Giorno della Memoria, Mattarella: “Israele ha sofferto, non neghi a un altro popolo il diritto a uno Stato”

per Gian Franco Ferraris

Giorno della Memoria, Mattarella: “Israele ha sofferto, non neghi a un altro popolo il diritto a uno Stato”

Il discorso integrale del Presidente (Video) e i resoconti de La Stampa e de Il Fatto Quotidiano

Intervento del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella in occasione della celebrazione del Giorno della Memoria

 Palazzo del Quirinale, 26/01/2024 (II mandato)

Rivolgo un saluto di benvenuto ai Presidenti del Senato, della Camera dei deputati, del Consiglio dei ministri, della Corte costituzionale.

Ringrazio per i loro interventi il Ministro Valditara, la Presidente Di Segni, la Dottoressa della Seta. E Sami Modiano che è stato abbracciato da tutti i presenti.

Un ringraziamento a Sara Zambotti, ad Alessandro Albertin, a Gabriele Coen e al suo gruppo, a Rai Storia per il filmato e, a nome di tutti, vorrei inviare un augurio per la sua salute a Tatiana Bucci.

A tutti i presenti un saluto, sapendo che sono fortemente coinvolti in questo momento di memoria.

“La storia della deportazione e dei campi di concentramento non può essere separata dalla storia delle tirannidi fasciste in Europa: ne rappresenta il fondamento condotto all’estremo, oltre ogni limite della legge morale che è incisa nella coscienza umana”. Con queste parole, un sopravvissuto all’inferno di Auschwitz, Primo Levi, scolpiva, nel 1973, il giudizio sulle radici e sulle responsabilità prime dello sterminio organizzato e programmato ai danni di donne e uomini definiti di razze inferiori, il più grave compiuto nella storia dell’umanità.

Il più abominevole dei crimini, per gravità e per dimensione –  il genocidio di milioni di persone innocenti –  commesso a metà dello scorso secolo nel cuore della civile Europa, dove già da molto tempo gli ideali di libertà, di rispetto dei diritti dell’uomo, di tolleranza, di fratellanza, di democrazia si erano diffusi, e venivano proclamati e largamente praticati.

Il senso di incredulità registrato di fronte a quanto accaduto in quegli anni sventurati, accanto al pudore dei sopravvissuti, rinchiusisi, in un primo momento, nel silenzio, traeva la sua origine anche da una concezione ottimistica della Storia e della natura dell’uomo.

L’uomo del Novecento – immerso nel tempo della ragione, della fiducia incondizionata nell’avanzamento della scienza, della cultura, della tecnica – mai avrebbe pensato di trovarsi di fronte a un tornante così tragico; mai avrebbe concepito la possibilità di una simile regressione: mentre si confidava – come veniva conclamato – in un’alba radiosa per l’umanità, si trovò improvvisamente precipitato nelle tenebre più fitte.

Auschwitz spalancava – e spalanca tuttora – i suoi cancelli su un abisso oltre ogni immaginazione. Un orrore assoluto, senza precedenti – cui null’altro può essere parificato – ideato e realizzato in nome di ideologie fondate sul mito della razza, dell’odio, del fanatismo, della prevaricazione. Un orrore che sembrava inconcepibile tanto era lontano dai sentimenti che normalmente si attribuiscono al genere umano.

Eppure Auschwitz e tutto il meccanismo di sterminio –  che ha inghiottito milioni di ebrei, e anche appartenenti al popolo Romanì, omosessuali, dissidenti, disabili, testimoni di Geova –   sono stati concepiti e realizzati da menti umane. Menti che, per quanto perverse, hanno sedotto, attratto e spinto alla complicità centinaia di migliaia di persone, trasformate in “volenterosi carnefici” secondo la lucida definizione di Daniel Goldhagen.

Eppure le ideologie di superiorità razziale, la religione della morte e della guerra, il nazionalismo predatorio, la supremazia dello Stato, del partito, sul diritto inviolabile di ogni persona, il culto della personalità e del capo, sono stati virus micidiali, prodotti dall’uomo, virus che si sono diffusi rapidamente, contagiando gran parte d’Europa, scatenando istinti barbari e precipitando il mondo intero dentro una guerra funesta e rovinosa.

