Autore originale del testo: Leonardo Coen
È morto l’ex Br Alberto Franceschini, con Renato Curcio e Mara Cagol fondò 55 anni fa le Brigate Rosse
Controversa la figura di Alberto Franceschini, che con Renato Curcio e Mara Cagol fondò 55 anni fa le Brigate Rosse: la notizia della sua scomparsa, avvenuta l’11 aprile, è stata diffusa nel giorno del funerale di Bergoglio. Contrappasso azzardato e certamente scandaloso, per molti: il papa stava dalla parte di chi vive nelle periferie del mondo, con gli ultimi, gli emarginati, e considerava la Chiesa, di cui era capo, come un ospedale dell’umanità più fragile ed indifesa. L’altro, il brigatista, sosteneva d’essere anche lui dalla parte degli sfruttati, degli ultimi, delle periferie sociali e del proletariato, ma voleva combattere il Sistema con l’insurrezione armata, e iniziò a farlo, sequestrando dirigenti d’azienda, uno dei quali venne fotografato con la mitica (mediaticamente) scritta maoista “colpiscine 1 per educarne 100!”. Nel 1974 fu tra i sequestratori del giudice genovese Mario Sossi.
Franceschini aveva 77 anni. Tralascio la sua biografia brigatista, la trovate in Rete, inoltre ha raccontato nel 1988 ai giornalisti Franco Giustolisi e Pier Vittorio Buffa la sua storia “Mara Renato e io” (Oscar Mondadori), e, se cliccate su Google, vi potete sbizzarrire a rintracciare le cronache delle sue azioni di guerriglia, anzi, di “rivoluzione”. Una rivoluzione che sognava fin da ragazzino, lui che era nato il 25 ottobre 1947 a Reggio Emilia in una famiglia di solida tradizione comunista e partigiana (si narrava che i suoi avessero seppellito le armi della Resistenza, seguendo gli ordini di Secchia, e non le avessero restituite come prescritto dal governo). L’ho incrociato qualche volta alla Statale di via Festa del Perdono, a Milano, tra la fine degli anni Sessanta e i primi mesi del 1970, una al Centro della Cultura di via Borgogna, frequentava Sinistra Proletaria, partecipava alle manifestazioni contro la Nato (la più “dura” fu quella ad Aviano, dove i militanti furono pestati ferocemente dalla polizia, e molti tornarono a Milano che avevano petto e schiena che erano tutto un livido blu e nero…). Qualche anno fa ci siamo sentiti, e scambiate mail. Abbiamo partecipato anche ad una tavola rotonda presso l’Arci Bellezza di Milano, insomma, ci è capitato di discutere di molte cose insieme, lui si era avventurato su narrazioni divisive riguardo i misteri del caso Moro, su certi faldoni scomparsi (ne sa qualcosa Sergio Flamigni, autore di “Patto d’omertà”, in cui si rilanciano ipotesi complottiste sui “silenzi e le menzogne della versione brigatista” riguardo il sequestro Moro).
