Fonte: La Stampa
La Lega di Musk in versione no-Maga
Non sembra neanche Elon Musk: non ha un bambino a cavalluccio, un pezzo di formaggio in testa, una t-shirt con scritto Occupy Mars, non sventola un assegno da un milione di dollari. Vestito in total black, galleggia in uno sfondo digitale nebbioso che occulta ogni dettaglio ma ne rivela uno, il più importante: Musk ha scelto di affacciarsi al congresso della Lega in versione No-Maga, forse addirittura anti-Maga, più per promuovere gli affari suoi che per difendere la politica americana e specialmente i dazi.
Una scappatoia furba, sia per lui sia per Matteo Salvini, leader piuttosto sfortunato: è riuscito ad avere al congresso Musk, ma il caso ha piazzato l’appuntamento nel momento più sbagliato, subito dopo il venerdì nero delle Borse, mentre ogni settore produttivo del Nord Italia calcola l’impatto dei dazi sui suoi fatturati, mentre i veneti si radunano a Vinitaly con le facce grigie di preoccupazione. Vattelo a mettere adesso il cappellino Make America Great Again.
Parlano la lingua del salvinismo le frasi contro la follia dell’immigrazione di massa, contro l’eccesso di regolamentazione europea, contro la “censura fascista” che vuole limitare il free speech, contro quelli che vogliono continuare la guerra. Si esagera un po’ sul tema violenza e terrorismo, dove Elon profetizza addirittura “massacri” in Europa e provoca i silenziosi scongiuri della platea evocando un rischio collettivo per tutti, famiglie, figli, amici, beni e proprietà.
Entrare nel dettaglio sarebbe inutile. La Lega ha usato Elon Musk come un testimonial di lusso, lui si è prestato con l’ovvia speranza di trovare in Salvini il referente per gli affari di Starlink dopo l’improvvisa freddezza di Palazzo Chigi e le troppe sconfitte che hanno minato la sua reputazione: il fallimento dell’operazione in favore dell’Afd, i guai di Tesla, l’orrenda sconfitta in Winsconsin con venti milioni di dollari buttati dalla finestra, la rivolta dei veterani che ieri hanno sfilato accanto alla comunità Lgbq in mille città americane contro i tagli del Doge.
Se Elon Musk, ieri, non sembrava neanche Elon Musk forse è perché lui stesso giudica finita la parentesi politica in cui si è fatto meme vivente del trumpismo e stregone delle sue strategie più estreme. O forse perché, volente o nolente, quel ruolo dovrà abbandonarlo per le spinte congiunte dei suoi azionisti e della nomenclatura repubblicana che si è stufata di venire scavalcata.
Per Salvini, ovviamente, va bene lo stesso. Cercava un autorevole avallo alla sua posizione contro l’Europa “che sui dazi sta sbagliando tutto” e l’ha avuta. Adesso potrà dire in giro che basterebbe una telefonata (magari la sua) per convincere Trump a ribaltare le politiche contro i mangiapane a ufo dell’Unione e liberalizzare ogni scambio tra i due lati dell’Oceano.
Se non succede, se non succederà, è perché la perfida Ursula von der Leyen preferisce la guerra commerciale, e ancora una volta, come sullo scenario ucraino, l’aggressore diventerà aggredito e viceversa. Sullo sfondo delle cupe profezie muskiane su immigrazione, sostituzione etnica e “massacri terroristi”, potrà rivendicare – come hanno già fatto i suoi – il ritorno al Viminale. E in nome del free speech si apriranno praterie al tipo di propaganda che il Capitano preferisce.
Maga o non Maga, le linee della Lega 2025 sono definite e oggi il Congresso le avallerà, si immagina in modo plebiscitario. L’incognita, semmai, diventa un’altra: davvero qualcuno pensa che dopo queste due giornate, dopo la benedizione dell’uomo più ricco del mondo, il Capitano chini la testa e rientri nei ranghi della maggioranza? Davvero qualcuno crede che il gran galà di Firenze possa segnare l’ultimo atto del controcanto al governo e non l’inizio di qualcosa di peggio?