“Siamo uomini – ammoniva ancora Primo Levi – apparteniamo alla stessa famiglia umana a cui appartennero i nostri carnefici”, dimostrando “per tutti i secoli a venire quali insospettate riserve di ferocia e di pazzia giacciano latenti nell’uomo dopo millenni di vita civile.”

Nel buio più fitto, nella lunga e oscura notte dell’umanità, prendendo a prestito un’immagine di Elie Wiesel, tante piccole fiammelle hanno indicato una strada diversa dall’odio e dalla oppressione.

Sono stati i “Giusti”, secondo una terminologia cara al popolo ebraico perseguitato. Persone che, per motivazioni diverse, hanno rischiato la propria vita e talvolta l’hanno perduta per mettere in salvo cittadini ebrei dalla furia omicida nazifascista. Un lungo elenco di nomi, quasi ottocento – come abbiamo ascoltato – quelli finora accertati in Italia, una costellazione di luci e di speranza che continua a rassicurare sul destino dell’umanità.

Persone tra le più disparate: donne e uomini, laici e religiosi, partigiani, appartenenti alle forze dell’ordine, funzionari dello Stato, intellettuali, contadini. Accomunati dal coraggio, dalla rivolta contro la crudeltà, dal senso di umanità.

C’è chi ha nascosto e protetto, chi ha falsificato documenti e liste, chi ha aiutato a espatriare. Migliaia di gesti, grandi e piccoli, di ribellione contro il conformismo e contro l’ideologia imperante.

Abbiamo ricordato quest’oggi qualche nome: da Giorgio Perlasca a Gino Bartali e gli altri che, nel video e nelle letture, sono stati riproposti alla nostra riconoscenza.

Desidero citarne alcuni altri che hanno condiviso il tragico destino della deportazione delle persone che hanno tentato di salvare.

Odoardo Focherini, amministratore del giornale cattolico Avvenire d’Italia; Torquato Fraccon, partigiano, morto a Dachau insieme al figlio; il domenicano, padre Giuseppe Girotti; Calogero Marrone, capo ufficio anagrafe del comune di Varese, Giovanni Palatucci, reggente della questura di Fiume; Andrea Schivo, agente di custodia nel carcere San Vittore di Milano. Scoperti e arrestati dai nazifascisti hanno concluso la vita nei lager tedeschi.

Di fronte alla barbarie, di fronte all’ingiustizia, tutte queste persone non hanno girato la testa, non hanno volto lo sguardo altrove.

Hanno sconfitto, innanzitutto dentro loro stessi, la paura, l’inerzia complice, l’indifferenza che, come ci ricorda spesso Liliana Segre – cui rivolgo un pensiero affettuoso a ottant’anni della sua deportazione –  è la più perniciosa delle colpe.

I “Giusti” hanno dimostrato, a rischio della propria vita e di quella delle loro famiglie, che il senso di umanità, se rettamente coltivato, resiste in ogni condizione e supera persino i confini del tempo e della morte. Ci hanno insegnato, anche di fronte a tragedie immani, il valore salvifico dei gesti di coraggiosa solidarietà. Perché, per ripetere anch’io questa mattina il celebre detto del Talmud, “chi salva una vita salva il mondo intero.”

L’esempio dei Giusti rischiara la nostra via e il nostro percorso. E consente di ritessere quella trama di fiducia nel genere umano che con la costruzione dei campi di sterminio sembrava per sempre distrutta.

Tuttavia, di fronte a questi esempi di altruismo, di coraggio, di abnegazione, risaltano ancor di più i crimini commessi da altri uomini e altre donne, in nome di regimi dittatoriali e brutali.

Celebrare doverosamente i Giusti non deve far dimenticare i tanti, troppi ingiusti: i pavidi, i delatori per denaro, per invidia o per conformismo; i cacciatori di ebrei; gli assassini; gli ideologi del razzismo.

