Il reduce Leopardi

per Gian Franco Ferraris
Autore originale del testo: Alfredo Morganti
Fonte: facebook

di Alfredo Morganti 27 ottobre 2014

Nel film di Martone, a un certo punto, gli ‘amici’ illuminati letterati fiorentini annunciano a Leopardi, senza nemmeno farlo accomodare, che il premio quinquennale dell’Accademia della Crusca (era il 1830) non sarebbe andato alle sue Operette Morali, ma a un’opera storica di Carlo Botta. La motivazione sarebbe nello spirito troppo pessimista del poeta, troppo incavato su se stesso e sulle disgrazie umane, non corrispondente ai tempi, come riferisce lo stesso Viesseux a nome degli altri presenti, tra cui Pietro Giordani, che non pare affatto prodigo di difese verso il recanatese. Nelle Operette un tragico pessimismo, un giudizio negativo sulla vicenda umana nella sua complessità impedirebbe a Leopardi di comprendere che servirebbe, invece, più ottimismo, uno sguardo più deciso verso il futuro, non il ripiegamento esistenziale e fuori sintonia con il tempo nuovo della tecnica che prende il comando. Leopardi prende atto amaramente del verdetto ma con orgoglio rivendica il proprio pensiero e la propria poesia, contro chiunque volesse proporgli un’edulcorata adesione alle ‘magnifiche sorti e progressive’. Riferendosi al suo lavoro sconfitto dice:

“Bruciarlo è il meglio. Non lo volendo bruciare, serbarlo come un libro di sogni poetici, d’invenzioni e di capricci malinconici, ovvero come un’espressione dell’infelicità dell’autore: perché in confidenza, mio caro amico, io credo felice voi e felici tutti gli altri; ma io quanto a me, con licenza vostra e del secolo, sono infelicissimo; e tale mi credo; e tutti i giornali de’ due mondi non mi persuaderanno il contrario”.

Poi se ne va. Solo allora la camera di Martone va su Niccolò Tommaseo, che nel film appare come un giovanotto sarcastico e ‘rottamatore’, il quale giudica Leopardi di “un’arrogante mediocrità” e afferma incautamente che del recanatese nessuno saprà più nulla nel novecento!

I posteri sanno com’è andata a finire a proposito di magnifiche sorti e progressive del mondo e della fortuna in special modo del più grande poeta moderno italiano. Semmai appare curioso come i suoi contemporanei letterati volessero far apparire Leopardi come un vecchio reduce incapace di comprendere gli effetti della modernità incipiente. E come tutti gli chiedessero di essere più ottimista, di fiondarsi verso il futuro invece di attardarsi su malanni e acciacchi e pessimismo, tutto morbosamente, a loro dire, appeso al passato. Un reduce di tempi arcaici, appunto, il poeta. Uno che avrebbe dovuto convertirsi invece al verbo nuovo della tecnica (non l’Iphone, ma le nuove tecnologie di allora come il treno), non attardarsi scioccamente in pensieri antichi, passatisti, in sciocche contemplazioni filosofiche, magari a difesa del proprio status di letterato, nobile, intellettuale, e chi più ne ha più ne metta. Il reduce Leopardi, dunque, contro i letterati fiorentini, i quali premiano uno storico italiano, un riformista ‘illuminato’ anch’esso che critica i giacobini francesi, invece di uno sciocco, attardato, malato poeta-filosofo che viene dalla oscura e bigotta provincia italiana.

Il bel film di Martone, posti questi parametri, sembra allora il film su un reduce, un passatista, un provinciale alla corte di una mentalità nuova proiettata verso il futuro. Ma non è così, ovviamente. Quello è un grande reduce, una mente che ha toccato vertici poetici e di pensiero ineguagliati, la cui testimonianza culturale è viva tutt’ora, le cui idee ancor oggi si confrontano appieno coi nostri tempi tormentati, nei quali la tecnica sembra davvero divorare tutto (a partire dalla politica) e dove l’andamento generale sembra assolutamente dettato da poteri ‘altri’ rispetto a quelli politici (la finanza, la tecnologia appunto, l’apparato mediatico, i poteri ‘in ombra’), dove tutto sembra decidersi fuori dal perimetro della democrazia, e dove le camice bianche prendono il posto delle menti lucide e delle grandi passioni politiche e culturali. Reduci, tanti reduci (un milione, di più) a mostrare protagonismo e a chiedere più cura, più ascolto, più attenzione agli ultimi, mentre i fiorentini assegnano il premio a un finanziere (che a sua volta li premia con un bel contributo), perché quei reduci sono, appunto, ‘reduci’, passatisti, i quali invocano più politica e non meno, più ascolto e non meno, più popolo e non solo ceto politico e uomini della finanza. Leopardi aveva ragione da vendere a chiedere che lo sguardo si conficcasse anche sui dolori, sul tragico, sulla miseria contemporanea, sulla mancanza di consolazione e non solo sul futuro che ‘fa correr via la macchina a vapore’.

Sono tempi miseri, questi. Di progresso vero poco, di contraddizioni tante. C’è la crisi, c’è ebola, non c’è lavoro, la politica si è disintegrata, la diseguaglianza è ai massimi. Ma loro, lì, nella kermesse patinata, pensano all’Iphone e alle macchine fotografiche digitali. Ai gettoni telefonici e ai rullini. E dicono che quelli, i reduci, quel milione di reduci anche giovani in piazza, e chissà quanti altri nelle case, mai più riprenderanno il controllo di alcunché. Ma questo lo dici tu, caro fiorentino. Incazzato magari per quel che è successo il giorno prima a San Giovanni. Sbagli a tentare di mettere le brache alla storia, è controproducente, non te lo consiglio proprio.

leo1

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