I politici e gli scrittori. Io sto con i primi

per Gian Franco Ferraris
Autore originale del testo: Alfredo Morganti

di Alfredo Morganti – 23 marzo 2018

Mettete assieme Concita De Gregorio e Maurizio Maggiani. La prima intervista l’altro su ‘Repubblica’. Ne viene fuori una cosa impolitica, che dire ‘impolitica’ è anche troppo. In un mondo vuoto della capacità di dialogare e privo della forza della mediazione politica, Maggiani salva solo le relazioni comunitarie, ‘prepolitiche’. E un generico ‘ascolto’. Un po’ poco per trarne i giudizi pesanti che lo scrittore enuncia. Anche stavolta è colpa dei politici, che non hanno ‘ascoltato’, non hanno ‘visto’. È sempre colpa dei ‘politici’ (che, certo, ne hanno di loro).

Ma quando sarà colpa anche degli scrittori, grandi o piccoli cosa importa? Soprattutto di quelli che ‘giudicano’? Dov’erano, cosa facevano gli intellettuali di sinistra, che scrivono libri, incassano assegni e vivono da élite? Gli ‘altri’, sempre gli ‘altri’, sono i colpevoli, i responsabili, gli inetti, gli incapaci? Mai ‘noi’, mai ‘io’? Come se il mondo si componesse di Renzi, Bersani, D’Alema (sono i nomi che cita Maggiani) da una parte, e una mastodontica società civile tutta salva, composta da 7 miliardi di persone dall’altra. Il dibattito, così, assume la forma di un tiro al piccione, niente più. Sette miliardi di allenatori detentori della ragione più 3 giocatori in campo detentori del torto, e perciò da sottoporre a giudizi incrociati e severi. Oltremodo indignati e ultimativi.

Vi dico la verità. In questi anni ci ho provato a capire cosa dicessero gli intellettuali di sinistra mutati in opinionisti tanto al chilo. Ci ho provato a leggere le élite degli scrittori e degli scienziati. Non ricordo nulla di veramente stimolante. Se non qualche passo, alcune pagine, poche intuizioni contenute in libri ponderosi, che pochi leggono. Le opinioni sversate alla stampa, poi, sembravano scritte su carta velina, tanto erano esangui. Li ho visti urlare nei talk show, dire cose impulsive, pulsionali o superficiali in certe interviste. Poi null’altro. I ‘politici’ erano l’alibi di tutti, la loro incapacità, la loro inettitudine. Tutti salvi gli altri, tutti a impreziosirci di massime e di giudizi feroci, ma nessuna capacità di lettura e di ascolto, pur esigendola da Renzi-Bersani-D’Alema, se non rapsodica e fortunosa. Se non ci fossero stati i ‘politici’, con tutti i loro palesi limiti e gli errori possibili, oggi saremmo morti di noia. Oggi avremmo un’idea del mondo ancora peggiore, oppure vaga o irreale. Non è stato un tradimento dei chierici, magari. È stato un appiattimento, una professionalizzazione, la riduzione a ‘operatori’ della cultura, a ‘scriventi’ più che scrittori. Forse più dei ‘politici’ quelli che hanno perso il contatto con la realtà sono proprio gli ‘scrittori’.

E allora diciamola tutta. La funzione intellettuale oggi la esercitano quelle donne, quegli uomini che non ‘scrivono’, ma si adoperano da ‘connettori’ culturali, tirano le maglie sociali, fanno coesione, a cui non serve ascoltare perché sono dentro mani e piedi alle realtà, e andrebbero al contrario ascoltati, distogliendo il microfono delle interviste dai vari Maggiani e indirizzandolo invece alle istituzioni culturali di base e di vertice, dove operano donne e uomini di grande qualità e sapienza, che non si misurano a libri scritti o premi ritirati, ma computando l’accresciuta prossimità dei cittadini alle espressioni culturali e socio-culturali. Questi sono i veri intellettuali organici della nostra contemporaneità.

Ne cito uno, in special modo e a titolo esemplificativo: Filippo D’Alessio, regista e direttore organizzativo del Teatro di Tor Bella Monaca. Infaticabile operatore di cultura immerso in un complicato municipio di borgata a Roma. Filippo non è uno che va a farsi fotografare a Tor Bella Monaca perché è trend o fa figo. È uno che a Tor Bella Monaca ci sta sempre, ogni giorno, impegnato in ogni mansione possibile all’interno della struttura che dirige. Con la sua gestione sono stati staccati più di centomila biglietti laddove, secondo il mainstream, ci sarebbero solo spaccio e criminalità. C’è più cultura nel suo teatro, cultura colta e popolare assieme, che nelle pagine di una grande scrittore osannato e intervistato come se fosse un vate. È una cultura che si misura a donne e uomini che siedono in platea, partecipano alle iniziative sociali (il Capodanno, il Carnevale, il 1° maggio) e scoprono il teatro per davvero, a due passi da casa, a prezzi giusti, e ciononostante di qualità. È così che la cultura svolge la sua funzione anche educativa, di crescita sociale, non sbraitando invettive e indignazione. Magari fosse solo la politica il problema della sinistra.

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