Non c’è torto maggiore che si possa commettere nei confronti della memoria delle vittime che annegare in un calderone indistinto le responsabilità o compiere superficiali operazioni di negazione o di riduzione delle colpe, personali o collettive.

Non si deve mai dimenticare che il nostro Paese, l’Italia, adottò durante il fascismo – in un clima di complessiva indifferenza –  le ignobili leggi razziste: il capitolo iniziale del terribile libro dello sterminio; e che gli appartenenti alla Repubblica di Salò collaborarono attivamente alla cattura, alla deportazione e persino alle stragi degli ebrei.

Un portato inestinguibile di dolore, di sangue, di morte sul quale mai dovremo far calare il velo del silenzio. I morti di Auschwitz, dispersi nel vento, ci ammoniscono continuamente: il cammino dell’uomo procede su strade accidentate e rischiose.

Lo manifesta anche il ritorno, nel mondo, di pericolose fattispecie di antisemitismo: del pregiudizio che ricalca antichi stereotipi antiebraici, potenziato da social media senza controllo e senza pudore.

La nostra Costituzione dispone con chiarezza: tutti i cittadini sono portatori degli stessi diritti.

La presenza ebraica è stata fondamentale per lo sviluppo dell’Italia moderna e nella formazione della Repubblica.

Le comunità ebraiche italiane sanno che l’Italia è la loro casa e che la Repubblica, di cui sono parte integrante, non tollererà, in alcun modo, minacce, intimidazioni e prepotenze nei loro confronti.

Anche ai nostri giorni, la ruota della storia sembra talvolta smarrire la sua strada, portando l’umanità indietro, a tempi e stagioni che mai avremmo pensato di dover rivivere.

Le conquiste della pace e delle libertà democratiche sono esaltanti e vanno salvaguardate di fronte a risorgenti tentazioni di risolvere le controversie attraverso il ricorso alla guerra, alla violenza, alla sopraffazione.

Parole d’ordine, gesti di odio e di terrore sembrano di nuovo affascinare e attrarre, nel nostro Continente ma anche altrove.

Su questo occorrerebbe compiere un’approfondita riflessione: indagando le motivazioni che spingono numerose persone a coltivare in modo inaccettabile simboli e tradizioni di ideologie nefaste e minacciose, che hanno portato all’umanità soltanto dolore, distruzione, morte.

Va richiamata, a questo riguardo, l’importanza decisiva della cultura, dell’istruzione. Di quanto – ad esempio – sono preziose le collaborazioni di studio e ricerca tra le Università, sempre positive; sempre fonte di avanzamento di civiltà, al di sopra di ogni frontiera. Sempre affermazione del carattere della cultura, che unisce e non può separare.

Il fanatismo, religioso o nazionalista, che, mosso da antistoriche e disumane motivazioni, non tollera non soltanto il diritto ma neppure la presenza dell’altro, del diverso, ritiene di poter imporre la sua visione con la forza, la guerra e la violenza, violando i principi fondamentali del diritto internazionale e della civiltà umana.

Siamo di fronte a un nuovo “crinale apocalittico” per usare un’espressione cara a Giorgio La Pira.

In alcune zone del mondo, in un’epoca così travagliata come la nostra, sembra divenuta impossibile non soltanto la convivenza, ma persino la vicinanza.

Assistiamo, nel mondo –ripeto -, a un ritorno di antisemitismo che ha assunto, recentemente, la forma della indicibile, feroce strage antisemita di innocenti nell’aggressione di terrorismo che, in quella pagina di vergogna per l’umanità, avvenuta il 7 ottobre, non ha risparmiato nemmeno ragazzi, bambini, persino neonati. Immagine di una raccapricciante replica degli orrori della Shoah.

Siamo convinti che i giacimenti di odio siano stati ingigantiti da parole e atti spietati, persino blasfemi. Il sogno di una pace, sancita dal reciproco riconoscimento e rispetto delle tre religioni monoteiste figlie di Abramo, appare lontano – forse come non è mai stato in tempi recenti – ma rimane l’orizzonte di un riscatto di questa parte del mondo, e non soltanto di questa.

