Etichette e parole

per Filoteo Nicolini
Autore originale del testo: Filoteo Nicolini

Un caro amico dal Sud America dopo aver letto l’articolo precedente sulla povertà della lingua mi propone di ricorrere allo sguardo senza parole e alla telepatia per comunicare. Beninteso i messaggi che scambiamo sono lunghi ed esaurienti.  Ma da tempo si è impegnato a definire “etichette ” le parole che usiamo perché si prestano a giochetti ed inganni.  Voglio spiegare che non possiamo ancora rinunciare alle parole ma dovremmo invece impegnarci a fare un uso consapevole nella loro immediatezza perché veicolano il pensiero. Infatti quando il suono è articolato in parole e acquista significato lo percepiamo in una maniera più intima.  L’udito è una benedizione che abbiamo ricevuto e ha la doppia valenza di farci ascoltare suoni e percepire la parola altrui.  La percezione della parola è distinta da quella semplice del suono.  Di una persona che mi parla in una lingua sconosciuta ascolterò i suoni ma non si rivelerà a me il significato. Suono e parola sono due percezioni diversi. Esiste poi una differenza tra la percezione della parola e la percezione del pensiero altrui.  Detto altrimenti,  nella viva relazione con la persona che mi parla posso trasportarmi nella sua anima capace di avere rappresentazioni mentali. Di una persona che si dirige a me col senso della parola capisco quello che dice e col senso del pensiero capisco quello che mi vuole dire.  Non è cosa da poco.

Quindi abbiamo in dote due sensi eccezionali per cui essere riconoscenti. Non è cosa da poco. Se poi li usiamo male è un altro discorso.  Ai nostri tempi manca la vera arte del pensiero profondo capace di penetrare gli enigmi contemporanei.  Il pensiero corrente minaccia di soccombere al soggettivismo di arrendersi agli automatismi. Esso è condizionato dalla lingua impoverita, dalla tradizione e le associazioni di idee, dalle abitudini mescolate con i ricordi. Tutta la nostra vita dipende dalle nostre relazioni sociali che fanno riverberare pensieri già confezionati e prosaici.

Siamo abituati a fare uso di concetti, di giudizi e conclusioni. Nel concetto abbiamo il pensiero quasi congelato  e materializzato.  Ciò accade in forma sempre più estesa dall’epoca del pensiero scientifico.  Ricordiamo il trionfo del Nominalismo sul Realismo già nel Medioevo.  Si fece strada l’opinione che I concetti universali di Umanità, o di lupo  o di volpe,  non fossero altro che riassunti estratti dalle cose singole, che fossero solo nomi, parole. Di qui nacque il Nominalismo. Secondo F. Bacone andava accettato quello che è solo un nome, una “etichetta” che ci serve per orientarci nel mondo sensibile. Ecco quello che intuisce il mio amico!

Nei giudizi invece reagiamo al mondo esterno con sensazioni sentimenti e impulsi. Il pensiero poi si esprime con la conclusione la quale rappresenta l’immagine dello stesso pensiero che avanza.  Le conclusioni indicano come da due giudizi se ne formi un terzo e se ne intraveda uno sbocco. C’è quindi un’ombra di immaginazione che si intravede. L’immaginazione spirituale è l’altro compito che ci attende insieme all’intuizione.

Ci attende quindi il compito  di formulare concetti  che rivelino l’essenza spirituale, concetti che abbiano accesso ai mondi sopra sensibili. Ma non possiamo rinunciare ancora a sviluppare le potenzialità della lingua perché essa ci fa formulare pensiero e concetti precisi proprio nella direzione di avvicinarci alla realtà.

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