Contro il disegno di Renzi, con le sue stesse armi

per Gian Franco Ferraris
Autore originale del testo: Michele Prospero
Fonte: Il Manifesto
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di Michele Prospero – 9 settembre 2015

Con le cau­tele che sono neces­sa­rie prima di lan­ciare uno scon­tro dagli ele­vati costi, con l’attenzione alla più effi­cace for­mu­la­zione dei que­siti per non sca­gliarsi con­tro obiet­tivi fasulli — rischio che sta cor­rendo l’associazione Pos­si­bile — con il rispetto dovuto all’autonomia dei comi­tati e con la mas­sima atten­zione a non com­piere passi falsi destando sospetti di stru­men­ta­liz­za­zioni, il pro­blema poli­tico del refe­ren­dum non può essere eluso.

Dinanzi a un avver­sa­rio che, con il ricatto del voto di fidu­cia e senza un espli­cito man­dato demo­cra­tico, cam­bia la costi­tu­zione, mani­pola la legge elet­to­rale, mal­tratta la scuola pub­blica, altera il diritto del lavoro non è pos­si­bile rima­nere indif­fe­renti. A chi, con ecce­zio­nali for­za­ture, con­tando su appena il 25 per cento dei voti, feri­sce la costi­tu­zione e scrive regole su misura delle pro­prie con­ve­nienze, non si può che rispon­dere con mezzi estremi. Il ter­reno e l’intensità dello scon­tro lo deter­mi­nano anche gli avver­sari, e dinanzi a certe pro­vo­ca­zioni sim­bo­li­che e rot­ture sostan­ziali non si può far finta di non vedere.

A Renzi, che annun­cia in giro per l’Europa che nel 2016 pro­muo­verà un grande referendum-plebiscito sulle riforme costi­tu­zio­nali, biso­gna rispon­dere con una stra­te­gia spre­giu­di­cata, che maneggi le sue stesse armi. Alle tappe di una guerra di movi­mento, con le quali il capo dell’esecutivo spezza le regole anti­che dei sistemi rap­pre­sen­ta­tivi e impone solu­zioni di forza senza che nes­sun con­trap­peso isti­tu­zio­nale ral­lenti le sue pri­vate volontà di potenza, si rea­gi­sce con effi­ca­cia solo dise­gnando un per­corso spe­cu­lare e di segno contrario.

Al sov­ver­si­vi­smo dall’alto di chi sfrutta senza remore il plu­sva­lore poli­tico dei numeri alte­rati da una legge truf­fal­dina, si può rispon­dere solo con la mobi­li­ta­zione dal basso che veda il coin­vol­gi­mento di comi­tati, asso­cia­zioni, movi­menti, cit­ta­dini. E ciò esige il recu­pero delle stesse tec­ni­che di com­bat­ti­mento pro­prie della guerra di movi­mento adot­tate dal governo. Si tratta di tat­ti­che che vanno adot­tate anche da chi non le pre­di­lige come nor­mali moda­lità dell’agire poli­tico, ed è con­sa­pe­vole delle spro­por­zioni delle forze schie­rate nello scac­chiere bel­lico.

Al dise­gno del governo, di chie­dere un’acclamazione ple­bi­sci­ta­ria con un sì e un no alle riforme impo­ste manu mili­tari ad un par­la­mento stra­paz­zato per anni senza alcun rispetto della forma, occorre rea­gire con una prova di resi­stenza demo­cra­tica che saldi la que­stione costi­tu­zio­nale e l’emergenza sociale. Se il governo diventa sistema auto­re­fe­ren­ziale, e cal­pe­sta i resi­dui spazi di con­trollo isti­tu­zio­nale, con­tro di esso si apre una que­stione di legit­ti­mità e occorre mobi­li­tare la voce della pro­te­sta, gli spazi di cit­ta­di­nanza attiva.
Il sogno ple­bi­sci­ta­rio, di rice­vere l’unzione del popolo sulla mito­lo­gia della grande riforma che nello stesso giorno del voto regala un capo al calar della sera, deve essere con­tra­stato facendo riaf­fio­rare nello spa­zio pub­blico l’incubo delle frat­ture sociali e ter­ri­to­riali che il governo ha lasciato aperte e, con la sua fedeltà alle leggi euro­pee del rigore, fatte incancrenire.

Al refe­ren­dum dall’alto, di un governo che pro­getta un regime ple­bi­sci­ta­rio senza vitali con­trap­pesi e lo chiama demo­cra­zia deci­dente, è ine­vi­ta­bile con­trap­porre un refe­ren­dum dal basso, che misuri l’accettazione degli elet­tori di tutte le scelte costose che l’esecutivo ha impo­sto senza tre­gua, con la ghi­gliot­tina dei tempi della libera discus­sione parlamentare.