Guardiamo a Israele come Paese a noi vicino e pienamente amico, oggi e in futuro, per condivisione di storia e di valori. Siamo e saremo sempre impegnati per la sua sicurezza.

Sentiamo crescere in noi, di giorno in giorno, l’angoscia per gli ostaggi nelle mani crudeli di Hamas.

L’angoscia sorge anche per le numerose vittime tra la popolazione civile palestinese nella striscia di Gaza.

Anzitutto per l’irrinunziabile rispetto dei diritti umani di ciascuno, ovunque. E anche perché una reazione con così drammatiche conseguenze sui civili, rischia di far sorgere nuove leve di risentimenti e di odio.

Può accrescere gli ostacoli per il raggiungimento di una soluzione capace di assicurare pace e prosperità in quella regione, così centrale nella storia dell’umanità e così martoriata.

Coloro che hanno sofferto il turpe tentativo di cancellare il proprio popolo dalla terra sanno che non si può negare a un altro popolo il diritto a uno Stato.

Ci ostiniamo a rimanere fiduciosi nel futuro dell’umanità. Nella convinzione profonda che un futuro intriso di intolleranza, di guerra e di violenza, non sia il desiderio iscritto nelle coscienze delle donne e degli uomini.

I Giusti, con il loro coraggio, con la loro speranza e il loro sacrificio ci indicano la direzione e ci esortano ad agire, con determinazione e a tutti i livelli, contro i predicatori di odio e contro i portatori di morte.

I Giusti italiani sono tra le radici migliori della nostra Repubblica. Per questo li celebriamo e li onoriamo, tutti insieme, come popolo italiano e come comunità, oggi, nel Giorno della Memoria.

di Ugo Magri su La Stampa

Nell’occasione più solenne, ma proprio per questo la più delicata, con i rischi di fraintendimento sempre dietro l’angolo, Sergio Mattarella ha scelto la sincerità che è una prova di amicizia vera. Avrebbe potuto rivolgersi alla nostra Comunità ebraica (i cui rappresentanti ieri mattina gli sedevano dinanzi per celebrare al Quirinale, insieme, la Giornata della memoria) parlando esclusivamente del passato remoto; incasellando cioè la Shoah nel tempo che fu, in qualche modo storicizzandola e rendendola inoffensiva; inchiodando i negazionisti alle loro responsabilità però senza riferimenti all’attualità che scotta e soprattutto tenendosi alla larga da Gaza che per tutti gli ebrei italiani rappresenta, in questo momento, un nodo esistenziale, il vero nervo scoperto. Sarebbe stato molto più semplice eludere la questione palestinese o liquidarla in poche battute del suo intervento. Il presidente, invece, ci si è soffermato più di quanto qualcuno tra i presenti in sala, forse, si sarebbe atteso.

Ha denunciato l’antisemitismo che riemerge nel mondo e pure da noi, purtroppo, insieme con altre forme subdole di razzismo, stringendo gli ebrei in un grande protettivo abbraccio, garantendo che la Repubblica non tollererà in alcun modo «minacce, intimidazioni e prepotenze nei loro confronti» specie dopo la strage perpetrata da Hamas, «una vergogna per l’umanità». Si è colta una ferma riprovazione verso tutte le forme di intolleranza, tipo quelle contro gli stand israeliani alla Fiera dell’Oro di Verona. Il presidente ha bacchettato, pur senza nominarlo, il rettore magnifico dell’Università di Cagliari, che una settimana fa aveva ceduto alla richiesta degli studenti di troncare i rapporti con gli atenei israeliani: «Le collaborazioni di studio e ricerca sono preziose», lo contraddice Mattarella, che ha ribadito la vicinanza dell’Italia allo Stato ebraico «oggi e in futuro», per condivisione di storia e di valori: la sua sicurezza riguarda anche noi.

