Il decreto Salvini mette insieme immigrazione e sicurezza

per Gian Franco Ferraris
Autore originale del testo: Marianna Sturba
Fonte: IlSudEst,it

di Marianna Sturba – 29 settembre 2018

Viaggio fra semantica e significati

Mi è stato insegnato che le parole che noi utilizziamo per narrare il nostro pensiero, raccontano nel profondo il mondo interno di ciascuno di noi, e quindi anche quando cerchiamo di giustificare le nostre scelte con il richiamo ad un chissà quale “piano migliorativo”, in realtà la nostra vera lettura filosofica della vita, potrebbe trapelare nostro malgrado a causa dei termini che scegliamo e dei temi che trattiamo.

Diciamo che c’è sempre un piano di “significato” parallelo al “piano semantico”. Con questa chiave andiamo a leggere il Decreto SALVINI.

L’obiettivo di ogni azione politica di questo governo, è la visibilità da propaganda e per questo, ieri mattina, Salvini, non ancora uscito dalla sala del Consiglio dei ministri, aveva già un hashtag che identificava quanto era appena accaduto, trend topic per tutto il giorno #decretosalvini, su immigrazione e sicurezza. “Dalle parole ai fatti amici, come promesso” solito slogan che accompagna ogni suo intervento.  Vero è che ciascun ministro cerca di produrre il proprio personale decreto, mai però un decreto era diventato il manifesto politico di un leader.

Iniziamo questa lettura dalla scelta di aumentare la durata massima di permanenza nei Centri per il rimpatrio che passa da 3 a 6 mesi per facilitare l’espulsione degli irregolari. Questo racconta una visione e non la risposta ad un fenomeno. Racconta la visione per cui chi viene è comunque un “clandestino”, fino a prova contraria, e il tempo necessario per decidere se ha diritto o no a rimanere, aumenta. Clandestino a prescindere: non è un problema semantico ma di significato.

Ma c’è un dato di realtà: 3 mesi non sono sufficienti per svolgere adeguatamente questo lavoro. Certo! Vero!  Perché di centri preposti ce ne sono solo 6! E molte ragioni non hanno mai accettato di avere un CPR nella propria regione. Il decreto però dà il via libera a procedura d’urgenza per l’apertura o messa a norma dei centri regionali mancanti (ne serve uno in ogni ragione). Si tratta di strutture chiuse, i vecchi Cie che sono stati al centro, fino al 2012 quando furono chiusi, di incidenti, piccole e grandi sommosse, tensioni per chi è ospitato e chi vive lì intorno.  Fonti di insicurezza anziché sicurezza. Nel frattempo che ripristini, nei fatti i CIE, lo stato si prende più tempo per accettare o rifiutare i nuovi arrivati.

E non è solo un problema semantico cambiare i tipi di “accoglienza” che l’Italia sceglie di fare, è sostanza non solo forma. Allora da tre tipi di “permesso” che l’Italia ha sempre scelto di dare,(rifugiato, protezione sussidiaria e umanitaria) l’umanitaria viene stralciata e sostituita da “sei permessi speciali”: vittime di grave sfruttamento, motivi di salute, violenza domestica, calamità nel Paese d’origine, cure mediche e atti di particolare valore civile. Si elimina l’attuale esercizio discrezionale nella concessione della tutela umanitaria, perché è quella che ha prodotto l’aumento delle richieste e dell’accettazione delle stesse.  Chiediamo scusa se pensiamo che sia stata eliminata la motivazione principe di qualsiasi richiesta di asilo, proprio perché il tema migranti è declinato in una visione tutta negativa. Chiediamo scusa se ci viene da ridere a pensare a quale sarà l’iter di accettazione delle domande di richiesta per “violenza domestica”. Ci scusiamo ancora se sul tema “violenza domestica” riteniamo si apra uno scenario di strumentalizzazione di un problema che esiste e che , in tema di rifugiati internazionali, prende le pieghe di una pantomima improbabile.

Quando scegli di ridimensionare il sistema di accoglienza Sprar, che sarà riservato solo a chi ha la protezione internazionale e per i minori non accompagnati, racconti che alla base della tua politica migratoria non c’è l’accoglienza e l’integrazione, ma la ghettizzazione e la stigmatizzazione della diversità, perché non metti in opera nessuna azione che miri all’integrazione.  Anche questo non è un problema semantico ma di significato. “Andiamo a mettere ordine in questo campo” ha spiegato il ministro dell’Interno Salvini. Una volta ammesso nel sistema Sprar, lo straniero ha diritto all’iscrizione all’anagrafe, alla carta d’identità e quindi ad una serie di servizi primari garantiti dalla Costituzione: salute, studio, una casa, possibilmente un lavoro. Il decreto cancella il diritto di iscriversi all’anagrafe del comune ma restano garantite la tessera sanitaria, l’accesso alla scuola e al lavoro.

Non serve una mediazione di traduzione del retro-pensiero che è dietro questa scelta.

