Saccomanni: “Un piano di investimenti per evitare la stagnazione”

per Gian Franco Ferraris
Autore originale del testo: Eugenio Occorsio
Fonte: La Repubblica
Url fonte: http://www.repubblica.it/economia/2016/03/01/news/fabrizio_saccomanni_un_piano_di_investimenti_per_evitare_la_stagnazione_-134558090/

Intervista a Fabrizio Saccomanni di Eugenio Occorsio – 1 marzo 2016

“Le mosse di Draghi non bastano a riportare la fiducia: necessari interventi massicci sia privati che pubblici”

“I dati sulla deflazione confermano che i rischi di una decelerazione dell’economia europea e mondiale vanno presi molto sul serio e valutati con grande attenzione. E che le teorie sulla “stagnazione secolare” rilanciate pochi giorni fa da Lawrence Summers su Foreign Affairs non sono affatto astratte o cervellotiche”. Fabrizio Saccomanni, economista di lungo corso, a lungo direttore generale di Bankitalia, quindi predecessore di Padoan al Tesoro e oggi docente alla Luiss-Sep (School of european political economy), invita da tempo a non considerare sufficiente l’intervento della Bce e delle altre banche centrali per rilanciare l’economia.

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Cosa serve, professore?
“Contro la deflazione l’unica risposta è una robusta iniezione di fiducia. E questa potrebbero darla investimenti massicci, privati ma anche pubblici. Non bastano più generici appelli, come quello partito durante il fine settimana al G20, i mercati e i cittadini non si accontentano più, come prova la reazione piuttosto negativa delle Borse alla riapertura. È tempo di misure concrete. Anche transnazionali. Un impegno serio, insomma, come chiede per esempio il Fondo monetario che invita a non limitarsi a iniziative isolate di singoli Paesi, perché non bastano più. Che fine ha fatto il progetto cinese di creare una nuova Via della Seta da Venezia e Pechino? Oppure, per restare in Europa: ormai più di un anno fa venne annunciato il Piano Juncker da 300 e più miliardi di investimenti. Qualcosa all’inizio la Banca europea degli investimenti, incaricata di realizzarlo, ha fatto sotto il profilo delle garanzie per le piccole imprese, ma è ben poco. Dopodiché sembra esserci stato un rallentamento”.

Ma si aspettava un ritorno così violento della deflazione su scala europea, con l’indice Eurostat sceso in un colpo solo da +0,3 a -0,2%?
“Quella che lei cita è la stima flash di Eurostat per un solo mese, e queste stime spesso cambiano. Comunque è un dato allarmante. Ancora di più lo sono le cifre Istat per l’Italia. Evidentemente la situazione congiunturale internazionale è ancora esposta a rischi pesanti. Il processo di ripresa non riesce a mettersi in moto. E messaggi generici, anzi vagamente rassicuranti come quello del G20 non convincono più nessuno”.

I mercati hanno ritenuto il “moderato ottimismo” sulla Cina solo un favore diplomatico al Paese ospitante?
“Va chiarito che il G20 non è un organismo operativo. Anche quando prova a esserlo, come nella famosa riunione del 2009 quando decise di stanziare 1100 miliardi, in realtà rimane esposto a veti politici. In quell’occasione affidò all’Fmi il compito di mobilitare quei soldi, ma il necessario aumento di capitale dell’Fmi gli americani l’hanno sbloccato solo all’inizio del 2016…”

Per la deflazione-stagnazione, un punto di attrito sono le difficoltà delle banche: anche qui c’è mancanza di coordinamento?
“Certo. Le banche centrali, se vogliono evitare la guerra delle valute, devono finalmente trovare un foro di coordinamento in cui stabilire le soglie di oscillazione ragionevoli e poi procedere insieme per farle rispettare. Quanto alle banche commerciali, è sotto gli occhi di tutti l’impasse dell’unione bancaria. È stata realizzata solo una, o una e mezza, delle tre gambe su cui si dovrebbe reggere: la vigilanza. Mancano il meccanismo di sostegno comune al fondo di risoluzione, e soprattutto la garanzia europea sui depositi. Nel frattempo è arrivata la normativa del bail-in che era prevista simultaneamente alle “tre gambe”.

La Germania non ne vuol sapere di andare avanti finché non si dà via libera al limite al possesso di titoli di Stato da parte delle banche. È giusto insistere  sulla necessità di ridurre i rischi finanziari ma questo processo sarebbe rafforzato da meccanismi europei di condivisione dei rischi stessi. Il negoziato è lontano dalla conclusione e c’è il pericolo di lasciare le cose a metà per un periodo indefinito”.

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