Andiamo al dunque. Perché Franceschini per tanti è considerato un personaggio controverso? E’ un discorso delicato, politicamente ambiguo. Varano la legge sulla dissociazione, nel febbraio del 1987 e lui la invoca 4 giorni dopo. Il fatto è che nei tredici anni che aveva trascorso in galera, nelle carceri di massima sicurezza, si era messo in luce come tra i più combattivi contestatori del regime speciale cui erano sottoposti i brigatisti, polemizzando con le autorità che li avevano messi a stretto contatto con mafiosi e camorristi; al processo di Torino è tra i più irriducibili, mette a dura prova i magistrati che lo devono giudicare e il servizio d’ordine che cerca di mantenere l’ordine; all’Asinara, nel 1979, capeggia la rivolta. Poi, semina dissenso all’interno delle stesse Br, attaccando Mario Moretti che accusa di aver snaturato le Br, per ambizione e desiderio di potere (leggetevi “L’ape e il comunista”, “l’albero del peccato”, “Gocce di sole nella città degli spettri”: di faticosa lettura ma utile per capire come anche nelle Br e dintorni si fosse diffuso il virus della dissidenza, quella malattia infantile, avrebbe chiosato Lenin, che colpisce da sempre le sinistre, indebolendole in nome della pretesa correttezza ideologica). In concreto, Franceschini sposa la posizione del professor Senzani che crea da una costola delle Br il Partito Guerriglia, mollando Moretti – “MoMo” era il motteggio dei brigatisti ortodossi. Cominciò un periodo cupo di caccia ai delatori, ai traditori, ai vigliacchi, con militanti che ci rimisero la pelle, con accuse clamorose che scossero l’opinione pubblica: per esempio, le minacce di morte a Toni Negri, durante l’ora d’aria nel carcere di massima sicurezza di Palmi. Il professor Negri fu marchiato dall’accusa di infamia perché sospettato di scendere a patti con lo Stato pur di migliorare la propria posizione. Franceschini è tra i più radicali, tant’è che nel dicembre del 1983, alla fine della prima settimana inizia con altri detenuti politici uno sciopero della fame. E’ al carcere di Bad ‘e Carros, a Nuoro, quello dove fu sventrato il boss della mala milanese Francis Turatello. Protesta contro gli eccessi delle limitazioni previste dall’articolo 90, appositamente concepito per terroristi e capi mafiosi: sarà rimpiazzato dal 41bis.
E comunque, passano quattro anni e viene varata la legge 34 sulla dissociazione (18 febbraio 1987): “Si considera con dissociazione dal terrorismo il comportamento di chi, imputato o condannato per reati aventi finalità di terrorismo o di eversione dell’ordinamento costituzionale, ha definitivamente abbandonato l’organizzazione o il movimento terroristico o eversivo cui ha appartenuto, tenendo congiuntamente le seguenti condotte: ammissione delle attività effettivamente svolte, comportamenti oggettivamente ed univocamente incompatibili con il permanere del vincolo associativo, ripudio della violenza come metodo di lotta politica” (dalla Gazzetta Ufficiale, Serie Generale n.43 del 21-02-1987). Franceschini, da Rebibbia,assicura di aver elaborato le condizioni necessarie per la dissociazione appena tre giorni dopo, il 21 febbraio. Nemmeno un anno dopo, ottiene la semilibertà, il 14 gennaio del 1988. Uno del suo carisma – forse non più all’interno del mondo brigatista, ma fuori resta pur sempre uno dei fondatori delle Br – trova subito spazi nei media. In tv compare in parecchi programmi e lui ne approfitta per attaccare Moretti e per dire la sua sul sequestro Moro (benché fosse in galera da quattro anni e mezzo…), di attribuirgli una greve responsabilità perché sapeva che i carabinieri avevano avuto la soffiata dal medico novarese Levati, e dell’imboscata a Pinerolo. I due capi delle Br furono presi a bordo di una Fiat 128, mentre stavano recandosi al luogo dell’appuntamento con l’infiltrato, l’ambiguo “frate” Silvano Girotto (per la precisione, era il terzo incontro con Girotto). Pare invece che Franceschini non avrebbe dovuto esserci, quel giorno (8 settembre 1974) a Pinerolo.
Nell’estate del 1992 la sua pena viene ufficialmente estinta. Ma alla fine di ottobre viene di nuovo arrestato su ordine della Procura Generale di Venezia, che ritiene debba ancora scontare altri 8 anni per la condanna in “concorso morale” in un duplice omicidio a Padova (in seguito all’attacco terroristico della sede del Movimento Sociale Italiano di via Zabarella 24, il 17 giugno 1974, rimasero uccisi Giuseppe Mazzola, carabiniere in congedo, e Graziano Giralucci, agente di commercio, entrambi iscritti al partito). Furono i primi omicidi commessi e rivendicati dalle Br. Dopo il pentimento e la dissociazione, Susanna Ronconi rilasciò una dettagliata ricostruzione. Il commando era composto da Roberto Ognibene, Fabrizio Pelli, Giorgio Semeria, Martino Serafini e la Ronconi (all’assassinio la band musicale legata all’estrema destra La Compagnia dell’Anello ha dedicato la ballata “Padova 17 giugno”, ndr.).
