Il fascino perverso della guerra.

per Francesco Scorza

Temo che questa guerra piaccia a tutti. piace agli americani i quali, probabilmente, intravedono la possibilità di annichilire la Russia e, perché no, mettere le mani in qualche modo sulle risorse energetiche che questa possiede. Risorse energetiche che fanno gola anche alla Cina. La quale, se da un lato non si mostra ostile verso Mosca, dall’altro potrebbe essere tentata di favorirne l’impantanamento in un conflitto lungo ed estenuante per avere poi un accesso privilegiato al gas e al petrolio russi, tanto necessari alle proprie fabbriche.

Tutto sommato la guerra piace anche in Europa, dove si registra una vera e propria fascinazione bellica del tutto incongrua rispetto a quelli che dovrebbero essere gli interessi europei. Probabilmente si percepisce il conflitto come l’occasione per rimandare sine die scelte e decisioni che sembravano ormai improcrastinabili e che, invece, da un giorno all’altro, sono bellamente diventati argomenti di cui non si discute più. Penso, prima di tutto, a tutta la questione della transizione energetica che, se già prima dell’invasione russa dell’Ucraina registrava resistenze, ora è praticamente sparita dall’agenda politica e dal dibattito pubblico. In Italia, infatti, è subito iniziata la questua presso i paesi produttori di gas per cercare di sostituire le forniture attualmente provenienti dalla Russia. Peccato che questi paesi siano tutti caratterizzati da un grave deficit democratico e siano del tutto inaffidabili sul piano del rispetto dei diritti umani; si rischia, purtroppo di finire dalla padella nella brace. Inoltre, bisogna considerare che si tratterebbe, comunque, sempre di fonti fossili che ci siamo impegnati ad abbandonare entro il 2050. Forse sarebbe più saggio cogliere la terribile occasione della guerra per accelerare sul fronte della produzione di energie rinnovabili e del risparmio energetico ma, ancora una volta, è mancato il coraggio di una visione di futuro sostenibile e intrinsecamente promotore di pace. Le risorse finanziarie che avrebbero potuto essere impiegate nello sviluppo e nella ricerca delle fonti alternative, si preferisce spenderle in nuovi strumenti di morte quando già gli stati della UE spendono in armamenti ben quattro volte quanto spende la Russia. “Follia!” tuona Francesco, inascoltato.

È come se la guerra fosse stata a lungo desiderata e adesso, finalmente, tutti vogliano godersela. perfino nel lessico si percepisce come la dimensione bellica, per tanto tempo repressa, messa culturalmente all’angolo, trovi oggi una proprio legittimazione. È come se improvvisamente una regressione istintuale abbia preso il sopravvento e, attraverso di essa, le parole della guerra, relegate finora a contesti impropri, siano deflagrate in tutto il loro verace, tragico significato, pronunciate da molti con un malcelato senso di soddisfatta liberazione.

È il fascino ingannevole della guerra, l’immaginario epico delle gesta dell’eroe che ritornano ad obnubilare le menti. La guerra piace. Piace perfino agli ucraini (a quelli che non muoiono), che infatti chiedono tutti i giorni di avere più armi per resistere all’invasore in una spirale crescente di violenze e devastazioni. È senza dubbio legittimo, anzi doveroso, da parte loro, opporsi al nemico per difendere la propria libertà. Tuttavia trovo che ci sia un qualcosa in più, di eccessivo, nel loro medo di porsi davanti alla barbarie e al supremo sacrificio. Forse percepiscono questa guerra come la vicenda fondante di una loro propria identità nazionale che finora probabilmente non possedevano fino in fondo, e si mostrano ansiosi di prendere parte all’orgia nazionalistica che, anacronisticamente, sembra tornata ad impazzare (e ad impazzire) tra i popoli.

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