E tuttavia, dopo aver messo bene in chiaro tutto questo, Mattarella ha voluto aggiungere alcune riflessioni su quanto accade nel vicino Oriente, in particolare nella Striscia degli orrori. Confidando «l’angoscia» per gli ostaggi ancora nelle mani dei terroristi; e poi quella «per le numerose vittime tra la popolazione civile palestinese», in particolare «tante donne e bambini». Già ne aveva parlato, il capo dello Stato, nei suoi interventi delle ultime settimane; però mai mettendo tutte in fila, una per una, le quattro ragioni che a suo avviso dovrebbero moderare Israele, trattenerla da un impiego spropositato della forza. «Anzitutto per l’irrinunciabile rispetto dei diritti umani di ciascuno, ovunque»: sulla vita delle persone non si transige, specie se innocenti. E poi, aggiunge Mattarella in chiave di realpolitik, «una reazione con così drammatiche conseguenze sui civili rischia di far sorgere nuove leve di risentimento». L’odio chiama odio: attenzione, è il suggerimento, a non peggiorare le cose. La tentazione di regolare i conti una volta per tutte potrebbe rivelarsi illusoria. Di sicuro «può accrescere gli ostacoli per il raggiungimento di una soluzione capace di assicurare pace e prosperità in quella regione», che ne avrebbe il diritto.

Infine, una considerazione fondata sul senso di giustizia: «Quanti hanno sofferto il turpe tentativo di cancellare il proprio popolo dalla Terra sanno che non si può negare a un altro popolo il diritto a uno Stato». Se Israele rifiutasse quel diritto ai palestinesi farebbe un torto alla sua stessa ragione di esistere. Non si è trattato, insomma, di un discorso ipocrita, di circostanza: semmai onesto, sofferto e meditato fino nelle virgole come si conviene a chi rappresenta l’unità nazionale e la politica estera al più alto livello. Del resto, fa notare chi è di casa sul Colle, a riecheggiare nella cerimonia il dramma della guerra, a rammentare per prima la strage del 7 ottobre, a paventare il pericolo di una nuova Auschwitz era stata (molto opportunamente) Noemi Di Segni, presidente dell’Unione delle Comunità ebraiche italiane, nel suo intervento alla cerimonia. Mattarella non poteva fare altro che raccogliere quella sollecitazione, per quanto fosse scomoda e impegnativa.

Cosicché, inevitabilmente, è scivolato un po’ sullo sfondo l’altro tema trattato da Mattarella (ma ne riparlerà in futuro): le responsabilità del Fascismo e di quanti da noi ancora si ostinano a minimizzarle, facendo finta di non vedere o scaricando sui nazisti l’intero macigno della Shoah. «Non si deve mai dimenticare che il nostro Paese, l’Italia, adottò in un clima di complessiva indifferenza le ignobili leggi razziali: il capitolo iniziale del terribile libro dello sterminio; e che gli appartenenti alla Repubblica di Salò collaborarono attivamente alla cattura, alla deportazione e persino alle stragi degli ebrei», ha puntato l’indice il presidente. Non solo Hitler, dunque, ma pure Mussolini. I tedeschi, certo, e purtroppo anche noi, la cosiddetta brava gente. Pochi furono i Giusti che si prodigarono per mettere in salvo i perseguitati, e «troppi gli ingiusti» chiamati da Mattarella a rispondere davanti al tribunale della storia. Eccoli: «I pavidi, i delatori per danaro, per invidia o per conformismo, i cacciatori di ebrei, gli assassini, gli ideologi del razzismo». Quasi un’autobiografia della nazione.

Estratto dell’articolo di Tommaso Ciriaco per “la Repubblica”

sergio mattarella cerimonia giorno della memoriaSERGIO MATTARELLA CERIMONIA GIORNO DELLA MEMORIA

«Non c’è torto maggiore… che annegare in un calderone indistinto le responsabilità… o compiere superficiali operazioni di negazione o di riduzione delle colpe». Ecco l’attimo. Le teste di Giorgia Meloni e Ignazio La Russa restano sospese a mezz’aria. Il collo della premier pende verso sinistra, quello del Presidente del Senato a destra. I busti disegnano una “V”.