Franceschini minaccia lo sciopero della fame, ricorda che l’anno prima il presidente Cossiga aveva proposto di concedere la grazia a Renato Curcio (ma a tale provvedimento si oppose la famiglia Mazzola che chiese la sospensione dello status di cittadini italiani, mentre Silvia Girallucci, figlia dell’altra vittima, scrisse una lettera di protesta al presidente). Per Franceschini si mobilitano molti parlamentari con varie interpellanze, tra di essi Ugo Pecchioli. Il 9 novembre, quasi a tambur battente, la Corte di Assise si pronuncia a favore di Franceschini, nel senso che conferma il provvedimento di estinzione della pena (emesso dal tribunale di Cagliari) e l’ex brigatista viene scarcerato. L’esperienza lo convince a continuare la sua diatriba contro Moretti e a ridefinire la sua esperienza di brigatista della prima ora. Lo fa nel saggio “Cosa sono le Br” (Rizzoli, 2004), scritto col giornalista Giovanni Fasanella che da anni, come Sergio Flamigni, batte la pista misteriologica del caso Moro al punto da realizzare un discusso e discutibile documentario con Gianfranco Pannone nel 2008 dal titolo omnibus “Il sol dell’avvenire” che approda persino al 61esimo festival di Locarno. Il film ripercorre la nascita delle Brigate Rosse e le origini della lotta armata in Italia. Celebre la scena in cui si vede il busto di Lenin nella piazza di Cavriago. Frammenti dolorosi, sono quelli del finale, quando sfilano sullo schermo le fotografie delle vittime uccise dalle Br. Il passato non passa, il presente sta nell’inquadratura di Tonino Loris Paroli, ex operaio metalmeccanico, che si copre il volto e piange a dirotto. In un’altra scena, un pentito, sfinito dalle torture appena subìte, riceve un messaggio da altri brigatisti irriducibili che gli fanno sapere di volerlo incontrare. Non è un appuntamento. E’ la resa dei conti. Lo strangolano. Mentre agonizza, chiede “fate in fretta…”. Tonino Loris Paroli non ha mai sparato un colpo. Riconosce gli errori della lotta armata. Non si è mai dissociato. Epperò si chiede come è possibile ammazzare chi è stato appena torturato.
A Locarno, “il sol dell’avvenire” è stato a lungo applaudito. Un documentario che non indaga direttamente sulle azioni armate e sanguinose delle Br, e che affronta il tema sempre attuale e pericolosamente divisivo delle radici politico-ideologiche del terrorismo di sinistra in Italia: “Sappiamo cosa può dar più fastidio e che è destinata a fare scandalo – hanno dichiarato i due autori, prima della proiezione – è la normalità dei protagonisti, il fatto che parlino delle loro azioni davanti a un piatto di tortellini, che uno di loro coltivi l’orto. Non è stato semplice neppure per i protagonisti parlare a ruota libera davanti alla macchina da presa, nello stesso ristorante dove si erano riuniti per decidere se passare alla lotta armata”. Semmai, una ricognizione della memoria. Iniziando a Reggio Emilia, nel 1969. Gli Usa odiati andavano sulla Luna, lungo la via Emilia alcuni giovani militanti comunisti lasciano il Pci, danno vita all’Appartamento, insieme ad altri coetanei di varie provenienze: anarchici, socialisti, cattolici. Da quella comune d’ispirazione sessantottina in cui si coltivavano e si sviluppavano sogni e ideali rivoluzionari, si forgerà il gruppo più agguerrito e compatto delle future Brigate Rosse: oltre a Franceschini e Paroli, anche Roberto Ognibene, Lauro Azzolini. E Prospero Gallinari. Il quale, polemicamente, rifiutò di partecipare al festival di Locarno perché non voleva a che fare con “quel dietrologo di Franceschini”.
Dimenticavo. Tra le cose di cui ho discusso con Franceschini, c’era la situazione della Russia sotto il regime di Putin e la triste drammatica fine di Alexei Navalny. La storia è fatta di testimonianze, non c’è dubbio. Ma soprattutto di tragedie. Come lo fu il tempo degli anni di piombo.