di Alfredo Morganti – 19 marzo 2016
Il dibattito politico è morto. Inutile che vi affanniate a cercarne l’ombra. È morto fuori e dentro il PD. Facile capire perché. Vi sembra che circolino idee, vi sembra che ancora sventoli almeno uno straccetto di cultura politica? A me pare di no. Tolto questo, tolta la struttura di fondo (idee, valori, ideali) che rende la politica ben più che uno scontro di potere personale, non resta che la tattica, o la bagarre tra leaderini, o la vasta, sconfinata parure di ambizioni personali e di interessi ristrettissimi di ceto o di clan. Così, se viene indetto un referendum da 9 (nove!) regioni italiane (praticamente da mezza Italia), non scatta alcun dibattito, né un’informazione adeguata, anzi. Il partito di maggioranza preferisce zittire, e definisce questo referendum inutile, invita ad astenersi, punta a boicottarlo. Se qualcuno chiede un confronto, Repubblica parla di ‘protesta’. Se la minoranza del PD rivendica la necessità di aprire una discussione seria, e con ciò mostra un PD meno unito di quanto sembri, si tratta di una ‘lite’, di una richiesta che ‘spacca’, si dice, il partito.
Siamo talmente disabituati alla discussione, anche soft, che un timido accenno, una semplice domanda, è già un atto di sabotaggio. Chi parla fuori copione è un ‘disfattista’, come in guerra. Vi meravigliate che il dibattito politico sia morto, allora? A forza di azzerare, di disintermediare, di rottamare e accorciare le distanze cancellando i corpi intermedi, presto sarà una colpa anche solo aprire bocca. Il linguaggio, che nasce per comunicare, si è ridotto a uno spot, all’espressione dell’ira di Renzi, ai comunicati fotocopia dei suoi replicanti. E non c’è niente di peggio che ricorrere a questa espressione (l’ira) per la democrazia. L’ira è sempre espressione del ‘Capo’, del Capo che vuole fare ma gli altri glielo impediscono, del Capo che non vuole schiamazzi e non intende essere disturbato. Più che un Capo, insomma, un manovratore