentarsi anche alla parte araba come forza di pace credibile perché si è determinato un sentimento antiarabo sul quale dovrebbe riflettere anche Israele.
Perchè la destra europea, la peggiore destra europea erede dell’antisemitismo è quella che scende in piazza per prima per esprimere solidarietà verso Israele?
E’ successo che il razzismo antisemita si è mutato in razzismo antiarabo, in islamofobia.
La matrice è la stessa, è cambiato solo l’obiettivo. E’ un tema delicato e profondo che la sinistra europea dovrebbe affrontare con coraggio, senza ripetere slogan giusti ma ormai frusti che non sono più in grado di interpretare la realtà.
Grazie a tutti!”