IL DISTACCO

per Filoteo Nicolini

IL DISTACCO

Vorrei scrivere una apologia del distacco dalle cose. A dire il vero, quasi senza accorgermene, ho praticato il distacco dalle cose più volte, obbedendo all’impulso di mollare senza molti rimpianti e lasciare alle spalle cose ed oggetti in disuso. Com’è noto, l’intelletto sorvola su quelle considerazioni troppo vistose ed eccessivamente palpabili. Solo un riandare nella memoria le riporta alla luce, è un processo di auto coscienza che avanza mentre si indaga nel proprio passato.

Naturalmente, conservare degli oggetti come ricordo è una pratica del tutto normale. Anche se sono vecchi, rotti o non più utili, possono rappresentare un legame con una persona che non è più presente o con un momento significativo della nostra vita. E fin qui sono d’accordo. C’è tutta una letteratura al rispetto, fino ai casi più estremi di chi prova ansia e insicurezza nel privarsi di cose accumulate e disfarsene, anzi acquistando nuovi oggetti senza nemmeno usarli, per cui la casa e tutti gli spazi disponibili sono saturati a più non posso. Ma, se esistesse una curva della distribuzione gaussiana riguardo gli attaccamenti, occuperei la parte a sinistra.

Ora che ci penso, ho avuto due distacchi maggiori, macroscopici, insieme ad altri minori, e questi ultimi hanno mantenuta viva la fiammella. E queste due occasioni sul piano simbolico sono state simili: in entrambe le volte sono andato via con due valigie, solo due valigie. Contare sulle proprie forze, in questo caso, sulle due braccia. Lasciato dietro tutto o quasi. Portavo con me qualche indumento, effetti personali, libri imprescindibili, il passaporto, il portafogli. Sono stati due distacchi a trenta anni di distanza l’uno dall’altro, quello che mi portò lontano la prima volta, quello che mi riportò definitivamente di ritorno. Si regala quello che si ha, lo si fa circolare, qualcosa si riesce addirittura a vendere, c’è sempre qualcuno che se ne beneficia. Però questa è una razionalizzazione che si fa dopo. Che provavo intanto, quando la decisione è presa e si sta per varcare la porta? Difficile da dire così; si lascia un mondo familiare di cose e abitudini, di spazi ed immagini, e poi ci sono i ricordi che vogliono paralizzarti e farti desistere. C’è timore nel varcare quella soglia, bisogna accumulare coraggio, ritrovare sé stessi. Le partenze mi hanno reso leggero e poco possessivo con gli oggetti che è gioco forza abbandonare. Può sembrare una perdita agli occhi comuni, ma non lo è. Provavo inconsciamente l’attrazione per una situazione assolutamente nuova, ancora non delineata né ipotizzabile. E qui devo ricordare un essere con il quale ho condiviso molti anni della mia vita, il quale incarnava una versione propria del nomadismo. Naturalmente, tale la sua spiegazione, c’erano sempre ragioni per cambi di alloggiamento, traslochi, motivi e necessità del momento, spiegati e razionalizzati. Manifestava sempre entusiasmo nelle potenzialità degli spostamenti, seguendo tracce, istinti, nostalgie del futuro, il quale, anche se incerto, sempre traeva novità. Va detto che il suo atteggiamento itinerante era come uno stato dell’essere, una cultura applicata alla vita. Aveva una capacità unica nell’azzerare quelle esperienze che considerava deteriorate, decadute, obsolete.  Opposi all’inizio deboli ed occasionali resistenze, ma la vita mi spinse a considerare cambiamenti di residenza o di direzione che poi mi apparirono naturali e logici. Lei aveva una capacità di persuasione fuori dalla norma, una perseveranza che non lasciava altro scampo che non fosse la mia resa. Niente di violento, ovviamente. Il tema di un cambiamento o di un inatteso progetto, o un cambio di corso, usciva alla luce lentamente, naturale, insinuante. Ma poi si montava l’assedio, cominciavano le controversie, tra i miei tentativi di ponderazione, le allusioni e le frecciate crudeli agli attaccamenti, le visioni delle bontà decantate, quei battibecchi che precedevano un accordo di tregua per mio esaurimento.

Poco a poco arrivai a convincermi che i cambiamenti e i traslochi, di casa, lavoro, occupazione e regione geografica, erano buoni in linea di principio, perchè implicavano a ben vedere un arricchimento dell’immaginario e una rinnovazione dell’anima, l’eliminazione di ragnatele mentali accumulate per mancanza di elasticità. La cosa principale era sempre adattarsi all’idea nuova, comprenderne le ragioni e fare punto e a capo.

Come diceva Hermann Hesse, c’è un’altra lontananza che si scorge sulle alte montagne, l’azzurra lontananza. Al di là dell’orizzonte, dissolta nel presentimento, ancora più nobile e dispensatrice di nuove nostalgie.

 

FILOTEO NICOLINI

 

Immagine: GAIA, Katina Fantini

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