Non è un problema semantico negare o revocare la protezione internazionale per una condanna in primo grado per i reati di violenza sessuale, lesioni gravi e rapina, violenza a pubblico ufficiale, mutilazioni sessuali, furto aggravato, traffico di droga. E’ un problema culturale non semantico. Sappiamo tutti che le mutilazioni sessuali sono uno dei caposaldi di molte culture africane, e sappiamo che se per noi hanno del barbarico e della sopraffazione, per chi le accetta come dettame culturale, hanno un senso diverso e molto meno negativo. Allora negare la protezione perché si continua a perpetrare la propria cultura, ha il sapore del colonialismo culturale. Invece ben venga una stretta per tutti gli altri reati elencati, ma vorremmo vedere che questo pugno forte sia dedicato tanto all’italiano che al richiedente asilo. Vorremmo vedere che per la sicurezza delle vittime, fossero rese più serie e stringenti le conseguenze degli atti di violenza anche per gli italiani, ai quali non puoi togliere la cittadinanza, ma puoi incidere comunque sulla fedina penale in maniera davvero esemplare, non solo con pene commisurate all’azione, ma anche con conseguenze serie rispetto il reintegro in società. Beh, non sono un problema di attribuzione etnica o culturale “la sicurezza e la giustizia”, sono un dovere verso ciascun cittadino, o meglio di ogni essere umano.

È prevista inoltre la sospensione della domanda d’asilo in caso di pericolosità sociale, sulla quale invece semanticamente aspettiamo una specifica che declini in fatti e reati tale definizione, al fine di evitare attribuzioni arbitrarie.

Si introducono anche misure di sicurezza: tra le principali, il decreto prevede specifici interventi che vanno dalla estensione dei controlli attraverso dispositivi elettronici per particolari fattispecie di reato (maltrattamenti e stalking), alle prescrizioni in materia di contratti di noleggio di autoveicoli per la prevenzione di atti di terrorismo, alla estensione dell’ambito di applicazione del divieto di accesso urbano (daspo urbano), nonché all’applicazione di quello relativo alle manifestazioni sportive anche a coloro che siano indiziati per reati di terrorismo.

Si prevede, altresì, un’apposita disposizione finalizzata a consentire anche alla Polizia municipale di utilizzare in via sperimentale dei TASER. Si predispongono poi misure finalizzate al contrasto del fenomeno delle occupazioni arbitrarie di immobili, attraverso l’inasprimento delle pene fissate nei confronti di promotori o organizzatori dell’invasione, nonché con la possibilità, nei confronti degli stessi, di disporre intercettazioni.

E anche qui non è solo semantica: perché mettere insieme immigrazione e sicurezza?

Perché far finta che non ci siano messaggi subliminali nel mettere all’interno dello stesso decreto due temi che non sono assolutamente conciliabili? Cosa si vuol intendere? Che l’arrivo di migranti porta alla necessità di potenziare la sicurezza? Si vuol forse dire che l’insicurezza è generata dall’immigrazione?

Si vuol forse confermare con decreto una percezione errata della presenza di migranti, creata e fomentata da certa propaganda?

Infine, non è un problema semantico ma di significato profondo inserire in questo provvedimento anche uno splendido regalo alle Mafie.

Nella bozza del decreto sicurezza si prevede che i beni confiscati alle mafie possano essere venduti all’asta ai privati, se non vengono utilizzati dagli enti locali. Si omette di chiarire che gli enti locali non hanno risorse a disposizione e che la difficoltà di riutilizzare i beni confiscati alle mafie dipendono proprio dall’indisponibilità economica dei Comuni e degli Enti locali. E così i beni tornano sul mercato, e chi avrà la grossa disponibilità economica per comprare tali beni?

Perché invece non mettere qualche milione di euro a disposizione dei comuni per il recupero e il riutilizzo di questi beni da parte degli enti locali?

Perché oltre prevedere qualche milione di euro per i rimpatri, non si è voluto dare le stesse risorse per salvare i territori dall’egemonia delle cosche mafiose?

Forse è bene chiudere questo articolo facendo notare che finalmente il Ministro fa un passo avanti rispetto alla propria visione del mondo Rom: non sono nominati nel decreto sicurezza. Non si è creato il nesso “Rom-insicurezza sociale” Ecco, finalmente l’allarme sociale contro i Rom è passato, potremmo pensare, invece no, questo tema avrà dei “decreti dedicati”, attraverso i quali arrivare alla chiusura di tutti i campi Rom. E anche qui, con ancora più rabbia e rammarico di prima, affermiamo che non siamo dinanzi ad un problema semantico ma di struttura del pensiero, nel quale ci sono situazioni non da gestire, ma da eliminare….e non stiamo qui a dire nuovamente a cosa ci fa pensare tutto questo, non stiamo qui a rivangare ricordi passati di vecchie persecuzioni. Un decreto ad hoc non vuol mica dire che  la persecuzione di un’etnia sta tornando in auge! Siamo sempre noi i soliti qualunquisti!

Problema semantico?

No: problemi di visione, visibilità e prospettiva, ma soprattutto problemi di propaganda.

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