È IL PARTITO DELLA GUERRA CHE DÀ CORAGGIO ALLA UE da IL FATTO
È il partito della guerra che dà coraggio alla Ue
Elena Basile 5 Marzo 2025
Lo spettacolo offerto alla stampa dall’incontro tra Zelensky e Trump sembra emblematico degli ultimi rantoli del partito della guerra. Domandiamoci chi guadagni da questo conflitto e avremo i primi schizzi del mostro.
L’Ucraina è un Paese fallito che sopravvive grazie a fondi statunitensi ed europei. Non è una democrazia inconciliabile con l’abolizione dei partiti e della libertà di culto, con la legge marziale e col posporre le elezioni presidenziali sine die. In tre anni di guerra ha perso territori, una generazione di ucraini e sei milioni di abitanti. I ragazzi si rompono le ossa pur di non andare al fronte. La resistenza ucraina è un mito del passato, sponsorizzato da una classe nazionalista e neonazista al potere di cui Zelensky è ostaggio.
Gli Stati Uniti hanno problemi economici notevoli che l’ingente piano di aiuti pubblici di Biden non ha risolto. Il debito al 136% del Pil, l’inflazione, le sacche di povertà e gli emarginati, tra cui i migranti che crescono. Il crollo industriale, le infrastrutture a pezzi, la perdita di competitività dell’economia.
Kiev dovrebbe cercare di porre fine al più presto alla guerra dalla cui continuazione ha solo da perdere: territori, uomini, risorse. La classe al potere invece ha solo da guadagnare dalla continuazione del conflitto. Nazionalisti, neonazisti e Zelensky alle prossime elezioni presidenziali saranno cacciati dal popolo sofferente ucraino.
Una strategia coerente impersonata da Trump sceglie la fine di una guerra insostenibile per Washington. Trump è stato eletto con i fondi della finanza dei petroliferi, dei settori produttivi delle start up che hanno bisogno di fondi. Protegge il trash bianco della rust belt penalizzato dalla crisi industriale. Comprende che gli Stati Uniti hanno bisogno di un cambiamento di rotta. Diminuire il debito che finanzia le guerre e armamenti, pacificare il fronte europeo e concentrarsi sul contenimento della Cina. Strategia discutibile soprattutto per la parte relativa alle tariffe imposte agli alleati, ma che ha una sua comprensibile razionalità. Quali sono gli interessi dei popoli europei? Il nuovo debito per una difesa che alimenti la continuazione del conflitto comprando armi statunitensi non è un obiettivo del ceto medio e della classe lavoratrice. La crisi economica, la Germania in recessione, l’inflazione, la crisi energetica con le bollette alle stelle sono strettamente legate al conflitto ucraino. Paghiamo il gas statunitense quattro volte più di quello che ci forniva la Russia. Dal punto di vista geopolitico la crisi dell’euroatlantismo causata dall’opposizione Ue alla linea dettata da Washington è contraria ai pilastri che hanno retto la politica europea dal dopoguerra a oggi. Perché dunque le classi dirigenti europee hanno una postura così inusuale? Guardiamo ai profitti della Borsa e alle imprese delle armi. Vi sembra che abbiano sofferto in questi tre anni di guerra? Lo spettacolo offerto dal presidente di un piccolo Paese finanziato e alleato degli Usa, ospite alla Casa Bianca, che assume di fronte alla stampa un atteggiamento di rivolta, è abbastanza inusuale. Immaginate Nixon e Kissinger oppure Bush o Clinton e Obama alla mercé di un loro alleato dipendente da fondi e armamenti Usa? Impossibile.
Abbiamo avuto l’impressione di un presidente statunitense nudo. La Cia con Bush o Obama avrebbe risolto in modo un tantino più brusco le controversie con un alleato riottoso mentre nella Sala Ovale Bush, Clinton o Obama avrebbero dispensato sorrisi diplomatici. La National Endowement for Democracy e Us Aid riuscivano a realizzare i cambiamenti di regime che la Cia metteva in opera. Ora sono fuori funzione per volontà di Musk. Le lobby finanziarie e delle armi guadagnano dalla guerra a prescindere dai suoi scopi strategici. Tutti sanno che l’Ucraina sta perdendo, ma un conflitto può essere redditizio anche se si perde. Dopo decenni di occupazione abbiamo lasciato i talebani al potere. Il nostro scopo non era la democrazia, ma la guerra in sé.
Le élite europee che si sono genuflesse a Washington contro gli interessi europei, abituate a servire, di improvviso alzano la testa, mostrano un coraggio inusitato e sfidano Washington. Una trasformazione antropologica? Un’illuminazione sulla via di Damasco? L’improvviso coraggio delle classi dominanti europee e di Zelensky sembra dovuto alle direttive del mostro, del partito della guerra. Il Deep State contro cui la nuova cupola trumpiana combatte è un potere radicato nelle burocrazie, nell’intelligence, nelle lobby di armi e finanza in Europa. Sabotare la pace e tifare per il conflitto fine a se stesso, sulla pelle degli ucraini e degli europei è l’alto obiettivo di poteri senza scrupoli, di cui politici insignificanti sono le grottesche, forse inconsapevoli, marionette.
Più Unione non deve significare più artiglieria
Gianfranco Viesti 5 Marzo 2025
La proposta del ReArm di Ursula von der Leyen va respinta al mittente: oltre a essere contraria allo spirito fondativo dell’Europa, può contribuire a disgregare il nostro modello sociale.
Le esigenze di sicurezza dell’Europa sono serissime: di fronte a vecchi pericoli ad Est e a nuovi, subdoli, pericoli ad Ovest (gli Stati Uniti ci stanno dichiarando una durissima guerra commerciale).
In un quadro internazionale sconvolto, non ci sono ricette facili; per disegnare una efficace politica di sicurezza comune servono tanto pragmatismo quanto idealità. Ma certamente la sua difficile costruzione non può partire da un colossale acquisto di armi, magari americane. Prima di definire, concretamente, chi e come deciderà di procedere insieme (anche sul fronte di una industria della difesa comune). E abbandonando gli ideali di una comunità nata e cresciuta per preservare la pace e evitare conflitti.
Peggio ancora per le ipotetiche fonti delle risorse. Si chiede in larga misura di superare i vincoli di bilancio nazionali: inflessibili rispetto alle esigenze di salute, diventerebbero morbidi per i cannoni.
Ciascuno per sé, con i propri debiti. Che poi dovrà ripagare. L’auspicio di Von der Leyen di far crescere di un punto e mezzo di Pil la spesa militare significherebbe per l’Italia circa 30 miliardi in più all’anno, tutti gli anni, a tempo indefinito. Oltre il triplo di quel che investiamo nella nostra derelitta università: quella che dovrebbe produrre le conoscenze avanzate che davvero servono ad essere sicuri e indipendenti.
Una spesa chiaramente incompatibile con il mantenimento del nostro pur ammaccato modello sociale, considerando il nostro debito. Il peggio si raggiunge con l’esortazione a usare i fondi europei della coesione per le armi: cioè, non facendole pagare di più, magari, ai grandi patrimoni o ai monopolisti digitali: ma ai cittadini europei che vivono nei territori più deboli, con meno investimenti per il lavoro e i servizi.
Più Europa: ma non questa.