Greta socialfascista?

per Gian Franco Ferraris
Autore originale del testo: Alfredo Morganti

Leggo commenti qua e là e il sospetto cresce: che Greta sia una specie di socialfascista? Una venduta? Una messa lì a fare propaganda contro i lavoratori? Una che opera per il nemico? Che ha il compito di deviare le masse a partire dai giovani, condannati perciò alla smidollatezza invece che temprati alla lotta di classe? Possibile? Io capisco tutto, capisco in primis che il principale nemico dell’ambiente e del clima si chiami capitalismo, ed è una cosa persino banale da capire, quasi stupida. Come non ammettere che questo sistema di produzione sceglie il profitto al posto della tutela ambientale e dell’equilibrio naturale? Come non ammettere che le risorse vengono dilapidate sull’altare della privatizzazione del bene comune? Ma questo non è nemmeno il titolo del libro da scrivere, nemmeno il colophone, nemmeno il colore della copertina. Troppo c’è ancora da scavare e da agire. Possibile che per un ‘comunista’ la questione è tutta risolta già in via analitica, accennando al genere di sistema di produzione, vera e unica chiave interpretativa del mondo, e il resto è noia? E la distribuzione della merci, e l’immensa popolazione del pianete, e gli apparati comunicativi, e le singole vicende umane, che fine fanno? E l’ansia di vivere, e la sofferenza quotidiana? Variabili dipendenti della produzione? Determinismo assoluto? In breve, socialfascismo?

Ammettiamo che, prima che il clima azzeri la vita sulla Terra, si riesca a instaurare il comunismo, facciamo questo un esperimento mentale. Non il ‘comunismo’ come forza critica, come visione alternativa e attuale, no. Proprio il comunismo come nuovo stato di cose. Ne dubito, ma questo è solo un esperimento, e comunque si potrebbe sempre ammettere che una catastrofe, un imperdonabile errore delle classi dirigenti mondiali, una apocalisse, oppure una botta di culo aprano praterie verso nuovi rapporto sociali (non oso pensare in che condizioni ci troveremmo dopo una catastrofe, ma andiamo avanti). In quella ipotetica fattispecie, posta una nuova produzione sociale dei beni, come verrebbero distribuiti ai 7 e più miliardi di abitanti, attraverso quali criteri (nazionali, continentali, mondiali), con quali mezzi e quali tecnologie? E avremmo o no ancora bisogno di comunicare? Io dico di sì. E in che cosa tutto ciò sarebbe di aiuto al clima (posto che il ‘clima’ sia ancora un problema e non sarà ritenuto un vecchio arnese propagandistico)? Il lavoro sarà ancora (o no) il modo in cui l’uomo metabolizza la natura, se ne appropria, la rende cosa per noi? E l’uomo socializzato sarà davvero diverso, meno sporcaccione, meno irriguardoso, dell’uomo individuale che oggi usa e consuma tutto e crea montagne di spazzatura? E il consumo, ancor prima, esisterà ancora? Oppure avremmo risolto in via definitiva il nostro rapporto con la natura, e non consumeremmo più niente, vivremo di nulla, e avremo così più tempo per dedicarci ai nostri hobbies?

Oppure sarà la Tecnica a liberarci dalla schiavitù del lavoro, dall’obbligo naturale di consumare, dalla necessità di spostarci con mezzi inquinanti, e magari un giorno anche dalla necessità di respirare? La Tecnica, si badi, il pensiero unico che oggi unifica e mette tutti d’accordo. Altro che comunismo! Mi chiedo, dunque, se questo orgoglio ‘comunista’, questa rivendicazione identitaria, sia di per sé risolutiva, oppure se poi viene necessariamente la politica. La politica che scava, analizza, mette in movimento, si rivolge a donne e uomini, le organizza, dona l’opportunità di agire, parlare, farsi capire, mobilitare anche su temi minimi. La politica che vuole far partecipare, che chiama alla piazza o alla riflessione, che non cerca purezza ma l’esatto contrario. Greta oggi, per quanto “socialfascista”, “venduta”, “antipatica”, “diversa”, mobilita la coscienza di miliardi di persone, giovani soprattutto, testimoniando un fatto, una sensibilità in crescita. Quanti ne mobilita il comunismo? È meglio il proprio nobile isolamento, che rasenta oggi la solitudine, oppure un dialogo, un’apertura, un credito, una presenza? Meglio l’Aventino del comunista (perché questo è) oppure il rischio e la possibilità del contagio? I comunisti, mi sembra di ricordare, nascono anzi per contagiarsi, per stare con i lavoratori, i penultimi, gli ultimi, i giovani senza futuro, le donne e gli uomini minacciati. Non per mantenere saldo un nucleo ideologico di cui nessuno sa più nulla. Nascono per stare in mezzo, non per farsi da parte. Per dirigere non per essere laterali, appartati, assenti. Per entrare nelle contraddizioni altrui e non il contrario, come avviene sempre più spesso. Capisco la difficoltà di scendere il gradino e mischiarsi, ma questo è. E comunque, è sicuramente meglio il giardinaggio delle rivendicazioni orgogliose dinanzi a pochi spettatori annoiati.

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