Per pre­cise respon­sa­bi­lità del governo, si spa­lanca una que­stione di legit­ti­ma­zione che in una demo­cra­zia mai dovrebbe veri­fi­carsi: una pola­rità sistema-cittadini, potere-popolo.
Ad una situa­zione di ecce­zione, pro­dotta da un ciclo lungo di for­za­ture dall’alto che i custodi hanno guar­dato con distacco o aval­lato salu­tan­dole come ine­vi­ta­bili, si risponde con una sce­no­gra­fia di ecce­zione che chi è costretto a subirla può solo cer­care di con­ver­tire in occa­sione di rige­ne­ra­zione poli­tica che pro­mana dal basso: pas­sare attra­verso il pro­nun­cia­mento del popolo-sovrano per rico­struire gli equi­li­bri infranti dell’ordinamento costituzionale.

Il movi­mento dei tre sì (all’abolizione del bal­lot­tag­gio e del pre­mio di mag­gio­ranza pre­vi­sti dall’Italicum, del Jobs Act e della buona scuola) deve scan­dire le tappe di una intensa fase costi­tuente per la rina­scita, nel solco della costi­tu­zione repub­bli­cana, di una sini­stra sociale e poli­tica in Ita­lia. A un governo di mino­ranza, che schiac­cia le rego­la­rità delle isti­tu­zioni demo­cra­ti­che (sacri­fi­cando il prin­ci­pio di com­pro­messo che sem­pre con­trad­di­stin­gue le demo­cra­zie moderne quando sono alle prese con le que­stioni sociali e costituzionali-elettorali), è pos­si­bile rispon­dere con un meta­fo­rico appello al cielo, cioè con uno scon­tro che affidi al popolo sovrano la parola defi­ni­tiva sul destino di leggi con­tro­verse che hanno sca­te­nato vasti movi­menti di rivolta, scio­peri generali.

La rac­colta delle firme per i refe­ren­dum deve diven­tare una com­po­nente visi­bile del pro­cesso costi­tu­tivo dal basso del nuovo costi­tu­zio­na­li­smo radi­cato nelle cre­denze dif­fuse. Una vasta mobi­li­ta­zione nei ter­ri­tori, attorno a tre grandi que­stioni dal forte impatto iden­ti­ta­rio, deve scan­dire, nel rispetto dell’autonomia dei comi­tati, anche i tempi della rina­scita di una poli­tica orga­niz­zata a sini­stra.
Un moderno sog­getto della costi­tu­zione, del lavoro e della cul­tura: que­sto è il dise­gno da per­se­guire con coe­renza, per col­mare un vuoto di offerta poli­tica che spri­giona effetti disfun­zio­nali nella vicenda repub­bli­cana. I tre que­siti refe­ren­dari sono l’asse por­tante di una rico­stru­zione della rap­pre­sen­tanza poli­tica e sociale, andata in fumo con rica­dute dram­ma­ti­che sulle con­di­zioni di vita.

Il 2016 si annun­cia come un anno costi­tuente. L’alternativa che si pro­fila è tra la rivo­lu­zione pas­siva cal­deg­giata da Renzi e la ride­fi­ni­zione di una demo­cra­zia costi­tu­zio­nale con un movi­mento di classe, di popolo e del sapere che assuma il com­pito di una rico­stru­zione del sistema poli­tico oltre lo spac­cato del lea­de­ri­smo della nar­ra­zione e del popu­li­smo arroc­cato nelle stanze del potere.

In vista del momento refe­ren­da­rio sono desti­nate ad esplo­dere le prin­ci­pali con­trad­di­zioni che per ora sono tenute sotto pres­sione da un misto di oppor­tu­ni­smo e per­ce­zione della infe­rio­rità nel rap­porto di forza con l’avversario. La mino­ranza del Pd non potrà più denun­ciare la “defor­ma­zione demo­cra­tica” e poi gio­care di rimessa e tan­gi­bile sarà la verità, sinora misco­no­sciuta, per cui l’alternativa a Renzi, oltre che alla destra, è una neces­sità poli­tica e costituzionale.

Anche il M5S dovrà scio­gliere il nodo della sua effet­tiva natura e sve­lare le radici del suo ruolo storico-politico nella demo­cra­zia repub­bli­cana. Dinanzi alla pos­si­bi­lità di un’alternativa poli­tica e cul­tu­rale al ple­bi­sci­ta­ri­smo e al libe­ri­smo ren­ziano, per la rifor­mu­la­zione dei pila­stri della demo­cra­zia costi­tu­zio­nale, il non-partito gril­lino dovrà spor­carsi le mani e cimen­tarsi con le tat­ti­che dell’intesa e del com­pro­messo, che da sem­pre sono le con­di­zioni ine­li­mi­na­bili della lotta politica.

Il trionfo ple­bi­sci­ta­rio del par­tito della nazione non è scon­tato se ad esso si con­trap­pone un movi­mento refe­ren­da­rio vasto, dalla com­po­si­zione plu­rale, che uni­fi­chi lavoro, sapere e costi­tu­zione. Entrando nell’eccezione impo­sta dall’avversario, occorre avere in testa che dopo Renzi tor­nerà la guerra di posi­zione, ora è tempo di guerra di movimento.

Michele Prospero (dal Manifesto del 9/9/2015)

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