[…] I due restano così per almeno cinque minuti. Posizione di difesa. Di sofferenza. Pietrificati. […] Soltanto La Russa infrange per un secondo la posa. Succede quando il Capo dello Stato dice che a Salò i repubblichini contribuirono a sterminare gli ebrei. La nuca del fondatore di Fratelli d’Italia oscilla come un pendolo, mentre si parla dei ragazzi di Salò.

ignazio la russa giorgia meloni antonio tajaniIGNAZIO LA RUSSA GIORGIA MELONI ANTONIO TAJANI

Nel linguaggio del corpo […] potremmo tradurre: «Non è andata esattamentecosì». Osservare il corpo, le reazioni, gli scatti e i sospiri di Meloni e La Russa, attentamente. […]  a un metro o due da Mattarella. E d’altra parte, se su Acca Larentia nessuno si espone e molti fischiettano, se la parola Resistenza è bandita e il fascismo “male assoluto” sembra un tabù, non resta che aggrapparsi alla cinesica per studiare gli effetti del discorso antifascista del Presidente sulla destra, che governa con la fiamma nel simbolo e nel cuore.

sergio mattarella ignazio la russa giorgia meloniSERGIO MATTARELLA IGNAZIO LA RUSSA GIORGIA MELONI

All’inizio tutto sembra procedere per il meglio. Giorgia Meloni si commuove quando parla Sami Modiano, […] applaude il passaggio di Mattarella sui «giusti». E annuisce su Giorgio Perlasca, la vergogna dei campi di sterminio e del razzismo. Anche La Russa annuisce, sereno. […] Poi, l’imponderabile.

[…] «Riduzione delle colpe», dice il presidente della Repubblica. «Superficiali operazioni di negazione». Ha di fronte la seconda carica dello Stato, che mesi prima aveva detto: «Via Rasella è stata una pagina tutt’altro che nobile della Resistenza, quelli uccisi furono una banda musicale di semi pensionati e non nazisti delle SS». Imbarazzo, profondo, in sala. Sguardi, silenzio.

ignazio la russa lorenzo fontana giorgia meloni sergio mattarellaIGNAZIO LA RUSSA LORENZO FONTANA GIORGIA MELONI SERGIO MATTARELLA

Mattarella non si ferma, chiede di indagare «le motivazioni che spingono numerose persone a coltivare in modo inaccettabile simboli e tradizioni di ideologie nefaste». […]  tutti […] pensano ad Acca Larentia, forse anche alla fiamma, di certo a quelle braccia tese. Sono trascorsi venti giorni da quel corteo, la premier non ha trovato il modo di commentare l’accaduto (mentre Fabio Rampelli, ieri, ha parlato di «vergogna» per il fascismo e di distanza siderale dai saluti romani).

sami modiano sergio mattarellaSAMI MODIANO SERGIO MATTARELLA

La scena si scongela dopo alcuni minuti. Il Presidente torna a parlare di Israele, Hamas, Gaza. La “V” si scioglie, come i muscoli dei ministri in prima fila. L’unico davvero tranquillo sembra Guido Crosetto, che di solito festeggia il 25 aprile e lo fa anche sapere. S

[…] Resta un problema, però: i cronisti. Sono a pochi passi da Meloni e dagli altri. È il giorno per poter chiedere: era davvero il male assoluto? E siete voi quelli che ridimensionano, che affogano nel calderone? La più svelta a capire tutto è Patrizia Scurti, ombra della premier, segretaria particolare a capo dello staff. Sorride mentre prende posizione tra i corpi, scavalca le linee, raggiunge la leader.

giorgia meloni antonio tajani sergio mattarellaGIORGIA MELONI ANTONIO TAJANI SERGIO MATTARELLA

Attende che Mattarella abbia finito di stringere la mano della presidente del Consiglio e di La Russa. Poi li conduce via, veloci e imprendibili. Meloni potrà non dire, oggi. Come il presidente del Senato. Qualche giorno fa […] hanno provato a chiedergli: «Ma dirsi antifascista proprio no, è impossibile?». E lui, serio, ha spiegato: «Se mi chiedono se sono fascista, rispondo secco: no, non sono fascista. Ma non sono antifascista».

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